di Ester Moscati
Ebrei a scuola: sui banchi un tablet, aperto sulla Mishnà
Per Raffaele Turiel, il cuore dell’educazione è il Derekh Eretz. Bulli e vandali non possono essere tollerati. L’insegnamento deve essere eccellente.
“Penso che ci si debba interrogare sul destino della Scuola ebraica della Comunità e per prima cosa decidere se abbia senso mantenerla in futuro. La mia risposta è sì; e quindi si deve lavorare per garantire che questa istituzione continui ad esistere. E non perdere altri alunni”. Così parla Raffaele Turiel, consigliere della Comunità -all’opposizione- e dell’UCEI (con delega alla Scuola). “Il problema è che il trend demografico è in discesa a Milano e anche la popolazione scolastica ne risente. Però oggi qualcosa si muove in Comunità, ci sono diverse forze in campo, per esempio la task force. Ma spesso sono manovre episodiche e poco coordinate. Dal mio punto di vista il futuro della Scuola è legato alla capacità di farne un luogo di eccellenza. Quando si chiede alle famiglie una retta, alta o bassa che sia, bisogna garantire che la didattica sia di qualità. L’altro punto importante è rispondere a una serie di esigenze, espresse dai genitori, con la proposta di moduli di valore aggiunto che vadano oltre l’offerta formativa del programma ministeriale. Che peraltro deve essere svolto molto bene. Una scuola aperta a tutti ma anche in grado di valorizzare le eccellenze. I moduli aggiuntivi in parte ci sono già, come i viaggi di studio, in Israele e ad Auschwitz, ma devono essere sviluppati perché ci si aspetta che una scuola privata, ebraica, dia elementi formativi che la qualifichino rispetto alle altre”. Una scuola che sappia aprirsi al mondo e stimolare l’apertura mentale degli studenti. “Lo vedo in questo senso: aprirsi alle altre scuole ebraiche, italiane ed europee. Come consigliere Ucei sono impegnato per creare un ‘sistema’ di scuole ebraiche che possano scambiarsi esperienze e creare sinergie. Progetti didattici di successo in una scuola, devono essere messi in condivisione e costituire un modello replicabile.
Gli altri temi qualificanti che caratterizzano la nostra scuola sono l’insegnamento dell’ebraico e dell’ebraismo. Come consigliere Ucei, ho contribuito allo stanziamento di fondi per l’apertura del Beth Hamidrash, in modo che gli studenti del liceo, se lo desiderano, possano intensificare lo studio dell’ebraismo con un pacchetto di ore extracurriculari senza costi aggiuntivi, con Rabbini di alto livello, come Rav Somekh”. Sullo sfondo c’è un contesto di scuola che si sta sempre più digitalizzando, presto abbandoneremo i libri di testo cartacei per passare ai tablet: “Il tema dell’innovazione è importante per proporre progetti di didattica nuova. Partirà a breve un progetto che vedrà insieme gli assessori alle Scuole di Milano e Roma per condividere iniziative qualificanti. L’Ucei cerca questi momenti di scambio, attraverso il Centro Pedagogico che riunisce già i presidi e alcuni insegnanti; si tratta di ampliarlo a tutti i docenti e possibilmente alle famiglie”.
E i rapporti scuola-famiglia? “Al di là dei ruoli, bisogna lavorare insieme per la formazione dei ragazzi, l’educazione nel senso più ampio del Derekh Erez e del profilo dell’identità ebraica. Gli alunni della scuola dovrebbero assimilare il fatto che la Comunità è un gruppo che ha interesse a rimanere coeso e che si deve essere disponibili ad aiutare gli altri. Fenomeni di bullismo, vandalismo e violenza non possono essere tollerati nella nostra scuola. Alle famiglie va poi fatto capire che la didattica, in una scuola che va dal nido ai licei, è strutturata a moduli. Alle elementari, per esempio, lo studio dell’ebraico raggiunge un certo livello, che alle medie viene incrementato e poi al liceo raggiunge i gradi successivi. Quindi se un ragazzo dopo le elementari viene tolto dalla scuola e poi reinserito al liceo, perde un modulo fondamentale per il conseguimento dell’obiettivo. Oggi alcuni genitori premono perché i ragazzi non siano oberati da troppe ore di ebraico o ebraismo, e in generale che non siano troppo sollecitati. Ma io penso che nell’età scolastica i ragazzi siano dei ‘contenitori’ che possono essere riempiti moltissimo e in vista dell’Università vadano abituati ad impegnarsi al massimo. Molti nostri ragazzi frequenteranno l’Università in Israele e dobbiamo prepararli adeguatamente, per esempio all’esame psicometrico, o al test di ebraico. E non solo negli ultimi mesi delle superiori ma già da prima, con tutto il tempo necessario per lavorare in modo metodico, costante ed efficace per poter superare le prove di accesso”. E la politica delle rette? “Abbiamo proposto, come opposizione, di aprire un tavolo con tutti gli enti che si occupano di scuola, per realizzare l’idea, che approviamo, di ridurre le rette: Comunità, Fondazione Scuola, ma anche Keren Hayesod e Bené Berith. I bilanci della Comunità sono difficili, serve l’aiuto di tutti”.
