Fondazione Elpis

Alla nuova Fondazione Elpis una grande mostra sul cambiamento climatico e le difficoltà del presente

Arte

Foto in alto: la sede della fondazione Elpis in via Orti a Milano (© Nicolò Panzeri)

 

di Fiona Diwan
«Mi piaceva l’idea della foschia che avvolge il nostro tempo, una nebbiosità diffusa che è l’immagine efficace della nostra epoca opaca e liquida, densa di nere fumosità e di pulviscoli che intossicano. Così ho incontrato questi artisti straordinari che ragionavano sulla realtà dei grandi cambiamenti climatici, sull’acqua che diventa scura e sulle risorse che scarseggiano, sull’idea della ‘rapina’ di risorse di suolo e terra che poi si vendicano degli umani con catastrofi ecologiche, sulla perdita delle radici di intere popolazioni che vengono spostate per costruire dighe, come oggi accade nel subcontinente asiatico. Paesaggi umidi e bagnati che ci avvolgono con i loro vapori, in un inquietante vedo-non-vedo che circonda le nostre vite». Parole di Marina Nissim, imprenditrice milanese, collezionista, ideatrice del progetto della Fondazione Elpis, uno spazio espositivo polifunzionale dedicato alle arti e alla creatività contemporanee, inaugurato oggi nel cuore di Milano, in via Orti 25. Da sempre appassionata di arti visive, Marina Nissim aveva già ideato negli ultimi anni una Boccata d’Arte, evento d’arte contemporanea volto a far conoscere nuovi e giovani talenti, oggi alla sua terza edizione.

Una gestazione lunga, la mostra HAZE è cresciuta negli ultimi tre anni (sarà fruibile fino al 5 marzo 2023) e propone le opere di 21 artisti dal sud dell’Asia, provenienti da India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka, con la curatela di HH Art Spaces e Mario D’Souza. Piene di emozione, pathos, sofferenza, le opere raccontano il nostro presente fluido e tormentato, il dramma del cambiamento climatico, la desertificazione e le turbolenze ecologiche, le nuove diseguaglianze sociali, la precarietà economica… Una mostra che esplora nuove prospettive artistiche e il ruolo delle arti visive nella narrazione di una crisi globale, a diversi livelli: ecologico, politico, socio-culturale.

«La Fondazione Elpis è nata nel 2020. Perché questo nome? Elpis in greco significa speranza, una parola che amo: è il concetto dell’avere fiducia, la speranza come chiave dell’esistenza. Volevamo dar vita a progetti capaci di guardare al futuro con positività. E l’arte non è forse una maniera straordinaria per riflettere e stupirsi del bello che sa sorgere a volte dalle situazioni più difficili?», spiega Marina Nissim, Presidente della Fondazione Elpis. «Oggi siamo felici di proseguire questo percorso con l’apertura della nuova sede, che vuole essere un centro di sperimentazione aperto alle visioni più innovative, orientate alla contemporaneità e alle arti in senso lato, dalle arti visive alla musica, alla performance. Un luogo di incontro e dialogo, rivolto soprattutto ai giovani, dove condividere la bellezza e l’emozione dell’arte e generare nuove prospettive sul mondo che ci circonda».

E ribaltarne punti di vista e letture. A partire da “Dietro un cielo di ferro”, una video-scultura dell’artista Pranay Dutta, del 2019: un video proiettato sul pavimento e incastonato all’interno di una grande vasca rettangolare di cemento. Le immagini fluttuanti scorrono dentro questa vasca su cui lo spettatore si sporge per osservare il riflesso di nuvole scure che viaggiano sull’acqua del mare, un cielo che diventa magma oscuro e denso, che si specchia sull’acqua, si muove e si trasforma, limpido o fuligginoso che sia; un oceano che scorre e che è anche un portale da cui ripartire, una sorta di star-gate, una porta aperta verso un futuro che si farà di ferro se non interveniamo.

Ed ecco ancora opere che stupiscono per la loro potenza visiva, opere del giovane Joydeb Roaja che raccontano la battaglia delle donne per difendere le loro terre a rischio e le radici delle proprie genti, la loro lotta contro la spoliazione della terra o contro la tentazione perenne del maschio di impugnare le armi o di inforcare i carroarmati. Tra i tanti lavori esposti colpiscono soprattutto quelli di Amol Patil che rappresentano frammenti di membra umane, mani, piedi, dita, gambe appartenenti al gruppo sociale dei Dalit dell’India, ultimi degli ultimi nella gerarchia sociale, le cui membra deformate e ritorte sono l’esito raccapricciante dei mestieri pericolosi e degradanti che sono costretti a fare. O ancora gli acquerelli eleganti e leggiadri di Kedar Dhondu che ritraggono la sua casa natia espropriata dalla mafia locale come fosse  una dimora fiabesca e aristocratica, circondata da una vegetazione rigogliosa. Oppure le incredibili fanta-mappe geopolitiche dell’artista srilankese Pala Pothupitye, una stupefacente sintesi visiva che veicola l’idea dei giochi di potere tra le nazioni del pianeta, l’idea del predominio rapace e della supremazia vorace nella lotta tra le genti.  Riflessioni che abbracciano quindi un’ampia gamma di tematiche: dalle condizioni e i diritti degli ultimi in un’era di migrazioni globali all’eredità post-coloniale, dall’espropriazione delle terre indigene alla libertà d’espressione fino alla sopravvivenza e metamorfosi delle tradizioni e dei rituali. Attraverso il linguaggio dell’arte, HAZE offre una prospettiva sulle polarità, le contraddizioni e i dualismi che caratterizzano i nostri tempi, provando a mettere a fuoco tematiche che appaiono avvolte da una “foschia”, che è nebbia, fumo, smog, tossicità, magia: un ignoto che inghiotte la distanza per ricordare la fragilità dell’oggi, dell’immediato, e insieme un’opportunità per evocare nuove visioni e sviluppare la consapevolezza sul presente.

Opera di Shivani Gupta

Recuperata dagli antichi spazi di una ex lavanderia industriale di fine Ottocento, magistralmente ristrutturata dall’architetto Giovanna Latis, la palazzina conserva i mattoni rossi a vista dell’edificio originario su cui si è voluto costruire, su di un solo lato esterno, una parete in suggestivi listelli in legno. Uno spazio polifunzionale, su tre piani, che ospiterà mostre d’arte, incontri, dibattiti, un polo milanese che è una finestra aperta sulla realtà ma anche sui sogni, sulle prospettive, sugli scenari del nostro tempo.

Dopo un accurato intervento di riqualificazione dell’edificio, gli spazi della Fondazione saranno dedicati a mostre e installazioni site specific, performance, incontri, reading e attività interdisciplinari, rivolte a un pubblico allargato, con l’obiettivo di promuovere visioni innovative, generare partecipazione, scambio e dialogo intorno ai temi dell’arte e supportare talenti emergenti della scena contemporanea, provenienti da culture e Paesi diversi, dando loro opportunità di crescita e di espressione. Diretta da Bruno Barsanti, la Fondazione promuove valori quali inclusione e partecipazione, solidarietà e coesione sociale coinvolgendo diverse fasce di pubblico e attivando anche aree geografiche al di fuori dei circuiti tradizionali dell’arte.