Il fotografo Ferdinando Scianna racconta il Ghetto di Venezia

Arte

di Ilaria Ester Ramazzotti

Ferdinando Scianna, Cena di Shabbat nella sede del gruppo Chabad-Lubavitch
Ferdinando Scianna, Cena di Shabbat nella sede del gruppo Chabad-Lubavitch

Turisti e religiosi intenti a visitare e cogliere la memoria e la vita del Ghetto, momenti di gioia condivisi durante lo Shabbat, pietre d’inciampo con i nomi di persone deportate negli anni della Shoà, abitanti scorti alla finestra nelle ore della sera, architetture e prospettive che si snodano fra i chiaroscuri di ponti, calli e campi veneziani. Questi i temi di cinquanta fotografie inedite di Ferdinando Scianna, uno fra i maggiori fotografi italiani, dedicate alla vita contemporanea nel Ghetto di Venezia, che sono esposte dal 26 agosto all’8 gennaio 2017 nel capoluogo veneto.

La mostra, allestita nelle sale dello spazio espositivo Casa dei tre Oci sull’isola della Giudecca, con il titolo “Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo”, è frutto di un intenso lavoro fotografico realizzato su incarico di Fondazione di Venezia e realizzato appositamente per i Tre Oci in occasione del Cinquecentenario della fondazione del Ghetto ebraico a Venezia.

“Scianna – si legge sulla presentazione dell’evento – ha realizzato un reportage fotografico in pieno stile Street Photography, raccogliendo immagini inerenti alla vita quotidiana del Ghetto, senza tralasciare ritratti, architetture, interni di case e luoghi di preghiera. Chiese, ristoranti, campi, gondole, sono i soggetti che animano il panorama visivo del progetto. Da segnalare, in questa narrazione, la compresenza di una dimensione simbolica, storica, rituale, intrinsecamente connessa a luoghi e gesti, e una semplicità nella descrizione di un tempo presente e ordinario”.

Ferdinando Scianna, Meditazione notturna in Ghetto Nuovo
Ferdinando Scianna, Meditazione notturna in Ghetto Nuovo

“L’artista – prosegue il curatore della mostra Denis Curti – ha saputo costruire un racconto delicato […]. Ha dato forma a una memoria collettiva elevando e distinguendo singole storie: se ne avverte la bellezza e la solennità. […] Il dolore mai urlato dell’Olocausto. Le pietre d’inciampo e i segni di una vicenda destinata a restare indelebile. […] Dentro queste fotografie ci si orienta. I punti cardinali si fanno abbraccio e segnano le linee di una confidenza visiva capace di entrare nei confini dell’intimità dei molti ritratti che compongono il complesso mosaico di questa esperienza: è il linguaggio degli affetti, è la grammatica dei corpi”.

“La fotografia era, è un ponte fra noi e la realtà. Per fissare l’istante. Oggi è un muro (di immagini) che paradossalmente non ci fa più vedere il mondo. Sommersi da milioni di foto, abbiamo perso la memoria”, afferma infine lo stesso Ferdinando Scianna. Secondo la sua concezione, l’arte e la fotografia sono invece strumenti eletti e preziosi per raccontare e ricordare il mondo e la vita delle persone, racchiusi in “istanti di senso e di forma”. Istanti che accompagnano il visitatore della mostra a conoscere lo sguardo sulla realtà raccontata dalle sue lenti di artista e di narratore.

La mostra è aperta contestualmente all’esposizione di opere dedicate all’architettura di un altro fotografo, lo svizzero Renè Burri, anche lui, come Scianna, membro dell’agenzia fotografica Magnum. I due diversi progetti si snodano autonomamente seguendo un percorso coerente e lineare proposto nell’ambito di Casa dei Tre Oci, che si svilupperà a partire dalle cento opere di René Burri, distribuite tra pianterreno e piano nobile, e si concluderà al secondo piano con le oltre cinquanta fotografie proposte dal fotografo italiano.