Buono e dolce. Così vorremmo, come continuiamo instancabilmente a ripetere di generazione in generazione, lanno nuovo che ci attende. Ma al di là del rituale, che è importante, eppure non può da solo esaurire tutte le esigenze autentiche del nostro animo, viene un momento in cui bisogna sostare un attimo e interrogarsi su cosa abbiamo compiuto nellanno che ci sta ormai alle spalle e cosa ci ripromettiamo di fare in quello che ci attende.
Viene così il momento in cui anche Mosaico deve augurare ai propri lettori buon anno, Shanà Tovà.
Abbiamo percorso tutto un anno assieme, il primo nella vita di questa testata, cercando di gettare le basi di una grande speranza: dare agli ebrei italiani informazione ebraica credibile e professionale. Non sta alla redazione giudicare se siamo sulla strada giusta. Ma posso garantirvi che ho dedicato queste ultime giornate ad ascoltare rabbini, dirigenti comunitari, intellettuali ed esponenti di ogni genere nel piccolo ma complesso mondo ebraico italiano. Ho posto centinaia di domande. Ho cercato, spero con qualche successo, di raccontare speranze e impressioni, progetti, ambizioni e sogni nel cassetto. Ho visto molte, molte, molte persone disposte a sacrificare se stesse per far crescere lebraismo italiano e anche qualche persona tentata dallidea di sacrificare lebraismo italiano per far crescere se stessa. Ho messo da parte le mele e il miele, ho visto sfornare il pane rotondo che contrassegna la circolarità della nostra concezione del tempo. E sul finire mi è rimasta solo una manciata di tempo libero. Era il momento buono per raccogliere le idee, per ritrovare se stessi. Ma devo confessare di non aver trovato la forza di cogliere lattimo. E ho fatto così, per trovare un momento si quiete, di svago, la cosa più stupida del mondo. Sono entrato in un cinema, uno preso a caso, sulla strada di casa. O forse non tanto a caso. Si proiettava il nuovo Superman, una produzione hollywoodiana di cui anche Mosaico ha raccontato ai suoi lettori.
Non è qui in questione la qualità del film, e tantomeno linteresse specifico di questo personaggio dei fumetti che a torto o a ragione ha fatto sognare milioni di adolescenti. Devo confessare, inoltre, che i supereroi non sono mai stati la mia passione, neanche prima di raggiungere letà della ragione. Ma questo Superman mai frequentato prima mi incuriosiva. Perché è un personaggio uscito dai sogni di due ragazzi ebrei e creato negli anni più difficili. Lo sterminio delle persecuzioni si addensava minaccioso. Linserimento nelle rare democrazie che accoglievano gli ebrei in fuga era difficile. Il raggiungimento della Terra promessa ancora di più. La sopravvivenza del popolo ebraico minacciata. E Superman, apparentemente così lontano dalla nostra vita quotidiana, questo ragazzone dotato di superpoteri immaginari, così buffo nella sua calzamaglia blu, in realtà faceva sognare per lo stesso motivo che ancora oggi gli consente di esercitare un fascino su milioni di persone del tutto inconsapevoli.
Anche lui è in fuga da un inferno, anche lui ha due facce con cui fare i conti, una fragile e instabile, una fortissima, capace di resistere a tutte le traversie, di tenere testa a tutte le bestialità che infestano il mondo.
Ma soprattutto, anche Superman, come tanti altri segni che ci tengono in bilico fra naturale e sopranaturale, fra realtà e speranza, ha cercato di dire al mondo che noi restiamo certo dei piccoli esseri umani come tutti gli altri, ma che esistono alla nostra portata superpoteri straordinari, immensi.
Questa fonte di energia fuori dal comune e fuori dal naturale, apparente, ordine delle cose, è quella che ci ha protetti, ci ha fatto attraversare i millenni, da un Rosh Hashanà a un altro, ci ha dato la forza per continuare a sperare in un mondo migliore. Un mondo dove non siano tanto riconosciuti i nostri diritti, ma soprattutto i meriti dei nostri doveri, un certo senso della giustizia, dellequità, della trasparenza. Quello che ci porta a volte ad essere impertinenti, anche quasi fastidiosi, ma che ci ha reso il sigillo di garanzia e la cartina di tornasole di tutte le società che continuano a credere nel progresso.
Superman, in questo senso, non è lo sfoggio di una forza che in verità non ci è stata data, ma il simbolo delle potenzialità che si trovano alla nostra portata. Sono costitute dal nostro patrimonio, da tutti i tesori di idee e di princìpi trasmessi di generazione in generazione, della nostra attesa, mai passiva e mai rassegnata, per un mondo migliore. E la nostra scarsa attitudine di piegare la testa, nonostante i nostri limiti e i nostri difetti, di fronte alla malvagità. La nostra incapacità di dare il male per scontato.
Non è in gioco la forza di un singolo individuo, ma di un intero popolo.
Questo, quello che con un filo di tenera ironia potrei chiamare i nostri superpoteri, è proprio un regalo di Rosh Hashanà. Degli strumenti per cambiare noi stessi e il nostro destino che in questa stagione ci sono donati. Cambiare noi stessi, correggere e contribuire a determinare il corso del nostro destino, superare il dolore e la disillusione: a nessun supereroe è stato mai concesso tanto.
E avvolgere, una nuova volta, la mela nel miele per chiedere un anno buono e dolce, ricco di meriti e di soddisfazioni, di speranze realizzate e di tesori riscoperti percorrendo con coraggio strade nuove.