1866-2016: 150 anni di Comunità ebraica a Milano. Ma quale futuro?

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di Ilaria Myr

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da sinistra: Betti Guetta, Rav Roberto Della Rocca, Rony Hamaui

Una Comunità composita e variegata fin dalle sue origini, molto radicata nel tessuto sociale ed economico cittadino e nazionale, che negli anni ha saputo accogliere persone provenienti da ogni angolo di Italia e del mondo, diventando sempre più cosmopolita. Ma anche una realtà che negli ultimi anni sta subendo un drammatico calo demografico, pari soltanto a quello avuto durante l’occupazione nazista, che impone una riflessione approfondita sulle cause e una strategia concreta per assorbirne gli effetti.
È questa la fotografia della Comunità Ebraica di Milano emersa lunedì 8 febbraio durante la serata organizzata da Kesher sui 150 anni della nostra Comunità, tema a cui è dedicato un libro di prossima pubblicazione di Rony Hamaui.

Una comunità cosmopolita
Frutto del lavoro di tre anni di ricerche e studio, il testo – uno dei pochissimi esistenti oggi sulla storia della Comunità ebraica milanese – nasce dalla volontà del suo autore di raccontare ai giovani le vicende e i personaggi della Comunità a cui appartengono. “I nostri figli non sanno chi era Sally Mayer, nonostante frequentino una scuola che si trova in una via a lui dedicata – ha spiegato Hamaui durante la serata Kesher -. Oppure non sanno la storia della sinagoga di via della Guastalla, o chi era Alessandro Da Fano, che dà il nome alla scuola ebraica. Il mio libro vuole comare queste lacune, così come spiegare la nostra storia ai non ebrei che ne sono interessati”.

Il testo prende in considerazione 200 anni di storia circa. Un excursus veloce che occupa un capitolo rivela che nei primi 18 secoli la vita ebraica a Milano è stata molto esigua. Certo, c’è qualche traccia sparsa un po’ nella città che ne testimonia la presenza – ad esempio, due lapidi nel cortile della basilica di Sant’Ambrogio –ma di fatto fino al XIX secolo la nascita di una vera e propria comunità ebraica fu resa impossibile dalle politiche dei vari governi. Si ricordi solo che nel 1597, sotto regime spagnolo, vi fu la cacciata dei pochi ebrei che risiedevano a Milano.

Solo dal  1791, con l’estensione agli ebrei dei diritti fondamentali riconosciuti dopo la rivoluzione francese, e poi con la caduta di Napoleone si comincia a parlare di ebrei a Milano. La città in quegli anni è un centro economico fiorente e gli ebrei cominciano a stabilirvisi per lavorare.
“Molto interessante è quello che rivela il documento, consultabile all’Archivio di Stato, intitolato Rubrica degli israeliti – continua Hamaui -. Tra il 1800 e il 1866 a Milano la Comunità ebraica di Milano è così composta: 29% mantovani, 20% da Veneto e Friuli; 11% Romagna, Parma, Piacenza, Modena e Reggio; 17% stranieri (askenaziti e tedeschi) e 14% altre località. Quindi una comunità molto cosmopolita, composta da persone che non parlano la stessa lingua – allora  non esisteva ancora l’Italia e quindi l’italiano -, ma che, nonostante queste profonde differenze e nonostante non offra ancora molti servizi, riesce a esistere e sopravvivere”.

Sotto gli Asburgo Milano dipende dalla più ampia comunità ebraica di Mantova, come vuole il Codice austriaco. Ma nel 1866 (il giorno esatto non è noto), 11 anni dopo la nascita del Consorzio israelitico, la comunità ebraica di Milano diventa indipendente da Mantova da un punto di vista giuridico. Nasce quindi ufficialmente la Comunità ebraica di Milano. Gli ebrei diventano attivi nel tessuto economico e politico della città: basti pensare che molte banche appartengono ad ebrei, così come al fatto che molti furno gli ebrei attivi politicamente.
Da un punto di vista comunitario, però, si tratta di una realtà fragile, che si basa su poche contribuzioni volontarie, e che manca di coesione, data la sua eterogeneità. Si tratta inoltre di una comunità molto laica, dove esiste una scuola frequentata solo dai ceti poveri. E poi c’è la guerra, le leggi razziali e l’impatto delle deportazioni.
“Dopo la seconda guerra mondiale, e soprattutto dagli anni ’50, a Milano continuano ad arrivare molti ebrei immigrati, in particolare dall’Africa orientale e dal Medio oriente. L’integrazione però non è sempre riuscita, e lo stato attuale della Comunità, con sempre meno iscritti, ci deve fare riflettere su come possiamo intervenire per rafforzarla”.

