di Ilaria Myr
Umiliare, vessare, prendere in giro, deridere, escludere, mettere all’indice. La ferocia del gruppo può esprimersi con parole, sguardi, gesti… La pandemia ha aggravato il problema: troppo tempo passato in rete, stress e solitudine mettono a rischio bambini e adolescenti, che possono essere vittime di condizionamenti e maltrattamenti. Sta agli educatori far capire che ciò che accade online ha conseguenze nella vita reale. Alla Scuola ebraica si sta avviando un progetto su bullismo e safe-internet
Roma. “Elisa fai schifo”, “Elisa, buttati da un ponte”: queste le scritte comparse sui muri del bagno della scuola, pochi giorni dopo l’inizio della prima media, a cui hanno fatto seguito continue prese in giro per tutte le medie. Per fortuna, al liceo Elisa le sue “bulle” non le vede più, perché ha cambiato scuola.
Torino. “Perché pubblichi le mie foto e mi offendi su Instagram. Ma sei st….a?”: questo e molto peggio scrivono alcuni compagni di scuola a Giorgia.
Ma lei non sa di che cosa stiano parlando, non ha fatto niente, non sono suoi quei messaggi: qualcuno ha copiato il suo profilo Instagram e le sue foto, e si spaccia per lei. Dopo mesi di sofferenza, finalmente la denuncia alla Polizia Postale e la fine dell’incubo.
Milano. “Sei obesa!”, “sei brutta”, “ritornatene da dove sei venuta”. E ancora: “Marta Big Mc”, “Marta, supplì con le gambe”. Questa la triste accoglienza nella nuova scuola di Marta, 7 anni, che soffre di obesità, bersaglio di una vera e propria tortura quando inizia ad usare i social network. A 10 anni Marta smette di mangiare e finisce in ospedale.
Questi sono solo alcuni esempi di bullismo e cyberbullismo che capitano ogni giorno nel nostro Paese: prese in giro, derisioni, furto di profili social, che colpiscono i bambini e i ragazzi, spesso quelli più fragili, traumatizzandoli e segnandoli a vita, e portando, purtroppo, anche a eventi estremi, come quelli che leggiamo troppo spesso sui giornali.
Se ne parla da anni ormai, da quando gli smartphone e i social network sono diventati parte integrante della nostra vita e, per molti ragazzi, il mondo tutto virtuale in cui vivono la maggior parte del loro tempo.
Negli anni si sono fatti dei passi in avanti: nel 2017 viene emanata la prima legge contro il cyberbullismo (n. 71/2017) dedicata a Carolina Picchio, la 14enne che nel 2013 si toglie la vita, dopo che un video in cui è ubriaca e alcuni amici la molestano diventa virale. “Le parole fanno più male delle botte. Ciò che è accaduto a me non deve più succedere a nessuno” è il messaggio che lascia al padre prima di compiere l’estremo gesto.
Parole che Paolo Picchio prende alla lettera, dapprima battendosi strenuamente per l’approvazione della proposta di legge per la prevenzione e il contrasto al cyberbullismo e poi portando la sua testimonianza in giro per le scuole di tutta Italia. Nel 2018 nasce la Fondazione Carolina Onlus che coordina gli interventi contro il bullismo in rete, in collaborazione con Pepita Onlus, che da 20 anni si prende cura del benessere di bambini e ragazzi, accompagnandoli nel loro percorso di crescita attraverso attività di prevenzione e contrasto dei fenomeni di bullismo, cyberbullismo e sexting (la condivisione di foto sessualmente esplicite in rete), tanto da divenire riferimento per istituzioni e organi d’informazione.
Ma ancora sono troppi gli episodi di questo tipo che avvengono fra i ragazzi, dei quali solo nei casi più estremi veniamo a conoscenza dai giornali, ma che per molti giovani sono diventati la quotidianità. Basta guardare i dati rilasciati a febbraio dall’Osservatorio Indifesa 2020 di Terre des hommes e Scuolazoo in occasione della Giornata nazionale contro bullismo e cyberbullismo e del Safer internet day.
Il 61% dei giovani afferma di essere stato vittima di bullismo o di cyberbullismo nel 2020, e il 68% di esserne stato testimone. 6 adolescenti su 10 dichiarano di non sentirsi al sicuro online e l’incubo maggiore per le ragazze è il Revenge porn (52,16%), cioè la condivisione in rete, come
forma di vendetta, di foto e video a carattere sessuale, in violazione della privacy. Nell’anno del Covid, inoltre, il 93% degli adolescenti ha affermato di sentirsi solo.
