di Fiorella Nahum
“Alla ricerca delle radici del male” di Israel Cesare Moscati presentato l’Auditorium dell’Umanitaria, scelto dall’Associazione Nestore e dalla Società Umanitaria
La parola “memoria” viene usata in genere con riferimento alle persone adulte e anziane, quelle che hanno una storia e un passato alle spalle, e che non possono per loro natura identificarsi con lo slogan senza radici e senza futuro, di moda oggi, e tanto caro ai giovani: “life is now”. Un’altra importante accezione del termine “ memoria” è quella riferita a un recupero di identità attraverso il ricordo e la narrazione delle storie di vita individuali, spesso sbiadite nel corso degli anni, per aiutare le persone avanti con l’età a riprendere fiducia in se stesse, ripercorrendo le loro esperienze e la loro autobiografia (v. seminario Mnemon e Laboratorio di narrazione autobiografica di Nestore)
Ma la “Memoria” può essere anche, e soprattutto, un dovere verso i giovani, se la abbiniamo alla grande tragedia della Shoah, che viene simbolicamente ricordata il 27 gennaio, data in cui fu liberato dai nazisti il campo di Auschwitz Birkenau. I testimoni rimasti sono ormai pochi e sempre più vecchi, e stanno scomparendo, ma restano i figli e i nipoti ai quali trasmettere il ricordo di ciò che fu, nel tentativo di collegare passato e futuro, senza perdonare o rinnegare, ma con la prospettiva di comprendere e ritrovare una consapevolezza etica e morale su quanto accaduto, e una speranza per andare avanti.
Questo è lo spirito che permea lo straordinario film di Israel Cesare Moscati “Alla ricerca delle radici del male”, presentato lo scorso ottobre all’Auditorium Unicredit a Milano, al 3° Festival Internazionale del Documentario, e scelto dall’Associazione Nestore e dalla Società Umanitaria per organizzare, per la prima volta assieme, l’evento del 25 gennaio presso l’Auditorium dell’Umanitaria, mirato a ricordare la Shoah.
È stato un pomeriggio importante, sotto molti aspetti: la qualità del film, la partecipazione generosa di altri partner quali Humaniter e CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), le riflessioni interessanti proposte dal panel che ha introdotto la proiezione: il filosofo Mino Chamla, i docenti ed esperti di cinema della Fondazione Humaniter, il Direttore del CDEC Gadi Luzzatto Voghera e Israel Moscati, autore e regista di profonda umanità e sensibilità, che ha parlato per ultimo spiegando le motivazioni sociali e personali che stanno dietro al suo film. Infine, la felice sinergia progettuale e operativa fra la Società Umanitaria e l’Associazione Nestore, che prelude bene per il futuro.
L’idea originale che ha guidato Moscati, (che ha avuto ben 49 membri della sua famiglia deportati e trucidati dai nazi-fascisti, e che è riuscito a elaborare il lutto e a parlare solo molti anni dopo, in età adulta) è stata quella di far incontrare per la prima volta di fronte alla macchina da presa, i figli e i nipoti delle vittime con i figli e i nipoti dei carnefici, nei vari luoghi dove gli eccidi sono avvenuti: il campo di concentramento di Auschwitz Birkenau e quello di Plaszow, il bosco di Niepolomice in Polonia, le Fosse Ardeatine a Roma, il Binario 21 a Milano, mettendo a confronto consapevolezze, dolori e coscienze, contrapposti e diversi, attraverso dialoghi, spesso toccanti, di profondo spessore umano. Il risultato è stata la ricostruzione di un percorso faticoso e sofferto, alla ricerca di potersi guardare negli occhi, di capire e di capirsi, senza che la parola “perdono” venga mai pronunciata. Ma con una speranza per il futuro, che la Storia, così come le tante e diverse storie dei protagonisti di questo film, non si ripeta mai più.
Il film lancia un ineludibile messaggio ai giovani sulla necessità di alimentare e conservare per il futuro il prezioso patrimonio della Memoria, aggiungendo valore alle testimonianze dei superstiti, messaggio riflesso anche negli occhi lucidi del numeroso pubblico, attento e commosso, che affollava la sala.
Un’ultima annotazione: Israel Cesare Moscati porta i suoi film in giro per le scuole d’Italia, dialogando con insegnanti, alunni e studenti, perché, ci dice, “sento questo come un dovere morale della mia vita”.
(Il foglio dell’Umanitaria, 19 febbraio 2018)