di Anna Lesnevskaya
Cimiteri vandalizzati, allarmi bomba, svastiche sui muri di templi e scuole.
Gli Stati Uniti sono ancora una terra di libertà e sicurezza per gli ebrei
del mondo? Sì, dicono storici e analisti. Malgrado le cronache, siamo ancora molto lontani dai livelli di antisemitismo di Paesi come la Francia
Nathan, 30 anni, si chiede se Brooklyn sia ancora lo stesso quartiere che ha accolto i suoi bisnonni in fuga dai pogrom russi. La stessa domanda se la pone Ester, 56 anni, di origine siriana, i cui nonni lasciarono Aleppo nel 1946, per essere accolti tra le braccia muscolose e accoglienti degli States. Anche Sandra, famiglia originaria di Mashad, cresciuta a Milano e da poco espatriata nella comunità persiana di Long Island (NY), si chiede che cosa stia succedendo nel bengodi americano, da sempre terra di libertà per tutte le minoranze, patria comune di tutti i fuggiaschi, ebrei in primis.
Dall’inizio dell’anno non è passata una settimana senza che un’organizzazione ebraica negli USA non abbia ricevuto minacce e comunicazioni minatorie. Non passa giorno che l’Anti Defamation League (ADL) non aggiorni la propria mappa di luoghi o enti colpiti: i casi si estendono dalla East Coast al Pacifico, dal Nord al Sud. Stando alle cronache, nel mese di febbraio, due cimiteri ebraici, uno a St. Louis e l’altro a Filadelfia, hanno subito atti vandalici e profanazioni, una specie di Carpentras americana, come è stata chiamata l’escalation, in riferimento al famigerato caso del cimitero vandalizzato nel 1990, nel Sud della Francia. I sei milioni di ebrei americani – la comunità più vasta dopo quella di Israele – sembrano aver riscoperto da un giorno all’altro il pericolo del vecchio antisemitismo.
Allarme, preoccupazione, certo. Storici e analisti minimizzano e ridimensionano, ma il fatto c’è e chiede di essere decodificato. Gli Stati Uniti sono ancora una grande terra di libertà o si stanno trasformando in un paradiso perduto? Gli analisti segnalano che, in realtà, il fenomeno non è nuovo, l’avversione nei confronti degli ebrei ha radici lontane nella recente storia americana; ma stavolta c’è un dato di novità, sottolineano.
Ovvero che la vittoria di Donald Trump sembra aver legittimato quei gruppi di Suprematisti bianchi dell’estrema destra neonazista (che lo hanno votato in massa), sdoganandone la xenofobia e la violenza. E senza voler cedere all’allarmismo, molti esponenti di Congregation ebraiche sostengono che la Casa Bianca non stia facendo abbastanza per condannare l’antisemitismo. Mentre l’FBI indaga sulle responsabilità, la Comunità ebraica americana è polarizzata: i falchi del campo repubblicano – che hanno tifato per Trump – fanno quadrato e rinfacciano quest’impennata dell’antisemitismo ai progressisti.
Secondo i dati dell’ADL, dai primi di gennaio ad oggi, circa la metà dei Centri Comunitari Ebraici (JCC) negli USA, precisamente 72 su 151, hanno ricevuto telefonate o mail minatorie per un totale di circa 150 episodi in due mesi. In alcune organizzazioni, infatti, l’allarme bomba è scattato diverse volte, causando evacuazioni e provocando l’angoscia e la rabbia degli iscritti. Asili, palestre, corsi di cucina per anziani, tutto questo si trova nei JCC, dove gli ebrei statunitensi, spiega la scrittrice Jennifer Weiner sul New York Times, portano avanti da sempre le normali attività della quotidianità ebraica. Infatti, scrive Weiner, i JCC erano stati pensati proprio per facilitare l’integrazione degli ebrei nella società Usa.
Il disprezzo antiebraico negli Usa non è mai stato così forte dal 1930, ha dichiarato Jonathan Greenblatt, direttore dell’ADL, durante una conferenza a New York intitolata “Never is now!” (mai è adesso). «La nostra comunità, non vedeva un tale livello di antisemitismo in politica e discorsi pubblici dal 1930. Purtroppo, questo coincide con l’aumento dell’odio verso altre minoranze». Greenblatt ha anche passato in rassegna gli attacchi antisemiti durante la campagna presidenziale del 2016. «L’antisemitismo ha continuato a proliferare. Secondo alcune statistiche divulgate dall’FBI, gli ebrei soffrono di crimini religiosi due volte di più che gli altri gruppi religiosi. Tuttavia, niente di paragonabile con quanto accade nella vecchia Europa e in particolare in Francia, dove l’antisemitismo ha superato da tempo il livello di guardia.