«La pandemia ha senza dubbio peggiorato la situazione – afferma Ivano Zoppi, presidente Pepita Onlus e segretario generale Fondazione Carolina -. Mentre prima dell’avvento del virus Fondazione Carolina riceveva mediamente 50-60 segnalazioni al mese di episodi di bullismo e cyberbullismo, dal primo lockdown sono diventate 300. Con l’affermazione delle piattaforme digitali, sono emersi in maniera importante episodi di zoombombing, con incursioni durante riunioni, lezioni o conferenze mirate a insultare e prendere in giro, così come sono cresciuti gli atti nei confronti dei docenti, spesso fotografati durante le lezioni online e poi derisi pubblicamente sui social. Sono anche più numerosi i casi di sexting da parte dei ragazzi, che non avendo la possibilità di incontrarsi utilizzano questo metodo morboso».
A monte di questo fenomeno sta innanzitutto l’aumento del tempo a disposizione dei ragazzi, chiusi per forza in casa e privi delle loro attività, ma anche il mancato supporto da parte dei genitori che, secondo Zoppi, devono essere più presenti e dare delle regole. «Ma in generale tutti gli adulti
devono attivarsi per fare capire quali responsabilità si generano nella rete e che quello che si fa online ha ricadute sulla vita reale – continua Zoppi -. Ci vuole anche un coordinamento fra i vari responsabili dell’educazione, in modo che ci sia una continuità fra i diversi ambienti che i ragazzi frequentano. In particolare a scuola è importante dare ai docenti degli strumenti che permettano loro di lavorare tutto l’anno su queste tematiche».
IL PROGETTO PEPITA ONLUS ALLA SCUOLA EBRAICA
Proprio nella convinzione che sia importante fare lavorare e riflettere gli studenti su questi argomenti, la Scuola della Comunità ebraica di Milano ha avviato quest’anno un nuovo importante progetto sul cyberbullismo, organizzato dalla Associazione Pepita e dalla Fondazione Carolina, e finanziato dalla Fondazione Scuola.
Il progetto coinvolge le classi dalla terza della primaria fino alla terza della secondaria di primo grado con l’obiettivo di promuovere fra i più piccoli una cultura di attenzione alla relazione con l’altro e acquisire competenze nella gestione dei conflitti, nell’ottica di prevenire fenomeni di bullismo, introdurli all’ambiente digitale e, per i più grandi della secondaria di primo grado, ragionare sul tema dell’intimità, dell’affettività e della corporeità nell’ambiente digitale, dove le relazioni personali appaiono facili, riproducibili, immediate e (apparentemente) a costo zero. Inoltre, sono previsti due incontri con Paolo Picchio, padre di Carolina, destinati ai ragazzi dalla seconda media alla quinta liceo, ai loro docenti e genitori per sensibilizzare i ragazzi e la comunità educante rispetto alle tragiche conseguenze a cui possono portare la mancanza di responsabilità e la leggerezza con cui si vivono le relazioni nell’ambiente digitale.
«La scuola è in prima linea nella promozione del rispetto dell’altro, nella prevenzione di bullismo e cyberbullismo e attenta all’insegnamento dell’uso consapevole della rete e dei social – dichiara Timna Colombo, Assessore alla Scuola -. E lo fa proponendo un progetto ad ampio respiro che coinvolge tutti gli ordini scolastici: il progetto tocca aspetti educativi e formativi che la nostra scuola ha ritenuto fondamentale affrontare in modo articolato e approfondito avvalendosi di professionisti esperti nel settore. Un particolare ringraziamento alla Fondazione Scuola per il consueto sostegno alla realizzazione dei progetti proposti».
«Già nel passato abbiamo fatto degli interventi a scuola, sempre molto partecipati – commenta Zoppi -. Molto positivo è che questa scuola dà la possibilità di lavorare su età diverse, in tutti gli ordini di scuola, perché non è mai troppo presto per parlare di questi argomenti».
«Nonostante la necessità di svolgere le lezioni on line, le classi hanno risposto con interesse, confermando quanto siano di primaria importanza l’educazione civica, il rispetto di tutte le diversità e il rigetto dell’indifferenza – aggiunge Diana Segre, vicaria del dirigente scolastico per infanzia e primaria -. Concetti fondativi della personalità che la scuola trasmette per formare cittadini consapevoli».
INSEGNARE A COMUNICARE
Il progetto avviato con Pepita Onlus alla scuola ebraica è solo l’ultima importante attività che viene svolta per insegnare ai ragazzi a convivere fra
coetanei e con gli adulti, senza discriminare e bullizzare. In particolare, da novembre 2020 è stato avviato un nuovo progetto di psicologia scolastica gestito da Isabella Ippoliti con l’obiettivo di fronteggiare la situazione indotta dall’emergenza sanitaria con interventi individuali e di gruppo rivolti a tutti, agli insegnanti, ai genitori e agli studenti.
