di Fiona Diwan
Tra tutti i candidati il più votato è stato lui, con 900 schede a favore su un totale di 1748 votanti, praticamente più della metà. Quasi lo stesso punteggio delle precedenti elezioni, con 853 voti. Classe 1950, nato a Tripoli e arrivato in Italia nel 1965 (“scappavamo, io avevo 14 anni; poi ho fatto la maturità alla Scuola Ebraica e un paio d’anni alla Facoltà di Legge a Milano), oggi Walker Alfonso Meghnagi, all’indomani delle elezioni, esibisce una sobria soddisfazione e cerca di mantenere nei toni e nei modi un pacato senso della misura, malgrado sia proprio lui, in parte, l’artefice della vittoria della lista Welcomunity. Un passato negli enti ebraici (è stato presidente del Keren Hayesod), tre figli che hanno frequentato la scuola di via Sally Mayer, una vita spesa nel business dell’abbigliamento (dal negozio del padre alla partnership con Benetton per Milano e provincia, dalle quote di Mango e Furla, alla produzione delle camicie Agesa), oggi Meghnagi è attivo nel mercato immobiliare e da qualche settimana non fa più parte del Consiglio di Amministrazione di Fincantieri, recentemente rinnovato. Fin dal loro arrivo in Italia, la famiglia Meghnagi e in particolare il patriarca Isacco, hanno sostenuto l’Oratorio Sefardita del Tempio di via Guastalla, un rito orientale che riecheggiava il minhag delle sinagoghe di Tripoli: “la mia è sempre stata una famiglia che ci teneva, tradizionalista ma non bigotta, tollerante e rispettosa delle feste e dello shabbat”, aggiunge Walker.
Sugli assetti del prossimo Consiglio e sulla linea della futura Giunta, ecco l’intervista a Walker Meghnagi.
Governo di unità, giunta mista: l’hai promesso nel programma elettorale. Sarà così?
Sì. E abbiamo iniziato a discuterne con il gruppo di Ken fin da subito. Tra noi ci sono molti punti in comune, c’è terreno d’intesa e non vedo nulla che osti a un accordo. Tanto più che nelle due liste vincitrici non ci sono più quei 7-8 membri che facevano parte del vecchio Consiglio, portatori di rigidità e idee precostituite. La mia proposta quindi è un governo di larghe intese. Voglio sedermi con tutti gli eletti senza portare da subito -e dall’alto- decisioni già “cotte e mangiate”, non voglio arrivare con la torta già fatta e messa lì sul tavolo. La torta la si impasta insieme e tutti sappiamo che per essere buona e bella una torta avere molti ingredienti, ben amalgamati tra loro. Al primo posto ci sarà da ridiscutere la questione delle cartelle esattoriali e dei tributi. E mi prendo personalmente la responsabilità dell’Assessorato ai tributi (o comunque di affiancarlo).
Mi sono candidato per cercare l’unità e ribadisco agli elettori e agli eletti la mia volontà di abbandonare qualsiasi tipo di antagonismo e di vecchie ruggini. E chiedo a tutti di fare altrettanto: di dimenticare le contrapposizioni. Dobbiamo dimostrare a noi stessi di poter governare insieme questa Comunità, consapevoli che nessuno è migliore degli altri, nemmeno noi che abbiamo vinto. Non dimentichiamo che il Bet HaMiqdash, il Tempio di Gerusalemme fu distrutto a causa della discordia, delle lotte intestine e della mancanza di unità tra gli ebrei.
La vostra lista è compatta su tutto il programma?
Assolutamente sì. E io sono ottimista: entrambe le liste vincitrici hanno al loro interno persone molto giovani, gente che ha voglia di fare e lavorare e che non ha posizioni ideologiche precostituite. Cosa questa che mi trasmette grande positività.
