Manifestazioni e incontri.
Anche Milano ha partecipato, potremmo dire iperattivamente, alla Giornata della Memoria che, per l’ottavo anno, celebra il momento in cui, il 27 gennaio 1945, i cancelli di Auschwitz si aprirono lasciando entrare la libertà, e nel contempo svelando fino a quale punto la natura umana riesce ad essere sadica e perversa.
Molte le iniziative organizzate in questi giorni a Milano, così tante da arrivare talvolta a sovrapporsi, un risultato che, se da una parte potrebbe essere il segno di un “inflazionamento” della ricorrenza, dall’altra dimostra comunque l’esigenza indispensabile di mantenere viva e forte questa memoria senza la quale i milioni di vittime di Auschwitz e dintorni, ridotti inutilmente in cenere, morirebbero una seconda volta.
Ha avuto luogo nella mattinata all’affollatissimo Teatro Franco Parenti, la lezione/conferenza Cinque verbi per sollevarsi dall’Egitto, cinque verbi per uscire da Auschwitz di Haim Baharier, figlio di sopravvissuti alla Shoah, che ha trascinato il pubblico attraverso le intricate vie dell’Esodo biblico offrendo una chiave di lettura e di interpretazione indispensabile per non cadere nella scontatezza della celebrazione, rivelando nelle parole del testo sacro la necessità, per il popolo di Israele ma anche per tutto l’Occidente, di liberarsi dalle catene di Auschwitz, e della “logica dello sterminio”, non solo per dovere o per diritto, ma con la dovuta consapevolezza.
Il consueto corteo, partito nel primo pomeriggio da Piazza San Babila, è stato forse più breve e meno spettacolare di altri anni, ma di certo non meno coinvolgente, accompagnato da una particolare e rara atmosfera di silenziosa condivisione tra i diversi gruppi che vi hanno sfilato, evidenziata anche nel corso degli interventi avvenuti sul palco in Piazza Duomo: infatti, tutti coloro che si sono rivolti al pubblico, da rav Arbib, a Yasha Reibman, ai rappresentanti dell’ANPI, delle organizzazioni sindacali e, per la prima volta, dell’Arci Gay, hanno posto in risalto l’estrema irrazionalità del male soprattutto quando è dettato dall’ignoranza e dalla mancanza di ogni minimo principio di rispetto della vita e dell’altro. Un male subdolo, mai veramente sconfitto, contro il quale occorre impegnarsi continuamente perché non si ripresenti.
Lo stesso tema del male oscuro e “banale” è stato ridiscusso anche più tardi nel suggestivo scenario del Binario 21, da dove per il quarto anno un gruppo di studenti e lavoratori è partito in visita ad Auschwitz. Alternandosi alle note di Chopin, riprese dal Il Pianista di Polansky, alle melodie dei rom, anch’essi vittime dello sterminio nazista, e ad uno splendido monologo/testimonianza letto da Milvia Marigliano, le parole dei relatori, tra cui Fausto Bertinotti e Filippo Penati, hanno delineato il ruolo di questo viaggio nella memoria come portatore di speranza, quella speranza struggente che ci lascia immaginare come nel luogo in cui, rammentando le parole di Primo Levi, l’uomo è morto, possa anche trovare il mezzo per rinascere.
Ed ecco che il treno diretto ad Auschwitz, raccontato nelle testimonianze ancora oggi con terrore, si trasforma, e diviene il simbolo di una realtà difficile ma non impossibile, in cui nessuna identità e cultura arriverebbe mai a volerne escludere, o annientare, un’altra.
E, per finire, un’altra speranza: che questa Memoria, oggi tanto declamata, non venga ora rinchiusa di nuovo dietro il filo spinato per un intero anno, ma possa sopravvivere, sempre e ovunque.