A febbraio una mail minatoria è arrivata anche al Jewish Center, che ospita una delle sinagoghe di riferimento dell’Upper West Side di Manhattan, quartiere liberal, situato a pochi passi da Central Park. Come ci racconta Rav Yosie Levine, rabbino Modern Ortodox, «alcuni dei membri sono preoccupati, ma nessuno ha ancora cambiato il proprio stile di vita a causa di queste minacce. Non dobbiamo essere allarmisti, – dice Rav Levine. – Non ce n’è motivo e non c’è un solo posto in questo Paese dove finora mi sia sentito in pericolo in quanto ebreo». Levine aggiunge, tuttavia, che non ricorda di aver mai sentito che un cimitero ebraico negli USA sia stato profanato. Finora. Come è invece accaduto il 20 febbraio quando un intero sobborgo di St. Louis (Missouri), si è risvegliato scoprendo che quasi 200 monumenti funebri al cimitero ebraico di Chesed Shel Emeth erano stati buttati a terra. Per una triste coincidenza, è il cimitero dove sono sepolti gli avi della giornalista Ariana Tobin che raccoglie per il sito ProPublica i dati sulla recente impennata di crimini d’odio in America. Le tombe di questi emigrati dall’Est Europa sfuggiti all’Olocausto sono rimaste indenni. Ma la giovane Tobin ha raccontato il suo stupore quando i genitori le hanno parlato di voler investire il denaro contante e le monete d’oro per dotarsi di un fucile, nel caso “la situazione peggiori”. Lo scempio si è ripetuto il 26 febbraio al cimitero ebraico di Mount Carmel a Filadelfia (Pennsylvania), con più di 100 tombe vandalizzate. E ancora, il 2 marzo una dozzina di tombe è stata profanata al cimitero di Vaad Hakolel a Rochester (New York). A questo si aggiungono diverse sinagoghe vandalizzate, come quelle di Chicago (4 febbraio) e di Ohio (6 marzo), con numerose svastiche e altre scritte antisemite rinvenute in giro per gli States che, accanto a frasi tipo “bruciate gli ebrei”, inneggiavano a Trump (come è avvenuto in un bagno di una scuola a Newton, Massachusetts).
«Non ricordo un altro periodo in cui i Suprematisti bianchi si sentissero a tal punto i benvenuti alla Casa Bianca», ha detto in un’intervista Oren Segal, Direttore del Centro Studi sull’Estremismo dell’ADL, a New York. I media hanno documentato come Richard Spencer, leader del movimento ultranazionalista Alt-right, abbia gridato a una conferenza, dopo la vittoria di Trump alle presidenziali, “Heil Trump!”, sulla falsariga del saluto nazista. L’organo di stampa di riferimento di Alt-right è il sito Breitbart News fondato inizialmente con istanze-paravento filoisraeliane, ma che finì per veicolare retorica antisemita. Breitbart era diretto da Steve Bannon prima che questi diventasse stratega di Trump alla Casa Bianca.
Ad oggi, l’unico arrestato in relazione a minacce agli JCC è un ex giornalista, Juan Thompson, 31 anni, afroamericano di St. Louis, il cui fermo è stato reso noto il 3 marzo. Thompson, che voleva vendicarsi di una sua ex fidanzata incolpandola delle minacce, non sembra essere un sostenitore di Trump. Informazione accolta con piacere da alcuni commentatori ebrei di area conservatrice, perché serve a sostenere la loro tesi secondo la quale la portata dei recenti atti antisemiti sarebbe esagerata dai media liberal, mentre gli stessi non avrebbero messo abbastanza in evidenza “l’antisemitismo di sinistra deflagrato durante l’amministrazione Obama e minimizzato ad arte per non creare scandalo”.
Mentre è ancora troppo presto per confrontare i dati e addossare le responsabilità, è tuttavia possibile guardare alla situazione in chiave prospettica. «Un certo tipo di antisemitismo in Usa c’è sempre stato, ma il suo ritorno attuale è indubbiamente favorito dal clima politico di questo periodo, – spiega Daniele Fiorentino, Professore di Storia degli Stati Uniti all’Università Roma Tre. «Gli umori antisemiti erano già diffusi all’inizio del Novecento con l’arrivo delle masse ebraiche dalla Russia e dalla Polonia, in fuga dai pogrom», aggiunge il professore. «In seguito, il sentimento antiebraico si è riaffacciato negli anni Trenta con il movimento filonazista America First Committee raccontato molto bene da Philip Roth nel romanzo Il complotto contro l’America (e quel nome non può non far venire in mente lo slogan di Trump, America First). La situazione cambiò in meglio solo negli anni Sessanta con la legge sui diritti civili di Lyndon Johnson. Oggi, Trump ha dato voce a una America rimasta periferica e in ombra, oscurata dopo il successo del Movimento per i diritti civili, ma da sempre molto presente negli stati del Sud», spiega Fiorentino.