Sul tema del Rabbinato, Welcomunity e Ken non sembrano molto vicine…
La prima cosa su cui lavoreremo è una maggiore collaborazione tra Consiglio e Rabbinato cercando inoltre di mettere a punto una strategia di maggior coinvolgimento delle varie anime della nostra Comunità. Penso alla galassia persiana, a quella libanese, alla galassia Chabad… Abbiamo rabbini validissimi le cui qualità vanno sfruttate… Queste galassie devono diventare parte integrante della vita comunitaria, ciascuno con le sue differenze, ovvio, ma con un grado di interazione di molto superiore a oggi. Dobbiamo fare della varietà una forza, una ricchezza. Come insegna la nostra storia.
Pensi di aumentare il numero di Assessorati?
Sì, ci stiamo pensando. Farli diventare 12 in tutto, come era un tempo, e non più i soli sette che sono oggi. Scorporando quello al Bilancio da quello ai Tributi e creandone un terzo per il Personale, ad esempio. Vorrei riconfermare Claudio Gabbai al Welfare e alla Casa di riposo, magari dividendo le due voci e nominando un vice-assessore, in modo tale che venga dedicata maggiore attenzione a ciascuna delle realtà dei Servizi Sociali. Ci piacerebbe inoltre istituire un Assessore al dialogo con gli iscritti per focalizzare tutta l’attenzione possibile sul recupero dei lontani o di quei genitori che hanno tolto i loro figli da scuola. Non ci sarà nessun Portavoce, piuttosto un nuovo Assessorato ai Rapporti Istituzionali. Alla cultura penserei a Daniele Cohen: su questo tema, la precedente gestione ha lavorato bene. Inoltre, mi impegno a dedicare una mattina alla settimana al dialogo con gli iscritti.
La Scuola: che cosa pensate di fare?
Poche parole: l’Ucei deve darci più soldi, deve aiutare le Comunità ebraicamente attive. È inammissibile che la seconda Comunità d’Italia riceva solo 600 mila euro dei 4 milioni e 500 mila scaturiti dal gettito dell’otto per mille. La Comunità di Milano, con la crisi, soffre molto ed è economicamente molto cambiata rispetto alla prosperità di soli pochi anni fa. Io mi batterò per trovare finanziamenti pubblici ma contestualmente chiederò aiuto all’Ucei per arrivare a risolvere velocemente il grande problema del liceo della Scuola ebraica, di rilanciarlo insieme a noi, dando a tutti la possibilità di iscrivere i propri figli grazie a rette più basse. Penso anche a una campagna di immagine per conquistare più alunni e attirare donatori (penso a offerte mirate, per la scuola o parti di essa). Se sono favorevole alla nomina di un direttore amministrativo che affianchi quello didattico? Certamente: penso sia ormai una figura indispensabile, anche per sollevare i presidi da incombenze che finiscono per snaturarne il ruolo.
Chiederete quindi che l’Ucei valorizzi di più Milano?
Sì. Milano riveste un ruolo importante nel panorama nazionale, è una specie di hub, di centro di smistamento dell’offerta culturale, religiosa e formativa per il Nord Italia , un’offerta ormai di alto livello. L’Ucei dovrebbe valorizzare maggiormente le opportunità fornite da Milano che da un punto di vista ebraico si presta a diventare punto di riferimento del settentrione (inoltre qui ci sono tutte le istituzioni ebraiche, l’Adei, il Keren Kayemet, il Keren Hayesod, il consolato israeliano…). Anche il legame tra Israele e la diaspora milanese ha qui un centro nevralgico. Le relazioni tra il Consiglio e Israele resteranno salde e continue, non sporadiche. Personalmente, ho sempre considerato l’Italia come una madre e Israele come padre.
Dopo un precedente Consiglio così litigioso, pensi di riuscire a mettere d’accordo tutti?
Io voglio governare senza astio, condividendo se non tutto, quasi tutto. Mia moglie Rachel mi dice che ho la mentalità Keren Hayesod: ovvero quel modo di procedere per il quale tutto si deve discutere PRIMA di arrivare in Consiglio e mai tirar fuori le cose DURANTE, mai arrivare allo scontro. O ci si mette d’accordo per tempo o niente. Basta con le guerre, con le divisioni, con gli arroccamenti: governare insieme e uniti si può. Penso non ci sia altra alternativa per la salvezza della nostra Comunità.