di Alexandra Kraslavski
Quei canti nella sinagoga di Cracovia erano bellissimi: mi hanno toccato il cuore di una vibrazione luminosa, mai sentita prima. Era venerdì sera, erev – Shabbat. Senza di noi, non ci sarebbe stato minian. Dopo la visita a Birkenau, ascoltare quelle melodie è stato un modo per dare sfogo a tutte le emozioni della giornata.
Ho pensato che, prima di me, tra quelle mura, avevano vissuto e pregato coloro che oggi riposano laggiù, in quel cimitero a cielo aperto chiamato Auschwitz. L’importanza di questo viaggio e di questa esperienza sta nel vedere con i propri occhi e quindi capire quello che è successo per davvero laggiù. Non si va là per piangere. Non si va ad Auschwitz per riflettere ma per capire, sapere, sentire soprattutto la verità di quella pagina storica che alcuni vorrebbero occultare. Nulla può sostituire il fatto di vedere con i propri occhi. Tutte le riflessioni possibili vengono dopo, tra sé e sé, con pudore, in silenzio, con una voce flebile. Penso che questo viaggio dovrebbero farlo tutti, ebrei e non-ebrei, ma soprattutto noi, ovvero l’Umanità che è stata capace di attuare quello scempio. E capire così fin dove il Male compiuto dall’uomo può arrivare, e di che cosa può essere capace. Personalmente posso dire che calpestando quelle rotaie, entrando da quell’entrata così tristemente famosa, da quella soglia che portava unicamente alla morte, ecco, in quel luogo, in quelle baracche, mi sembrava di camminare su delle spine acuminate che mi ferivano il corpo e l’anima. Ho pensato che su ogni centimetro quadrato su cui camminavo, almeno mille di noi erano stati uccisi.
Vivere questa esperienza con i miei compagni di scuola è stato importante. Ho capito che non dobbiamo vivere in modo superficiale la nostra identità ebraica, ognuno di noi in fondo è un “sopravvissuto”. E ho capito che dobbiamo essere grati di ciò siamo. E fieri di essere ebrei.