Quando il perfezionismo diventa il nostro freno a mano

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di Dalia Fano, responsabile JOB

Hai mai avuto l’impressione che il tuo desiderio di fare le cose al meglio si trasformasse in una gabbia? Il perfezionismo, spesso travestito da ricerca di eccellenza, può trasformarsi in una trappola insidiosa. Nelle grandi azioni come nelle piccole cose quotidiane, può diventare un ostacolo che blocca, impedendoci di avanzare, o nel migliore dei casi impedendoci di lasciare spazio alla nostra parte più autentica, creativa ed intuitiva, proprio perché imperfetta.

Il perfezionismo come meccanismo di difesa
Il perfezionismo può essere visto come un meccanismo di difesa contro la paura del fallimento e del giudizio. Spesso, chi è perfezionista ha interiorizzato l’idea che solo attraverso la perfezione può essere visto, riconosciuto, accettato. Questo può portare a una continua ricerca di approvazione esterna, che diventa una fonte di stress e ansia.

La trappola dell’auto-sabotaggio
Spesso il perfezionista parte da una premessa inconscia che stabilisce che per fare bene si debba prendere spunto dagli altri, perché di sé stessi non ci si può accontentare, quello che scrivo io è banale, ma se lo stesso concetto lo scrive la Harvard Review allora va benissimo. La ricerca del perfezionista può divenire una storia infinita.
E chi scrive ne sa qualcosa, ricordo ancora il tempo che ci ho messo per chiudere la tesi di laurea, un malloppo di 450 pagine che invecchiava mentre lo scrivevo, un lavoro di eccellenza è vero, ma ne valeva la pena? No per il tempo perso a scriverlo, per la cura eccessiva del dettaglio, ogni termine poteva aprire altre piste di ricerca, e se non fosse per un amico che mi aiutava a ricomporre tutte quelle informazioni, io sarei ancora lì a capire quando sarebbe arrivato il momento di chiudere.
Il perfezionista non è mai veramente soddisfatto del suo lavoro, è un giudice spietato che si auto sabota, e che in fondo in fondo si crede diverso dagli altri, perché gli altri non hanno ricevuto il suo stesso mandato: lui deve eccellere, distinguersi, fare di più, fare meglio. Non si rende conto delle ricadute di questo “mandato”, la grande perdita di tempo che ogni suo lavoro comporta; la perdita di relazioni autentiche per questo suo dover fare meglio degli altri; la perdita di prospettiva e della big picture a favore di dettagli spesso ridondanti, la perdita di spontaneità perché ogni cosa diventa troppo studiata e perfetta. La creatività ha il bisogno di poter fluire, se viene imbrigliata si spegne.

Il ruolo della vulnerabilità
Chiedere aiuto può fare la differenza e frenare l’impulso a rivedere compulsivamente il proprio lavoro, chi ci legge o rivede il nostro prodotto si accorge di quanto sia ok e ci riporta a rispettare la dead line. Spesso anche lasciare in pausa il proprio lavoro e rivederlo dopo un giorno o due ci permette di sorprenderci positivamente del lavoro svolto.
Pensiamo a situazioni comuni: scrivere una mail importante o consegnare un progetto. Quante volte ci troviamo a rimandare perché “non è ancora ok”? La paura di sbagliare, di essere giudicati o di non essere all’altezza ci porta a procrastinare o, peggio, a rinunciare del tutto, a non iniziare mai veramente, e quindi a non finire.
Sapere che l’imperfezione spesso è meglio del vuoto: una bozza anche se da subito non è perfetta, fa parte del processo di lavoro, mettere in moto il processo creativo prima che sia perfetto, è liberatorio, legittima la nostra parte vulnerabile che spesso è proprio quella più unica ed originale.

Il perfezionismo nelle cose quotidiane
Ad esempio, Ester, una donna di 31 anni, preparata e capace, raccontava durante un colloquio: “Mi muoverei solo se vedessi un’opportunità per il futuro.” Nonostante avesse tutte le carte in regola per cercare un lavoro per lei soddisfacente e gratificante, o addirittura per riprendere gli studi, continuava a rimandare, aspettando il momento giusto. Questo mito del “momento perfetto” è una delle maschere del perfezionismo: ci tiene fermi nell’attesa di condizioni ideali che raramente si realizzano.
Un’altra situazione ricorrente riguarda chi si blocca nel completare compiti apparentemente semplici, come redigere un report o finalizzare un documento. La ricerca della perfezione può portarci a rivedere continuamente ogni dettaglio, fino al punto di perdere di vista l’obiettivo principale. Questa procrastinazione mascherata ci priva non solo del tempo, ma anche dell’opportunità di poter ricevere feedback e migliorare.