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L’andamento della Comunità ebraica di Milano dal 1866 ad oggi

Tante anime, un’unica Comunità: luci e ombre
Successivamente è intervenuta Betti Guetta, direttrice dell’Osservatorio Antisemitismo del CDEC, che ha fatto alcune considerazioni basandosi sulla ricerca di Enzo Campelli sull’ebraismo italiano uscita circa tre anni fa. “Da questa indagine emerge che quella di Milano è una realtà cosmopolita ricca di vissuti ed esperienze diverse – ha spiegato Guetta -, dove però le provenienze composite hanno creato anche problemi di integrazione. Si tratta di una realtà più istruita di altre, più vecchia demograficamente e più laica”.

Negli ultimi due decenni, però, la comunità ha perso molti iscritti: oggi siamo meno di 6.000 mentre nel 1975 si arrivava a 9.500 unità. Le cause? Il calo demografico, ma anche l’aumento di matrimoni misti e il distacco dall’ambiento comunitario. “La questione oggi centrale è come fare convivere le diverse anime dell’ebraismo milanese così composito al suo interno – ha commentato Guetta -. Perché forse un’eccessiva attenzione all’osservanza religiosa ha finito con l’allontanare dalla Comunità altri ebrei più laici. Forse davvero fra l’establishment comunitario e la sua base si è creata una distanza che fa sì che molti ebrei non trovino più un interlocutore con cui dialogare”.

Ebrei e milanesi: le famiglie Jarach e Modena
Interessanti poi le testimonianze dei rappresentanti di due storiche famiglie ebraiche milanesi: Jarach e Modena. “Mi ricordo che ogni sabato a casa mia c’era la discussione fra mio padre e mio nonno sulla kasherut”, ha raccontato Maria Luisa Modena. Mentre Roberto Jarach ha ricordato l’importanza che la scuola aveva per suo padre e suo nonno. “Entrambi erano convinti che sulla creazione di una scuola comunitaria dovessero concentrarsi gli sforzi – ha ricordato -. Nel 1961 mio nonno Schapira e Sally Mayer comprano il terreno dove è sorta la scuola ebraica e intorno alla quale si sono concentrati gli ebrei che arrivavano dai paesi orientali”. Altro aspetto importante nella famiglia Jarach è la partecipazione alla vita pubblica con la presenza nelle istituzioni pubbliche. “Mio nonno nel 1929 era assessore alle finanze del Comune di Milano – ha continuato Jarach -. Era importante per loro essere bene inseriti nella città e portare la comunità ebraica a essere un punto di riferimento di eccellenza in diversi ambiti”.

Quale futuro?
Alla fine degli interventi, è nata fra i partecipanti un’animata discussione sul tema emerso più volte nell’incontro, e cioè quale sia il futuro di questa comunità. Vi è chi, come già citato sopra, Betti Guetta ha sottolineato il divario che si è creato fra l’establishment comunitario e la base, e come molti ebrei ormai non si riconoscano più nin questa comunità. D’altro canto, ha sottolineato Rav Roberto Della Rocca, “oggi non siamo più capaci di fare vivere quotidianamente l’ebraismo ai nostri figli. Ce ne ricordiamo solo il 27 gennaio. Ma non possiamo rimanere ancorati alle glorie di un ebraismo italiano che non è più quello di un tempo: essere una comunità significa perseverare nella trasmissione dell’ebraismo e trasformare il passato in un futuro possibile. Vogliamo diventare come gli ultimi dei Mohicani?”.