«Dalla partenza del progetto sono riuscita a condurre dei focus group online sia fra i docenti sia fra le famiglie – spiega Isabella Ippoliti -. Per gli insegnanti, che hanno accolto molto bene le mie proposte, ho cercato di sviluppare un approccio metodologico di ascolto attraverso incontri online per fare assessment, andando cioè a individuare i loro bisogni. Ho poi svolto osservazione in palestra e in mensa, e lavorato direttamente nelle classi con i ragazzi. In particolare ho visto un forte bisogno di supporto in quelli delle secondarie di primo grado, in cui c’è bisogno di favorire una buona comunicazione. Quella adolescenziale è infatti un’età critica per definizione, in cui stanno affermando la propria identità che sta cambiando, e in cui le emozioni prevalgono su tutto, rendendo difficile comunicare; e poi, come è noto, passano molto del loro tempo sui device che, paradossalmente, anziché favorire il dialogo, spesso li isolano. Diventa quindi fondamentale accompagnarli nell’acquisizione di buone pratiche di scambio e dialogo con i propri pari. In questo quadro si è dunque rivelato molto utile il gioco con il gomitolo, che ognuno deve passare a un compagno, finché non si crea una rete fittissima che crea connessione fra tutti».
A tutto ciò si deve aggiungere l’impatto della pandemia, che ha ulteriormente esacerbato queste tendenze, spingendo alcuni ragazzi e famiglie a chiedere l’intervento della psicologa. «Dopo che abbiamo ribadito su Mosaico con un video che il servizio psicologico è attivo, abbiamo ricevuto diverse richieste – commenta soddisfatta Ippoliti -. Sicuramente in questo periodo gli episodi di bullismo e prevaricazione sono cresciuti, e per questo è importante intervenire. Purtroppo, al momento tutte le classi sono in Dad, ed è dunque impossibile riprendere con le nostre attività, ma appena potremo andremo avanti. Introdurrò un laboratorio delle emozioni, in modo da farli esprimere uno di fronte all’altro, per spingerli anche all’ascolto e all’empatia. Perché il contatto fisico è ritualità e apprendimento sociale, e averla interrotta di colpo, a causa della pandemia, ha creato delle difficoltà».
Per questi motivi è importante che questo servizio di psicologia scolastica possa continuare anche dopo la pandemia e crescere nel tempo. «Ho
fortemente sostenuto l’avvio di questo progetto, nato per fronteggiare le problematiche legate alla pandemia ma destinato a proseguire come parte integrante dei servizi della nostra scuola – dichiara Timna Colombo -. Non si tratta di intervenire solo in situazioni di emergenza ma di attuare
interventi di prevenzione e supporto volti ad aumentate il benessere di insegnanti, famiglie e alunni».
BULLISMO: LA RISPOSTA EBRAICA
Il Derekh Eretz per il rispetto reciproco
L’elemento principale che caratterizza l’insegnamento dell’ebraismo, in tema di rapporti con il prossimo, è il rispetto dovuto all’altro, ad ogni singola persona. «Il Signore ha creato un solo uomo, Adam, perché nessuno potesse dire di essere più importante di un altro, di avere ascendenze più nobili. – spiega Rav Elia Richetti – Siamo tutti uguali. Questo è l’insegnamento cardine della Torà».
Anche riguardo al concetto dell’Elezione di Israele, questo non crea differenze agli occhi di Dio che più volte ribadisce di “Amare tutti i Popoli della terra”.
Il derekh Eretz, il corretto comportamento verso gli altri, deve essere concepito e rafforzato come un argine contro il bullismo e in generale contro tutti quei comportamenti tra compagni, ma anche nei confronti degli insegnanti, che non tengano conto della sensibilità altrui. «È fondamentale che le famiglie e gli insegnanti si dedichino all’educazione facendo leva sulla sensibilità, – continua Rav Richetti – che riguarda tutti, sia le vittime sia i bulli, perché in ognuno esiste un fondo di sensibilità su cui lavorare».
La scuola e la famiglia possono fare molto, lavorando in sinergia, per far capire ai bambini e agli adolescenti quanto sia importante tenere in considerazione i sentimenti degli altri. «L’insegnamento fondamentale della Torà, ‘non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te, ma ama il prossimo tuo come te stesso’ è precisamente focalizzato sulla consapevolezza della propria sensibilità e sul sapere riconoscere, e rispettare, la stessa sensibilità nell’altro da sé».