Quando rinunciamo a valorizzare il nostro contributo
Spesso l’idea iniziale è valida, ma il perfezionismo ci fa dubitare: non ci basta il sufficientemente buono, non è abbastanza. E allora o non consegniamo il progetto, il report, l’articolo, perché ci perdiamo nei labirinti della perfezione, o lo consegniamo ma in ritardo, privandoci della soddisfazione e delle opportunità che potrebbero derivarne.

La potenza delle domande
Lo abbiamo già osservato nei precedenti articoli, le domande possono essere strumenti potentissimi per affrontare un blocco.
Se senti che il perfezionismo ti sta frenando, prova a porti alcune domande riflessive:
• Cosa mi serve realmente per chiudere e consegnare?
• Qual è il rischio peggiore se sbaglio?
• Qual è il costo del rimandare ancora la chiusura?

Scrivere le risposte a queste domande può aiutarti a identificare i blocchi e a prendere consapevolezza del loro impatto sulla tua vita.

Il perfezionismo e l’idea grandiosa di sé
Alla base del perfezionismo si nasconde spesso uno schema che non sempre ha ragione di essere: che origina da timore del fallimento, di essere valutati o di non essere abbastanza. Questa paura ci porta a credere che “se non è perfetto, non ha valore”, un pensiero che paralizza più di quanto immaginiamo.
Paradossalmente, il perfezionismo potrebbe anche nascondere un’idea grandiosa di sé, quasi onnipotente. Questo aspetto del perfezionismo è spesso meno evidente, ma altrettanto significativo. L’immagine ideale che abbiamo di noi stessi – impeccabili, sempre competenti, incapaci di errore – crea una pressione interna insostenibile. Quando crediamo di dover essere perfetti, non lasciamo spazio all’errore, al dubbio o alla crescita, al piacere di fare con leggerezza.
Riconoscere questa idea grandiosa di sé è cruciale: solo accettando la nostra imperfezione e vulnerabilità, possiamo liberarci dal peso del pensiero perfezionista e permetterci di avanzare, anche imperfettamente.

Il perfezionismo e le relazioni interpersonali
Il perfezionismo non solo influisce sul nostro benessere personale, ma può anche creare una distanza significativa tra noi e gli altri. La costante ricerca della perfezione può farci apparire distaccati, critici e poco empatici. Le persone intorno a noi potrebbero sentirsi giudicate o non all’altezza, portando a tensioni e incomprensioni. Inoltre, il perfezionismo può impedirci di chiedere aiuto o di collaborare efficacemente, poiché temiamo, sotto sotto, che gli altri non siano in grado di raggiungere i nostri standard elevati. Questa percezione può danneggiare le nostre relazioni e privarci del supporto e della connessione umana di cui abbiamo bisogno.

Come rompere il circolo del perfezionismo
Per superare il perfezionismo, è utile iniziare con azioni pratiche:
• Riconoscere innanzitutto lo schema: il lavoro inizia a girare su se stesso, a perdere di senso e di efficienza, e la ricerca di miglioramento da stimolo si trasforma in eccesso di dettagli
• Accettare l’imperfezione: Il primo passo è riconoscere che nulla può essere perfetto. Ad esempio, se stai scrivendo un progetto, consegnalo comunque, sapendo che è migliorabile. Ascolta eventuali feedback, potrebbero sorprenderti.
• Stabilire un limite di tempo: Decidi quanto tempo dedicare a un compito. Ad esempio, “In 30 minuti scrivo questa mail, senza rileggerla 10 volte.”
• Nice to have: Inserisci in questo spazio tutto quanto non è indispensabile e solo se ti restasse tempo ti ci puoi dedicare.
• Fai la differenza tra un approfondimento e un inutile “ricamarci sopra”.
• Usare “al meglio che posso” come tuo metro: Concentrati su fare del tuo meglio con le risorse e il tempo a disposizione, piuttosto che cercare la perfezione assoluta.

Riflessione finale: scegliere il movimento d’insieme invece del dettaglio
Alla fine, il perfezionismo non è sinonimo di eccellenza, ma di paralisi. Sbloccarci significa scegliere il movimento, accettando che l’imperfezione è una parte essenziale del processo di sviluppo di un lavoro. Solo così possiamo progredire, sperimentare e scoprire nuove opportunità, abbracciando la nostra imperfetta autenticità e creatività.