La beffa del “riscatto”, la retata della vergogna, il silenzio di Pio XII

Insider-Associazioni

di Carlotta Jarach

All’ADEI-WIZO si parla della Razzia del Ghetto di Roma, 16 ottobre 1943

Una sala gremita quella che, il 16 ottobre, ha ospitato la conferenza dal titolo “La liquidazione del Ghetto di Roma”, in occasione del 74esimo anniversario del rastrellamento nazista avvenuto nel 1943. Organizzata dall’Adei Wizo di Milano, la serata ha visto come ospiti Ferruccio De Bortoli, giornalista ed ex-direttore del Corriere della Sera nonché attuale presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano; Liliana Picciotto, storica e direttrice dell’archivio storico presso il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e il rabbino capo di Milano, Rav Alfonso Arbib.

«Segnali ce ne erano stati, non pochi, tanto che la stessa comunità ebraica aveva preso precauzioni»: esordisce così Ferruccio De Bortoli. Che cosa era accaduto a Roma? Chi lo aveva reso possibile, chi era stato complice di tanto silenzio? A questi, e altri interrogativi, ha risposto Liliana Picciotto, che in un lucido e dettagliato excursus, ha tracciato e descritto i giorni che precedettero la retata. Il Ghetto di Roma – va precisato – già a quei tempi si discostava dall’immaginario comune di luogo ove gli ebrei erano rinchiusi, come lo era stato fino al 1870 e come era quello di Varsavia nel periodo bellico.

Nel 1943 il Ghetto di Roma era un quartiere sì ad alta densità ebraica, ma non per questo isolato in termini urbanistici dal resto della città. Ciò risulta importante e fondamentale proprio perché furono in tanti i non ebrei che, in quella piovosa mattina di ottobre, accolsero nelle proprie casa chi fuggiva e cercava rifugio. Ma torniamo all’inizio: il giorno del 16 ottobre si inserisce in un quadro storico post armistizio, nel quale le armate tedesche risultavano come invasori nonostante un iter interno che cercava di costruire con Mussolini un governo ombra per il mantenimento dell’ordine pubblico.
A Roma c’era Herbert Kappler, ufficiale delle SS: era il 26 settembre quando Kappler, ricorda Picciotto, convocò il Presidente della comunità israelitica di Roma Ugo Foà e il Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, Dante Almansi, intimando loro la consegna, entro trentasei ore, di 50 chili d’oro, pena la deportazione. Era un chiaro inganno: Kappler stesso era a conoscenza della futura retata, ma il tutto si inseriva nel malato circuito nazista. Non solo persecuzione fisica, ma anche rapina ed esproprio immotivato. Il “riscatto” fu pagato, ma ancora nelle settimane successive, dalla comunità vennero rubati i ruoli dei contribuenti e saccheggiata la preziosissima biblioteca, il cui contenuto risulta ancora perduto. E così si arrivò al 16 ottobre, una data importante per Roma e l’Italia: il sabato nero iniziò alle 5 e 30 di mattina e durò fino alle 14. Oltre mille persone furono deportate ad Aushwitz. Ne torneranno solamente 16. C’è un terreno difficile, che ancora oggi divide gli storici, interrompe De Bortoli. Ovvero la figura di Pio XII. Negli anni 2000, risponde Picciotto, furono rivenuti dei radiomessaggi che testimoniavano il campo di lavoro Mauthausen come luogo di arrivo. Quindi almeno inizialmente gli ebrei romani non erano destinati alla morte. E la motivazione è inquietante.

I tedeschi avevano infatti timore della reazione vaticana, reazione che non avvenne e diede quindi adito al cambio di rotta del convoglio partito da Roma.
«Gli ecclesiastici a Est, penso alla Russia e alla Polonia, raccontavano continuamente al pontefice ciò di cui erano a conoscenza. Papa Pacelli era a conoscenza dell’eccidio degli ebrei e mantenne il riserbo più assoluto» dice Liliana Picciotto. A nulla servì nemmeno la denuncia della Principessa Pignatelli, amica personale del papa, che quel 16 ottobre si recò personalmente in Vaticano, che distava circa un chilometro dall’epicentro del rastrellamento. Si sa però che in seguito a ciò, venne chiamato dal Cardinale Maglione l’ambasciatore tedesco in Vaticano. «Il verbale di quell’evento venne ritrovato negli anni ’60 – continua Picciotto – e il tutto è possibile riassumerlo così: se voi tedeschi mi promettete che non succederà più nulla, a posto. Così. Nessuna nota diplomatica. Nessuna protesta». A conclusione della serata, l’intervento di Rav Arbib: «Dice il midrash, il faraone prima di perseguitare gli ebrei chiese consiglio a tre saggi, Ytrò, Bilam e Yov. E mentre il primo si oppose alla persecuzione, e per questo fuggì, Bilam approvò, e Yov ancora tacque. Ecco, credo che l’indifferenza sulla Shoah sia identificabile in Yov: non si tratta di semplice indifferenza, è propria di chi non interviene ragionandoci sopra. È mancato il sentimento di solidarietà, chesed in ebraico, è mancata l’umanità». E dopo aver ricordato con elogi chi, comunque nell’avversità, ebbe il coraggio di rimanere ebreo, conclude: «Noi oggi dobbiamo cogliere i segnali. Stiamo assistendo da una parte alla rinascita dell’estrema destra e dall’altra all’antisemitismo islamico, che continua a diffondersi senza che ci sia una vera opposizione».