Fino al 24 gennaio a Firenze la mostra “Gli ebrei, i Medici e il Ghetto di Firenze”

Arte

di Redazione
La storia del Ghetto ebraico di Firenze, esistito in città tra il Sedicesimo e il Diciannovesimo secolo è in scena in una mostra organizzata dalle Gallerie degli Uffizi ed allestita in Palazzo Pitti, tra Galleria d’arte moderna, Sala del Fiorino e Sala della Musica. Curata da Piergabriele Mancuso, Alice S. Legé e Sefy Hendler (The Medici Archive Project), l’esposizione, inaugurata in 24 ottobre, sarà visitabile fino al 28 gennaio 2024.

Il Ghetto fiorentino fu fondato nel 1570 da Cosimo I e da Carlo Pitti, come parte del progetto di riordino urbano, e fu demolito tra il 1892 e il 1895. Per quasi tre secoli il ghetto è stato il baricentro dell’ebraismo fiorentino. In quanto proprietà privata della dinastia, esso costituisce un unicum assoluto in termini politici e amministrativi, come nel complesso intreccio della storia ebraica italiana.

La mostra, articolata in cinque sezioni, attinge allo straordinario patrimonio culturale fiorentino e ad importanti prestiti internazionali e svela una pagina significativa e dimenticata della strategia politica dei Medici, in un contesto plurisecolare di conflitti, diplomazia e scambi culturali.

Il percorso si apre nella Firenze di Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico, con manoscritti miniati di commissione ebraica e medicea, frutto dell’interazione tra scribi ebrei e artisti cristiani del primo Rinascimento toscano, con prestiti dal Jewish Theological Seminary di New York e da svariate biblioteche italiane. L’immaginario repubblicano e quello mediceo si intrecciano nella raffigurazione di paradigmatiche figure bibliche, “eroi ebrei”, come il David in bronzo di Donatello (in prestito dai Musei di Berlino), o il Giuseppe della serie di arazzi tessuta nelle Fiandre per Cosimo I, di cui è presentato in mostra l’imponente Sogno dei manipoli. Il percorso affianca figure mitiche a personaggi reali, rivelando tasselli poco noti della storia dell’ebraismo fiorentino, come l’attività dell’esploratore Moisè Vita Cafsuto o quella del pittore ebreo Jona Ostiglio, di cui verranno esposti per la prima volta in tempi moderni una selezione dei sette dipinti a lui recentemente attribuiti, tutte opere commissionate dalla corte medicea, insieme all’autoritratto di Isaia o David Tedesco, autore poco noto ma del quale si ipotizza sia stato un allievo dell’Ostiglio, in quella che fu una delle prima botteghe d’arte all’interno di un ghetto italiano.

Luogo di segregazione, ma anche fulcro di un importante microcosmo umano, culturale e spirituale, il Ghetto di Firenze è ricostruito anche attraverso un modello tridimensionale, frutto di un decennio di ricerche condotte dallo Eugene Grant Jewish History Program del The Medici Archive Project.

Con attenzione verso la molteplicità dei pubblici e verso la necessità di abbattere pregiudizi e stereotipi, la mostra indaga il modo in cui la storia del Granducato si intreccia a quella della minoranza ebraica, facendo finalmente luce sulle vicende di un importante e finora poco conosciuto tassello della Firenze rinascimentale.

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