di Ester Moscati
Dal 9 al 14 aprile sarà possibile, nell’ambito della Milano Design Week, visitare l’esposizione UNA STANZA TUTTA PER ME – Tre giovani artiste ripensano il Mondo; tra loro, Flora Déborah.
A cimentarsi nel tema “Una stanza tutta per me”, troviamo anche Flora Déborah, nata nel 1984 a Evian, in Francia, e che oggi vive e lavora a Tel Aviv. Dopo la laurea alla IULM e un diploma allo IED a Milano, Flora ha studiato alla prestigiosa University of the Arts di Londra per poi conseguire il master in Fine Art alla Bezalel Academy of arts di Gerusalemme.
Il progetto che presenta a Milano oggi si intitola I’M TOO OLD TO FLOAT (letteralmente “Io sono troppo vecchia per stare a galla”): è una installazione costruita intorno a culture simbiotiche di batteri, raccolti e fatti crescere in una serie di vasi di vetro soffiato. I batteri crescono in una mistura di tè verde e sciroppo di zucchero, che li nutre fino a colonizzare tutto il contenitore. La “madre” che si forma cresce e resta a galla sulla superficie del liquido finché è troppo pesante e affonda, lasciando spazio ai “nuovi batteri” più giovani, che salgono a galla. Nella comunità dei coltivatori di batteri, la prima cultura introdotta in un contenitore è chiamata “la madre scoby” (coltura probiotica). La madre cresce e galleggia sopra il suo liquido fino a raggiungere il suo peso massimo e cade sul fondo del vaso. A questo punto una nuova “scoby” cresce sulla superficie della stessa miscela, evocando un eterno viaggio matrilineare. Attraverso questo lavoro Flora Deborah indaga l’eterogeneità di questo materiale vivente e le sue somiglianze estetiche con la pelle umana. Ciò crea una tensione tra il modo in cui ci relazioniamo a questa materia vivente, la sua relazione con noi e il simbolo che applichiamo ad essa.
«Attraverso la mia tecnica artistica – racconta Flora – indago la percezione umana e non umana delle radici, il significato dietro l’idea di identità e la sua connessione con le specificità non geografiche e il confine dell’intimità. Intimità che costruiamo con i materiali, con noi stessi, con l’altro e con lo spazio. Ricerco l’unisono che creiamo con i nostri incontri, i luoghi e il momento particolare in cui le molecole si fondono, piegano e concepiscono nuovi significati e identità. Nel mio lavoro uso spesso elementi del corpo e della natura che fungono da metafore per i nostri pensieri ontologici – elementi che umanizziamo per creare narrazioni che rinforzano o rifiutano la nostra percezione di sé e la relazione con tutto il resto».
Cosa significa essere vivi e cosa significa essere morti? Come siamo riusciti a trovare un significato nella vita? Come ci relazioniamo all’idea di radici e identità? «Queste domande ricorrono spesso nel mio lavoro – continua Flora – e sono strettamente collegate ad un uso estensivo di materiali organici come organi interni, batteri, corpi umani e animali e ciò che può essere generalmente trovato in natura che sfida la nostra percezione della vita e le sue origini, in opposizione alla nostra comprensione della morte. Il “processo” e il “fare” sono al centro della mia pratica, così come la costante attenzione alla fisicità e alle proprietà dei materiali, e la necessità di toccare e modellare con la propria mano, come un artigiano che scopre un nuovo amore, ma soprattutto come mediatore tra i simboli e una particolare sostanza». Agendo attraverso scultura, video e installazione, il lavoro di Flora Déborah si manifesta in un incrocio tra curiosità tattile e ricerca post-umanistica, basata sull’idea di un cambiamento post-antropocentrico, che richiede un radicale riposizionamento da parte del soggetto.
Sono diversi di materiali che l’artista utilizza per i suoi progetti, da quelli organici alla terra, dalla ceramica alla cera d’api. Il filo conduttore è la ricerca dell’identità «chi siamo e come ci rappresentiamo, qual è la nostra narrativa. Quali sono gli archetipi ai quali possiamo collegarci per comprenderci. Quello della maternità è il più forte, il primo che sperimentiamo; più forte dei concetti di patria, nazione. In un progetto precedente a questo che presento a Milano oggi, ho lavorato su calchi ombelicali. Ho fatto il calco dell’ombelico di mia madre e del mio».
Un’opera fortemente simbolica che è stata presentata a Milano, all’esposizione VOX CLAMANDI, Palazzo Isimbardi, per il IV Premio Cramum, lavoro che ha ottenuto il secondo premio ed è stato esposto insieme al video dell’artista tedesca Ulla Von Brandenburg.