«Negli ultimi 100 anni, stereotipi razzisti se non addirittura vere e proprie politiche antisemite, hanno caratterizzato la cultura americana e i suoi umori profondi», dice Raffaella Baritono, docente di Storia e Politica degli Stati Uniti d’America presso la Scuola di Scienze Politiche dell’Università di Bologna. Secondo la studiosa, «ci sono delle fasi della storia americana in cui i tempi della paura riemergono e l’antisemitismo esplode come fenomeno più oscuro». Così è stato, ad esempio, negli anni Cinquanta con il maccartismo. «Il linguaggio usato da Trump, – sostiene la Baritono, – ha sdoganato l’area minoritaria dell’estrema destra americana, i gruppi neonazisti. Un assoluto elemento di novità rispetto alla storia recente».
Nonostante la condanna di Trump delle minacce ai JCC e della profanazione dei cimiteri ebraici (nel suo discorso al Congresso il 28 febbraio scorso), i rappresentati delle varie Congregation statunitensi non riescono a spiegarsi perché il Presidente USA abbia aspettato quasi due mesi per esporsi, obiettando inoltre che le parole non bastano e che devono essere seguite da azioni e politiche concrete. Anche per Rav Yosie Levine, Trump non sta facendo “abbastanza” per condannare il razzismo e il linguaggio dell’odio. In particolare, il rabbino considera “molto problematico” il fatto che nel discorso ufficiale per il Giorno della Memoria, non siano state nominate nemmeno una volta le vittime in quanto ebree, e mai nemmeno una menzione del termine ebreo nell’intero speech del 27 gennaio scorso. Inoltre, molte organizzazioni ebraiche hanno espresso preoccupazione circa il fatto che, per ben due volte, Trump abbia insinuato che dietro agli atti antisemiti ci sarebbero oppositori politici che vogliono screditarlo.
Alla conferenza stampa tenuta durante la recente visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu, Trump, alla domanda su cosa pensasse circa l’impennata dell’antisemitismo negli Usa, ha risposto dicendo che “la figlia, il genero e tre bellissimi nipotini” erano ebrei (com’è noto la figlia Ivanka si è convertita al giudaismo per sposare Jared Kushner, ora consigliere senior alla Casa Bianca). Anche Netanyahu si è sentito chiamato in causa dichiarando che «non esiste un sostenitore più grande del popolo ebraico e dello Stato ebraico» di Donald Trump. Ma secondo il rabbino Levine questi argomenti hanno convinto solo alcuni. La sua Congregation Modern Ortodox ha votato prevalentemente per Hillary Clinton, racconta, come anche la maggioranza degli ebrei americani. Secondo i dati del Pew Research Center, infatti, il 71% di elettori ebrei ha votato per la candidata democratica e solo il 24% per Trump. Una tendenza consolidata questa. Non a caso, dalla candidatura di Trump, stavolta si sono dissociati anche i cosiddetti neocon, ebrei dell’ala conservatrice. Come spiega ancora Daniele Fiorentino, «un sociologo ha detto che gli ebrei americani sono l’unico gruppo che non vota secondo quelli che dovrebbero essere i loro interessi economici e sociali, ma secondo i principi di benessere e integrazione nella società americana».
La politica filoisraeliana di Trump, anche se ciò può sembrare paradossale, non è inconciliabile con l’antisemitismo, dice al Bet Magazine – Mosaico Anton Shekhovstov, visiting professor all’Institute for Human Sciences di Vienna e esperto del fenomeno delle nuove destre. «Trump si sta allineando a un trend che esiste già da tempo nell’Europa occidentale e che riscontriamo, ad esempio, col fenomeno del Front National di Marine Le Pen. Alcuni partiti corteggiano Israele per unirsi contro il nemico comune, l’islam politico, ma allo stesso tempo molti sostenitori di questi partiti sono anche antisemiti». C’è chi teme che l’alleanza tra Trump e Netanyahu possa silenziare le critiche provenienti da Israele nei confronti del rischio antisemitismo negli USA. «Nonostante la nostra pratica consolidata di soccorso alle comunità ebraiche minacciate, quando si tratta degli Stati Uniti, restiamo in silenzio», ha accusato il parlamentare dell’Unione Sionista, Nachman Shai, dopo la seduta d’emergenza del Comitato per gli Affari della Diaspora della Knesset tenutasi in marzo all’indomani dei fatti americani. Nel frattempo, l’intero Senato americano ha firmato una lettera chiedendo ai ministri dell’Interno e della Giustizia di Trump e al capo dell’FBI «una azione rapida rispetto a una serie di minacce-bomba anonime, profondamente preoccupanti», contro le organizzazioni ebraiche. Secondo Rav Yosie Levine è ancora «troppo presto per capire cosa aspettarsi nel futuro per gli ebrei Usa. Sottolinea però che si rende necessaria una riflessione. «Restare vigili e monitorare con pignoleria la situazione per poter rispondere di conseguenza. Questa è ora l’unica cosa che possiamo fare».