Sarà aperta fino al 23 marzo al Castello D’Albertis a Genova la mostra “La grande retata, settembre 1942”, dedicata al ghetto di Lodz. L’esposizione, inauguarata il 6 febbraio, raccoglie in 26 pannelli la documentazione storica e fotografica sul Ghetto di Lodz, con immagini scattate dal 1939 all’agosto del 1944.
Realizzata dal Centro Dialogo Marek Edelman di Lodz e dall’Archivio Nazionale Polacco di Lodz, l’esposizione è organizzata in collaborazione con il Consolato Generale delle Repubblica della Polonia a Milano, l’Associazione Italo Polacca di Genova e la Comunità Ebraica di Genova.
Prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Lodz era una città multiculturale, dove vivevano insieme polacchi, ebrei, tedeschi, russi, cechi e armeni. Secondo le informazioni trovate prima del 1939, gli Ebrei erano oltre il 30 per cento (circa 230 mila persone) di 680 mila cittadini.
Il grande contributo dato dalla minoranza ebraica all’industria cittadina era dovuto al fatto che uomini come Israel Poznanski, Szai Rozenblatt, Markus Silberstein costruivano grandi complessi industriali, nonché una decina di fabbriche più piccole e officine, altresì scuole, ospedali e case di cura.
A Lodz svolgevano la loro attività tante società ebraiche e associazioni religiose e secolari. Le istituzioni culturali e dell’istruzione educavano il personale dell’industria e del commercio, nonché i liberi lavoratori. Sul mercato locale esistevano tante case editrici ebraiche, si pubblicavano giornali, si organizzavano mostre. Da qui venivano grandi artisti come Julian Tuwim, Artur Rubenstein, Mojzesz Broderson, Icchak Kacenelson, Maurycy Trebacz e tanti altri.
Il ghetto di Lodz fu creato a febbraio del 1940. All’inizio del conflitto, i tedeschi avevano previsto di isolare la popolazione ebraica in luoghi speciali di detenzione, ma i problemi al fronte impedivano la deportazione di un così folto numero di persone. Pertanto, optarono per la costruzione di un luogo dove la popolazione ebraica potesse essere strettamente controllata. Il territorio del ghetto di Lodz sorgeva all’interno dei quartieri dove i residenti erano in maggior parte ebrei, Baluty e la zona di Mercato Antico. Dato che a Lodz la popolazione tedesca era molto numerosa, gli occupanti scelsero di isolare gli ebrei dal resto della città. Il ghetto di Lodz fu il più chiuso fra tutti i ghetti. Tre le strade: Zgierska, Lutomierska e Limanowskiego collegate da passerelle che consentivano la comunicazione degli ebrei tra i settori del ghetto.
Nel ghetto di Lodz fu istituito, sotto il comando di Himmler, un campo di concentramento per bambini polacchi sotto i 16 anni in via Przemyslowa, finalizzato alla distruzione sia fisica che psicologica. Il campo non era nascosto, doveva provocare un senso di minaccia tra la popolazione polacca. I giovani rinchiusi nel campo, così come le persone che vivevano nel ghetto, avevano l’obbligo di lavorare pesantemente, perché mantenere un numero così elevato di persone rinchiuse in un luogo divenne un grosso problema per i tedeschi. Fu per questo che a Lodz sorsero numerose aziende atte a produrre beni destinati a vantaggio della Germania, tra cui la confezione delle divise e la produzione di stivali per i militari.
Sul terreno di Lodz fu anche stabilita l’apertura del campo per gli zingari provenienti dall’Austria. Oltre ai locali Rom furono trasportati zingari di altri ceppi d’origine: Kelder aka Kelderari, Lovari aka Lalleri e Sinti. La politica nazista agiva, come nel caso degli ebrei, allo scopo di portare al totale sterminio degli zingari. Le 79.000 persone che vivevano nel ghetto condussero una lotta quotidiana contro la fame, la povertà e la sporcizia. La maggior parte di loro non fu in grado di sopravvivere alle condizioni imposte.
La parola “retata” (“szpera” in polacco) citata nel titolo della mostra indica il divieto agli ebrei di uscire di casa per permettere ai tedeschi il prelevamento di bambini al di sotto dei 10 anni e di anziani al di sopra dei 65 anni per la loro deportazione.
Per liquidare il ghetto di Lodz, ai tedeschi occorsero tre mesi, dal 23 giugno 1944 fino alla deportazione degli ultimi prigionieri ad Auschwitz-Birkenau il 29 agosto 1944. In territorio polacco il ghetto di Lodz fu uno dei primi a essere costruito e l’ultimo a essere liquidato.
In mostra anche:
– il film documentario “Io grido dal profondo” di Wojciech Gierlowski (Polonia 2005)
– il video musicale Czardas eseguito da Stefan e Josef Balasz (dal Progetto “Giving memory a future. Rom e Sinti in Italia e nel mondo”, USC Shoah Foundation Institute, 2012)
– le testimonianze dal Progetto “Giving memory a future. Rom e Sinti in Italia e nel mondo”, USC Shoah Foundation Institute, 2012, con la sonorizzazione: Djelem Djelem (Camminai, camminai) eseguito da Santino Alexian Spinelli, 2013 (dal Progetto “Giving memory a future. Rom e Sinti in Italia e nel mondo”).