di Ilaria Myr
«Penso che fare una qualsiasi esperienza di volontariato e dare il proprio tempo per gli altri sia importante e lodevole. E per me l’averlo fatto al Magen David Adom quando ero ancora al liceo mi ha davvero dato tanto: mi ha preparato meglio alla vita, mettendomi davanti a situazioni difficili, e mi ha insegnato l’importanza di potere aiutare le persone concretamente». A parlare è Uria Lazare, shaliach a Milano dell’ufficio israeliano dell’educazione, del Benè Akiva e insegnante di ebraico alla scuola ebraica, che all’età di 16 anni, in seconda liceo, ha deciso di diventare volontario del Magen David Adom. Di questa esperienza ha parlato in classe durante una lezione, affascinando e interessando i presenti.
«Era il 2002, era il periodo dell’Intifada e degli attentati – continua -. Mio fratello era nell’esercito e mi raccontava cosa succedeva, e io realizzai che anche io volevo fare qualcosa. A scuola ci proposero un corso di 60 ore al Magen David Adom con esame finale, e poi si entrava a fare i turni in ambulanza (in Israele si usa fare esperienze di questo tipo fra i giovani). Il mio primo turno? Non successe nulla: restammo 8 ore ad aspettare che il telefono suonasse ma nulla… Devo ammettere che ero un po’ deluso. Ma già la volta dopo fummo chiamati per un caso molto difficile: un uomo molto anziano che aveva perso i sensi, e che non riuscimmo a rianimare. Ecco, forse per una seconda volta questo fu un po’ troppo… Ma volevo continuare perché avevo capito che potevo imparare a gestire le emozioni».
Quando sei volontario al Magen David Adom succede di tutto: incidenti stradali, domestici, malori, donne che devono partorire, persone che vogliono suicidarsi… «Una volta un signore si era sentito male a un funerale – racconta – e quando siamo arrivati non aveva più battiti. Ma dopo due scosse con il defibrillatore abbiamo visto il cuore riprendere a funzionare di colpo. È stato davvero come nei film: un istante prima era morto, dopo aveva gli occhi aperti e ci parlava. Un miracolo».
Interessante, in questa esperienza, è anche il fatto che si viene in contatto con persone di tutte le età e di tutte le estrazioni. «Io sono cresciuto in un moshav e in una scuola religiosa, un ambiente insomma molto omogeneo dove difficilmente si incontrava qualcuno di diverso. Lavorando per l’MDA ho invece conosciuto altri volontari, giovani come me, provenienti da contesti differenti, con cui siamo diventati amici. E questo mi ha portato a volere poi, con mia moglie Dvorah, vivere a Beer Sheva, e ora, quando torneremo in Israele, vicino a Haifa, in un villaggio in cui c’è di tutto. Perché siamo convinti che sia molto importante aprirsi e capire gli altri».
L’invito ai giovani è quindi quello di dedicare il proprio tempo agli altri, a impegnarsi in prima persona per cambiare, anche solo di poco, il mondo. «Sarebbe bello che anche in Comunità ci fossero attività di volontariato in cui possano essere coinvolti i giovani, al di là di quelle organizzate dai movimenti giovanili – auspica Lazare – per rafforzare il legame con la comunità e i suoi membri».