di Marina Gersony
«Abbiamo chiuso la struttura ai parenti e ai visitatori esterni prima delle disposizioni della Regione Lombardia, ossia dal 3 di marzo. Fin dall’inizio dell’emergenza siamo stati tempestivi, abbiamo usato tutti i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), seguito le linee guide, le procedure del Ministero della Salute e del Governo e le disposizioni che man mano ci venivano comunicate. Inizialmente non è stato facile per i parenti accettare questa disposizione, non capivano i motivi per cui non potevano più visitare i propri cari. Tuttavia, dopo qualche settimana, quando la percezione dell’emergenza è stata chiara, sono stati collaborativi comprendendo le ragioni delle nostre decisioni. In questo momento in cui l’emergenza è ancora in atto non abbassiamo la guardia, ma proseguiamo mantenendo tutte le protezioni per tutelare gli abitanti della Casa».
Daniela Giustiniani, 43 anni, napoletana, lavora da 14 anni con impegno e con passione nelle RSA. Oggi ricopre il ruolo di direttrice gestionale presso la Residenza Anziani Arzaga, dove lavora dall’ottobre del 2019. L’abbiamo incontrata per farci raccontare come si svolgono le giornate nella struttura protetta della Comunità Ebraica di Milano e accreditata con DGR Regione Lombardia e con contratto firmato con ASL – Città di Milano. Soprattutto in un momento difficile come quello che stiamo attraversando. (Della RSA della Comunità ha parlato anche la tv israeliana come un modello di successo nell’era Covid-19).
Qual è stato il primo impatto con la Residenza?
«È un ambiente che mi è piaciuto fin dall’inizio perché ho trovato subito una grande accoglienza sia da parte del personale sia da parte della Comunità in generale – osserva la Direttrice –. Per quanto riguarda gli anziani, la prima domanda che mi hanno posto tutti è stata: “ma come vivi questa struttura, cosa ne pensi?” Io, per dare una risposta, non ho guardato le mura, bensì gli anziani, perché per dire com’è un struttura devi osservare prima di tutto loro. Li ho visti tutti ben curati e sereni, seguiti in modo eccellente da tutti i punti di vista, anche grazie a tutte le attività ricreative e riabilitative che vengono organizzate. Un’altra caratteristica di questa RSA è l’apertura non solo alla Comunità ebraica che può usufruire di un Tempio all’interno della struttura, ma anche a tutte le confessioni religiose».
Come ben sapranno i nostri lettori, gli ospiti di fede ebraica possono infatti seguire le funzioni di Shabbat e tutte le attività culturali legate allo studio dell’ebraismo con la collaborazione dell’ufficio rabbinico. Non ultima l’osservanza della dieta kasher è posta sotto la stretta sorveglianza del Rabbino Capo.
«Questa residenza, dotata di 102 posti letto, è come un piccolo villaggio – prosegue Daniela Giustiniani –. I nostri anziani sono longevi, ma spesso con un decadimento cognitivo importante. In questo momento l’età media dei nostri “residenti” è di 89 anni. Ci tengo a precisare che sono residenti perché questa è casa loro. L’equipe è multi-disciplinare ed è composta da personale sanitario, assistenziale ed educativo. L’attenzione per loro è ampia e integra aspetti diversi: dal prendersi cura, dalla parte sanitaria assistenziale, riabilitativa a quella educativa e relazionale».
Quanto conta la compagnia per una persona in età avanzata?
«Una situazione diffusa è quella dell’anziano non autosufficiente a casa da solo con badante. Molto spesso questo comporta una certa solitudine che può compromettere le facoltà cognitive, che gradualmente tendono a rallentarsi o a regredire avendo anche effetti sul tono dell’umore. All’interno di una RSA invece il tempo scorre e sono presenti più stimoli, c’è più movimento e possibilità di stare in relazione».
A proposito di relazione, come sono i rapporti tra gli anziani all’interno della struttura?
«Si possono ritrovare vecchie amicizie e conoscenze o costruire nuove relazioni anche grazie alle attività proposte che facilitano lo scambio nel rispetto di ciascuna individualità e desiderio».
Anche il volontariato ha un ruolo importante.
