di Ester Moscati
“Un mondo che cambia ha bisogno di una nuova scuola. Tutti i test e i report internazionali dimostrano la stretta correlazione tra livello dell’istruzione e la crescita complessiva di un Paese”. Così inizia il suo intervento, durante la serata di gala della Fondazione Scuola, Roger Abravanel, nato a Tripoli nel 1946, laureato in ingegneria al Politecnico di Milano, master in business administration all’Insead di Fontainebleau e che ha lavorato per trentaquattro anni in McKinsey. È autore di diversi saggi, tra i quali due recenti best seller, Meritocrazia e Regole. È consulente del Ministro della pubblica istruzione Gelmini e fortemente impegnato sui temi dell’educazione e della formazione.
“Una scuola ebraica eccellente deve preparare i ragazzi alla vita, non solo all’ebraismo”; una vita in cui i meccanismi di ingresso nel mondo del lavoro sono sempre più difficili e complessi e dove i cittadini devono essere sempre più responsabilizzati nella creazione del futuro collettivo.
A livello globale è purtroppo noto ed evidente il ritardo del sistema-Italia nella società, nell’economia e nella scuola ed è proprio l’inadeguato sistema scolastico che impedisce il salto di qualità dello sviluppo sociale ed economico.
“La chiave per la comunità ebraica è la creazione di scuole eccellenti per formare giovani eccellenti (ebrei e non ebrei)” dice Abravanel e cita James B. Conant, colui che eliminando il sistema classista e razzista delle quote per l’iscrizione all’università di Harvard ne ha fatto il top della formazione accademica. Perché se entrano i talenti, l’università diventa eccellente: “La vera democrazia richiede un processo continuo in base al quale potere e ricchezze vengono automaticamente re-distribuiti alla fine di ogni generazione, grazie al sistema educativo. Dovremmo portare ogni giovane talento da ogni parte del Paese a laurearsi ad Harvard, che si tratti di un figlio di ricchi o che non abbia un penny, che abiti a Boston o a San Francisco”.
Nel passaggio dalla società industriale alla società post-industriale è inevitabile e necessario dare spazio al talento, all’intelligenza, alla creatività, perché sono i valori che consentono di crescere, di vincere sulla concorrenza grazie all’innovazione.
Ma, sostiene Roger Abravanel, per migliorare la scuola si deve prima avere un criterio di valutazione, che sia oggettivo e unico per tutti. “In Italia ci sono milioni di analfabeti: non solo il milione che non sa leggere, ma anche tutti coloro che non sono in grado di comprendere il significato di un testo. Ci sono vergognose disparità tra Nord e Sud nella valutazione degli studenti, a favore di quelli meridionali, che è poi contraddetta dai test”. Già, i test, Pisa e Invalsi, dimostrano purtroppo l’arretratezza della scuola italiana non solo in confronto ai migliori Paesi occidentali, ma anche rispetto a Paesi del cosiddetto terzo mondo. Siamo terzi nelle classifiche mondiali per la variabilità nei risultati degli studenti tra diverse scuole e all’interno di una stessa scuola, come a dire che se vostro figlio è nella sezione B può sperare di conseguire brillanti risultati scolastici e acquisire competenze per la vita, ma se capita nella F, può scordarsi di essere ammesso al Politecnico. Una variabilità che è il segno di un inefficiente sistema scolastico e che produce intollerabili ingiustizie.
All’evoluzione della società “economica” si accompagna poi la necessaria evoluzione della scuola. Non più classi a lezione frontale, con i singoli banchi di fronte a una cattedra, ma la classe modulare, con gruppi di studenti attorno a un tavolo, che possono confrontarsi e discutere, far lavorare il cervello. “L’obiettivo della scuola è insegnare le competenze della vita”, dice ancora Abravanel, “insegnare come pensare e non cosa pensare. Migliorare la nostra mente per partecipare con la nostra testa, non imparare a memoria i pensieri degli altri. I ragazzi devono capire ciò che leggono, risolvere problemi, imparare l’aritmetica per la vita, saper organizzare il proprio lavoro e quello degli altri, interagire con gli altri, dibattere, comunicare”.
Ma qual è il segreto, l’ingrediente indispensabile perché l’alchimia della formazione e della crescita possa funzionare? È l’insegnante, colui che traghetta gli studenti nel mare magnum della conoscenza. Abravanel cita un report di fonte Mc Kinsey che dimostra come prendendo due allievi che a 8 anni sono allo stesso livello medio (50° percentile) e affidandoli a due insegnanti, il primo valutato come “molto bravo” e l’altro “meno bravo”, gli stessi ragazzi a 11 anni faranno parte rispettivamente del 90° percentile e 37° percentile, soffrendo quindi di un divario di 53 punti percentuali. È fondamentale quindi che la scuola possa formare e selezionare prima di tutto gli insegnanti.
E la scuola ebraica? Roger Abravanel ha chiesto alla scuole di Milano, Roma e Torino di applicare i test Invalsi ai ragazzi della Secondaria di primo grado, le medie per intenderci: ebbene, se il livello medio della Scuola Italiana è 60,8 per l’italiano e 50,9 per la matematica e il livello della Lombardia è rispettivamente 63,6 e 53,8; la scuola della Comunità ebraica di Milano si attesta su 67,4 per l’italiano e 59,3 per la matematica, mentre la scuola della Comunità ebraica di Torino è assolutamente eccellente con risultati di 75 e 66,4, nettamente superiori alla media nazionale. I dati della scuola della Comunità ebraica di Roma non sono pervenuti.
“Ci sono ancora resistenze verso i test da parte di molti insegnanti, ma vanno superate”, conclude Abravanel. Non si può migliorare ciò che non si può misurare.