Roberto Liscia: la task force darà indicazioni sulle strategie
La task force per la Scuola è un gruppo scelto per un obiettivo, voluta dal Consiglio della Comunità cui hanno aderito diverse persone, insegnanti esterni alla Scuola ebraica e persone vicine, con figli che la frequentano. L’obiettivo è valutare, con un processo strutturato, qual è la percezione della scuola da parte dei membri della Comunità e capire per esempio quali siano le ragioni per cui, arrivati alle soglie dei licei, i genitori o i ragazzi scelgono istituti diversi. La task forse è stata proposta e organizzata da Roberto Liscia, che spiega: “Questa valutazione avviene attraverso l’analisi delle ‘7 S’ di un’organizzazione complessa (in italiano Stile, Strategia, Competenze, Valori condivisi, Staff, Struttura, Sistemi); vogliamo capire quali siano le variabili chiave dell’organizzazione scolastica: vedere la coerenza tra le attività e il modello didattico, la coerenza tra offerta didattica e domanda formativa, il preside e il team dei docenti, gli obiettivi e le attività, i processi, le regole e le attrezzature, il rapporto con i genitori e il clima di classe, i valori condivisi e il rispetto delle diversità. Si tratta quindi di valutare questo sistema complesso nella situazione attuale, e poi definire una ‘mappa-obiettivo’, cioè che cosa vuole essere la Scuola nel medio e lungo termine”. L’analisi consentirà di comprendere come la Scuola debba competere su questi elementi valoriali, come deve farli evolvere per affrontare la concorrenza formativa che arriva dalle altre scuole. E poi come rispondere alla domanda formativa che arriva dai genitori. “Per ora possiamo dire che quando ci si allontana dalla Scuola, quando si scelgono altre opzioni, di fatto questo allontanamento ha poco a che vedere con la qualità della scuola in sé, perché anche le prime risultanze che emergono dal questionario (diffuso via email e ancora disponibile sul sito mosaico-cem.it, sezione Scuola) non mettono in discussione la qualità.
Bisogna uscire dalla logica ‘gossipara’ che sia la qualità a causare l’abbandono scolastico. Non necessariamente le perdita di studenti è legata alla qualità dell’offerta didattica”.
Il secondo tema da affrontare in termini di task force è quello che viene chiamato “Miglioramento continuo”. “È necessario seguire un approccio incentrato sull’empowerment delle risorse umane e sul ridisegno dei processi concepito in funzione del miglioramento continuo. Il metodo si basa su quattro punti fondamentali: identificazione della vision strategica attraverso il coinvolgimento attivo degli stakeholders (questo è il ruolo importante della task force che coinvolge i ‘portatori di interessi esterni’ che non sono solo i genitori ma anche la ‘domanda del territorio’); individuazione di obiettivi raggiungibili e definizione di ruoli e competenze (con il coinvolgimento degli insegnanti e del rabbinato); valutazione delle performance; miglioramento continuo”.
Ma quali sono le fasi nelle quali si articola il Progetto elaborato dalla task force?
“La prima fase, quella in cui oggi siamo, è quella dell’Assessment. Abbiamo chiesto alle famiglie di rispondere a un questionario dettagliato (vedi Bollettino di Dicembre 2011) che comprende l’analisi storica, la valutazione della domanda, l’analisi del piano di offerta formativa, la qualità, i modelli di gestione, i costi.
Poi ci sarà la seconda fase, di progettazione, divisa in due settori. Da una parte il modello pedagogico-didattico, dove giocano un ruolo fondamentale il preside e il corpo insegnante (Piano Offerta Formativa -POF-, piani personalizzati, modalità e tempi). Dall’altra parte, il modello organizzativo -di governance dove gioca un ruolo sia il corpo insegnante sia la Comunità: reclutamento e aggiornamento docenti, economics e finanziamenti. La terza e ultima fase sarà quella della realizzazione, che vedrà concretizzarsi le modalità e tempi di adeguamento, attraverso assunzioni di responsabilità, processi e project management”.
Il questionario: sono arrivate le risposte?
“La fase del questionario è stata molto più lenta di quanto mi sarei aspettato, e ha causato un ritardo nell’intero progetto. È però decollato con un successo inaspettato con più di 250 risposte già nei primi giorni. Le risposte rappresentano circa 150 ragazzi su 500 (possono rispondere anche iscritti alla Comunità che non hanno figli a scuola), corrispondono quindi a un terzo delle famiglie di ragazzi iscritti alle medie e al liceo. Dopo l’estrazione statistica dei dati dalle risposte e la valutazione scientifica di questi, inizierò l’interlocuzione con gli insegnanti per confrontarmi con loro sulla percezione che hanno dei risultati del questionario, che essendo rivolto ai membri della Comunità e ai genitori, esprime la ‘domanda formativa’. Da presidi e insegnanti verrà il contributo all’interpretazione dei risultati. Poi presenterò i dati al Consiglio e contestualmente li pubblicheremo sul Bollettino, per aprire anche un dibattito pubblico sul futuro della scuola”.