di Carlotta Jarach
In occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, si è tenuta nella sala Jarach la conferenza “Avidi di donare”, organizzata dall’Associazione Medica Ebraica: ospiti David Fargion. Giorgio Mortara, Abd as-Sabur Turrini, Rossana Supino, Gaetana Mariani, Sami Sisa.
«Il silenzio è un ponte tra noi e gli altri», dice Fargion, «e a volte è ciò che fa avvertire dell’esistenza dell’altro». Non tutti i ponti, continua, uniscono: e fa l’esempio di quel ponte che sorgeva un tempo a Gerusalemme, e di cui ora non rimangono che le vestigia. Un ponte in cui la gente comune era divisa da chi invece era di un’estrazione sociale privilegiata: e allora ancora meglio, più che di ponti, bisogna parlare di incontri, in cui viene valutata e saggiata la capacità dell’ascolto.
Il primo a prendere la parola è Mortara, che dopo aver ricordato Marcello Cantoni, medico e per 30 anni organizzatore dell’attività sanitaria per i ragazzi della Scuola Ebraica, ha delineato quelli che sono stati gli inizi dell’Associazione, nonché gli ultimi avvenimenti importanti.
Tra questi, degno di nota, il progetto “Insieme per prenderci cura”, nato dalla collaborazione tra Biblioteca Ambrosiana, Comunità Religiosa Islamica Italiana e AME in stretto contatto con il Rabbinato Centrale di Milano, il Collegio IPASVI, l’Ospedale Policlinico e la Fondazione Ca’ Granda. «Un’iniziativa che ha per scopo lo sviluppo di un percorso di cura che tenga conto della dimensione spirituale della persona assistita, con particolare riferimento alle tre religioni monoteiste», spiega Mortara. Dieci seminari, durante i quali si pone l’attenzione essenzialmente sulla persona umana, con la sua dignità e integrità fisica e morale per «informare e formare tutti gli operatori sanitari al rispetto delle varie identità spirituali delle persone malate».
Si parla di una vera e propria ricaduta pratica, ricorda Abd as-Sabur Turrini, ossia una «declinazione ben precisa che permette di cooperare in una stessa prospettiva che è quella del malato»; l’uomo è così riconosciuto unicamente nella sua realtà ontologica primaria, ovvero come creato a immagine e somiglianza di D-o, concetto questo comune a tutte e tre le religioni abramitiche.
Al centro dei progetti che si sono discussi in quella sede c’è dunque l’uomo: e in una logica di umanizzazione della realtà ospedaliera bisogna compiere un passaggio per arrivare a prendersi cura del malato «dove non è più previsto un atteggiamento asettico verso il malato, in modo da scongiurare anche il pericolo di una meccanicizzazione dovuta alle migliorie tecnologiche». Il personale medico, sottolinea concludendo Turrini, deve essere educato alla diversità, solo così il rapporto paziente-medico diventerà conoscitivo e realmente proficuo.
L’anima di Villa Sant’Anna, ovvero la dottoressa Mariani, ha spiegato poi con chiarezza quale sia stato il progetto che ha visto coinvolta anche la nostra Scuola Ebraica; attraverso una breve descrizione della struttura che ella gestisce, ha raccontato la genesi, la ricerca e i risultati ottenuti, anche e soprattutto grazie alla collaborazione con l’AME. Obiettivo, l’educazione del personale docente a riconoscere eventuali segnali d’allarme responsabili di disturbi psicomotori.
Il Segretario Generale Rossana Supino, intervenuta subito dopo, ha infatti largamente elogiato il lavoro di Mariani, dal titolo “Prevenzione dei disturbi dello sviluppo psicomotorio in età precoce, in asilo nido e in scuola materna”, sottolineando con forza il ruolo chiave dell’Associazione come vero e proprio catalizzatore. «Da questa storia si possono vedere i ponti che sono stati costruiti con il Ministero della Sanità d’Israele, l’Università Ebraica di Gerusalemme, il Centro di riabilitazione infantile dell’Ospedale di Beersheva, la Fondazione Bracco e l’ASL della provincia di Como, nonché del Centro internazionale di cultura scientifica Alessandro Volta, sempre di Como»; la sensibilizzazione, dice ancora Supino, e la preparazione degli operatori scolastici è fondamentale, perché al medico di base possano arrivare segnali chiari e tempestivi di un eventuale problema. Un successo evidente, tanto che l’AME ha proposto all’UCEI di estendere il progetto ad altre scuole ebraiche in Italia, proprio lo scorso luglio.
Infine ha preso la parola Sami Sisa, fondatore dell’Associazione Amici del Maghen David Adom, la società nazionale di Croce Rossa dello Stato di Israele. «Il termine ponte, parola chiave di oggi, rappresenta al meglio il Maghen David Adom, che presta soccorso nelle emergenze in Israele già prima che Israele stessa esistesse, dal momento che opera da oltre 80 anni». Il primo ponte è proprio questo, quello tra chi abitava in quel fazzoletto di terra a inizi ‘900 e i vari ebrei sparsi per il mondo –gli americani in primis, ricorda Sisa.
Il Maghen David Adom opera all’estero (celebri i suoi interventi a Fukushima, ad Haiti e recentemente in Nepal) e in Israele ha l’importante compito di intrattenere rapporti con tutti i paesi circostanti: è proprio lui che addestra la Mezzaluna Rossa giordana.
«La collaborazione con i vicini palestinesi, che se ne dica, è altissima», precisa Sami, «non si parla di muri, ma solo di ponti di solidarietà»: ogni giorno vengono effettuati oltre 400 trasporti di chi necessita di chemioterapie o di altre cure importanti da Gaza a Israele, a volte sotto il fuoco.
Durante l’ultima guerra, per esempio, il Maghen David Adom ha trasportato la figlia di Haniyeh, esponente di Hamas: perché quando si parla di salvare vite, non si guarda in faccia niente e nessuno.