«All’interno della Casa abbiamo anche un’associazione di volontariato ben strutturata, molto presente e attiva che rappresenta un valore aggiunto per l’equipe e per i residenti, il Volontariato Federica Sharon Biazzi».
Com’è stato vissuto dagli anziani questo periodo drammatico di pandemia?
«Non si può negare che abbiano sentito – e che sentano – la mancanza dei loro cari che non possono vedere. In questa situazione l’equipe socio-educativa è stata ed è fondamentale in quanto svolge un ruolo di mediazione e facilitazione tra la realtà inter (affetti) e intra personale (mondo intimo). Abbiamo preso tutta una serie di iniziative: gli educatori hanno organizzato videochiamate per consentire ai parenti di vedere i loro cari attraverso i cellulari. Poi abbiamo pensato di far scrivere ai familiari una lettera allegando – per chi voleva – delle fotografie, un po’ come si faceva una volta. Molti hanno aderito con entusiasmo ed è stato bello leggere ai nostri anziani queste lettere, è stato davvero commovente per loro e ha commosso molto anche noi. Abbiamo deciso da subito di instaurare una comunicazione trasparente con i familiari inviando a cadenza setti-manale e-mail riguardo alla salute dei loro cari e all’andamento della situazione. Un giorno, per esempio, abbiamo mandato loro una foto suggestiva delle mani di un signore di 101 anni mentre suonava il piano; un’altra volta abbiamo festeggiato il compleanno di un anziano in modo un po’ diverso rispetto a prima della pandemia. Non potendo festeggiarlo come di consueto a causa dell’isolamento, abbiamo pensato di inoltrare un video a tutti i familiari per condividere un momento importante. Infine, viste le disposizioni della Regione Lombardia che non consentono le visite ravvicinate, abbiamo avuto l’idea – tempo permettendo – di far incontrare i parenti con i loro anziani a distanza. In pratica i famigliari restano fuori dalla struttura davanti al cancello, e l’anziano viene accompagnato dagli educatori in cortile e in giardino a distanza di sicurezza. L’iniziativa è stata bene accolta in generale. Nonostante il cancello divisorio, è stato emozionante vedere la gioia e la commozione dei congiunti che hanno potuto finalmente rivedersi dopo mesi. Ci impegniamo a non farli sentire mai da soli, pur consapevoli di non poterci mai sostituire ai loro cari».
Come si possono alleviare i momenti di maggiore sconforto?
«Abbiamo avviato all’inizio del lockdown dei piccoli gruppi di pratica mindfulness. Una pratica di meditazione rivolta sia al personale sia ai residenti. In sintesi la mindfulness aiuta a fare pausa, a posare l’attenzione sul respiro e sul corpo, a stare nel presente in un momento in cui le emozioni, paura, ansia e stress sono molto intense. Un sollievo, una pausa che porta a radicarsi e sentire con più calma, fermando il rimuginío mentale che induce e favorisce stati ansiosi e depressivi. Il farlo in piccoli gruppi ha creato connessioni e legami, anche solo emotivi. La mindfulness insegna anche a fare pace con la propria vulnerabilità e favorisce una maggiore serenità rispetto al-lo scorrere del tempo. Con il suo radicare l’esperienza nel momento presente, la mindfullness è un valido trattamento non farmacologico del disagio emotivo connesso a questa inedita situazione, alla vecchiaia e allo scorrere del tempo».
Un’iniziativa ben pensata quella di adottare la meditazione consapevole. Come ha scritto in un bell’articolo su questo stesso giornale Veronica Harari (Mindfulness e l’arte della meditazione ebraica, Ottobre 2018), forse non tutti sanno che essa è presente anche nel mondo ebraico già dai tempi dei primi Chassidim. In breve, è una pratica che conosce un uso millenario anche nell’ebraismo. Tre le parole chiave: Hitbonenut, Hitbodedut, Kavanah, per vivere pienamente nel “qui e ora” in pace con la propria anima e con se stessi. Non a caso i saggi del Talmud meditavano tre volte al giorno, un’ora prima della preghiera, un’altra durante, e infine un’ora dopo la preghiera, per poter scendere nell’aere mondano…