Ci sono poi opere che veicolano un messaggio ecologico e naturalistico, letto sempre però attraverso un filtro personale e identitario. C’è la terra, sì, ma è quella del Kibbutz Bar’am, nel nord di Israele, dove genitori di Flora si sono conosciuti e dove vive ancora una parte della sua famiglia. Non è un posto qualunque. «Sono andata con una pala e ho spalato 300 chili di terra», racconta. «Ho un legame emotivo fortissimo con quello che creo ed elaboro». Un’altra scultura rappresenta due piedi (in silicone, calco dal corpo dell’artista) con dei sassolini tra le dita. «Sono sassi raccolti in un paesino nel sud dell’Inghilterra, un posto stranissimo vicino a una centrale nucleare, dove vive però anche una comunità hippie accanto a un santuario naturalistico. Tre elementi contraddittori che convivono lì, in questo posto che è diventato quasi un luogo di pellegrinaggio; simboleggia l’uomo e le sue molte variabili, che cammina con le pietre tra le dita. A volte fa un po’ male, a volte è divertente».
E poi opere ancora più evocative che si rifanno sempre al tema della maternità, con un lavoro di scultura e fotografia sulla placenta umana, donata da un’amica.
Flora Deborah è un’artista estremamente interessante, che ha davvero molto da dire e da comunicare in modo complesso e affascinante. Ha esposto numerosi lavori a Londra, Milano e Tel Aviv, in mostre importanti che fino ad oggi includono una collettiva alla Saatchi Gallery, il museo Bar David e il premio Cramum.
L’esposizione al Fuori Salone 2019 a Milano
Novanta anni fa Virginia Woolf scrisse Una stanza tutta per sé, il saggio in cui rivendicò il diritto delle donne di esprimere se stesse e plasmare con le proprie idee il Mondo. Oggi le donne hanno molti più diritti di un tempo, ma ancora molto deve esser fatto per colmare il gender-gap e la discriminazione delle donne, anche nel mondo dell’arte, in molti casi a dir poco “machista”, se non proprio misogino. Per questa ragione il progetto non-profit CRAMUM insieme a Ventura Centrale promuove una mostra d’arte contemporanea che ha per protagonista tre giovani artiste: Flora Deborah, Giulia Manfredi e Francesca Piovesan. L’esposizione “A room of my own”, concepita e curata da Sabino Maria Frassà, riprende e interpreta il titolo del saggio della Woolf. Il curatore ha richiesto alle artiste, per la mostra “Una stanza tutta per me”, di ideare un progetto che racchiudesse la loro propria visione del mondo in una “stanza” all’interno di Ventura Centrale durante il Fuori Salone 2019.
Questa esposizione darà l’opportunità di riflettere sulla possibilità di migliorare e modellare il mondo attraverso un ruolo maggiore e più equilibrato delle donne nella società contemporanea. L’intento è quello che le donne possano cambiare il mondo non in quanto donne, ma per le abilità/capacità di guardare e reinterpretare la realtà. Le artiste selezionate, seppur giovani hanno maturato una brillante carriera artistica, dimostrando di essere capaci di trasmettere una propria visione del mondo attraverso l’impiego e la sperimentazione di peculiari materiali e tecniche artistiche: fotografia (Francesca Piovesan), resina (Giulia Manfredi), batteri e materiale organico (Flora Deborah). Tema della mostra, declinato attraverso questi materiali e tecniche, è l’analisi del passare del tempo e della ricerca della propria identità.
cramum & Ventura Projects presentano UNA STANZA TUTTA PER ME Tre giovani artiste ripensano il Mondo
Mostra di Flora Deborah, Giulia Manfredi e Francesca Piovesan a cura di Sabino Maria Frassà
Ventura Centrale 9-14 aprile 2019, via Ferrante Aporti 9, Milano
Info: Sabino Maria Frassà, infocramum@gmail.com
CRAMUM e Ventura Projects
cramum è un Progetto non-profit nato per sostenere progetti artistici e culturali in Italia e all’estero, con particolare attenzione ai giovani artisti. La parola “cramum” deriva dal latino e significa “crema”, “la parte migliore”. Progetto principale di cramum dal 2012 è il Premio cramum, concepito per essere un talent-program per i migliori giovani artisti in Italia. Ogni anno il premio mette al fianco dei giovani artisti finalisti dieci artisti di fama internazionale, intellettuali, curatori, collezionisti e giornalisti. Dal 2014 il Direttore Artistico è Sabino Maria Frassà.
Per il secondo anno CRAMUM stringe una partnershiip con Ventura Projects. Si tratta di una conferma della vocazione di Ventura Porjects non solo per il design ma anche per l’arte contemporanea. Fin dagli inizi nel 2010 Ventura Projects ha sostenuto l’arte contemporanea offrendo ad una selezione di artisti (come Daniele Gonzàlez Project, Anna Scalfi Eghenter, Goldiechiari e l’anno scorso con CRAMUM, Franco Mazzucchelli) un set per le loro interpretazioni durante la settimana del design milanese. Per il suo decimo anniversario anniversario, Ventura Projects, iniziativa idea e gestita principalmente da un team di donne, ha accolto a braccia aperte l’idea di presentare un’esposizione speciale e site-specific dedicata alla potenza del femminile.