di Ciro Davino *
Non solo a Roma e Venosa: in Italia, anche a Cuma si svela la presenza ebraica in misteriose catacombe…
Cercava disperatamente l’antro della Sibilla Cumana, per passare alla storia e compiacere i finanziatori fascisti; ma l’archeologo napoletano Amedeo Maiuri si imbatté in qualcosa di completamente diverso: un sepolcreto lungo un’antica via romana, costellato di simboli ebraici. Siamo negli anni Venti del ‘900 e quella che si manifesta nella zona di Cuma, in Campania, è una storia ancora tutta da scrivere.
La galleria riportata alla luce potrebbe infatti costituire un’area cimiteriale ebraica, un’altra catacomba oltre a quelle già catalogate e accertate.
Le campagne di scavo intraprese da Maiuri avevano un obiettivo ben preciso, ritrovare il famoso antro della Sibilla. Tale scoperta avrebbe tramandato alle generazioni future il suo nome che sarebbe stato inciso a grandi lettere nella storia dell’archeologia. Ricevuto nel 1925 un congruo finanziamento dal governo fascista, egli intraprese la prima campagna di scavo. Successivamente ne furono effettuate altre nel 1926 e nel 1930. L’archeologo non trovò il mitico antro della Sibilla ma un enorme camminamento militare romano realizzato intorno al I secolo, che attraversava da est a ovest il colle cumano.
La sua destinazione a sepolcreto avvenne nel III secolo, come ipotizzato degli archeologi Paolo Caputo e Gianfranco De Rossi, che hanno datato a quest’epoca sia i loculi scavati nel tufo sia i graffiti ritrovati sulle pareti, di probabile origine ebraica. I loculi rinvenuti, una ventina, appaiono completamente spogli e dovevano essere sicuramente sigillati da lastre di pietra mai ritrovate. Possiamo comprendere il motivo della totale mancanza di reperti: Amedeo Maiuri era interessato solo ed esclusivamente alla riscoperta delle vestigia dell’età classica greco-romana; inoltre il governo fascista era interessato alla valenza politica delle scoperte archeologiche che dovevano servire alla valorizzazione della stirpe italica. Quindi non ci dobbiamo stupire se nelle relazioni dello studioso Maiuri non viene spesa alcuna parola su quelle sepolture e se il materiale di scavo è stato distrutto. Successivamente, in una nuova campagna di scavo a Cuma nel 1994, sono state riportate alla luce tre anfore e testimonianze iconografiche: su una parete, il graffito di un ramo di palma stilizzato e una corona. Poi, all’altezza di 5 metri dal piano di calpestio, troviamo due graffiti che rappresentano due menoroth, a riprova dell’origine ebraica di questa catacomba. Se tutto ciò dovesse essere accertato, sarebbe un’ulteriore prova di quanto antica e numerosa fosse la componente ebraica nel Meridione.
In Italia, la bimillenaria presenza ebraica è documentata da reperti e siti archeologici, in particolare le catacombe ebraiche che costituiscono la testimonianza di una comunità costituita e radicata. I cimiteri sotterranei che a oggi sono noti, sembrano comparire in un periodo successivo a quello degli ipogei cristiani, datati tra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo.
Le catacombe ebraiche presenti in Italia sono diverse. Sei si trovano a Roma (due a Villa Torlonia, sulla via Nomentana, quella di Vigna Randanini sulla via Appia, quella della Vigna Cimarra lungo la via Ardeatina, quella in prossimità di Villa Labicana e infine quella di Monte Verde). In Basilicata ci troviamo in presenza di quelle della città di Venosa, che furono scoperte nel 1853 sul fianco meridionale della collina della Maddalena, anche se altre fonti ne davano notizia già dal 1584. Le iscrizioni ritrovate in questo complesso cimiteriale ebraico furono in primis studiate nel 1880 dal linguista e glottologo Graziadio Isaia Ascoli e successivamente, nel 1944, da Umberto Cassuto.
Negli anni Settanta del ‘900, Cesare Colafemmina intraprese diverse campagne di scavo che portarono alla scoperta di un prezioso affresco, l’unico ritrovato in queste catacombe. L’affresco, che ornava un arcosolio, aveva al centro una menorah, affiancata da un lulav, un etrog, uno shofar e una fiala di olio. Attualmente, purtroppo, esso non è visibile in quanto una frana blocca l’accesso al vano.
Le decorazioni dipinte, incise o graffite che ritroviamo nelle catacombe ebraiche sono generalmente molto sobrie e piuttosto rare, essendo gli ebrei fedeli alla tradizione che vieta l’uso delle immagini. Tendevano così ad adornare le lapidi, raramente, con scene che provenivano dal mondo animale (colombe e pavoni) e vegetale, ma soprattutto con i simboli religiosi: la menorah, l’etrog, il melograno, lo shofar, il ramo di palma, l’ampolla con l’olio.
*Ciro Moses D’Avino è laureato in Scienze politiche presso l’Orientale di Napoli, con indirizzo “Medioriente e lingua ebraica”. Appassionato di storia dell’ebraismo, ha orientato le sue ricerche sull’ebraismo sefardita e la presenza ebraica nell’Italia meridionale. Ha pubblicato articoli e ricerche e tiene conferenze e seminari. Appassionato collezionista d’arte, possiede una discreta raccolta di judaica con la quale organizza mostre.