di Fiona Diwan
Sembrano degli haiku visivi: sono le immagini di Diane Safra Henin, la grande fotografa che qui sorprende con un’immagine fotografica quasi astratta mentre cattura l’istante immobile di un gruppo di bagnanti persi nelle lontananze del Mar Morto. La stessa rarefazione di stile che si ravvisa nel profilo nebbioso e evanescente di piccoli alberi lungo la costa; o, ancora, ecco la migrazione oceanica della cicogne nella valle di Hula, una texture ornitologica di rara forza.
I dieci lavori di Diane Safra varrebbero da soli la trasferta a Genova per la collettiva Israel Landscape (a cura di Ermanno Tedeschi e Vera Pilpoul, Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce, fino al 30 giugno, selezione di Maya Katzir). Sono trenta gli artisti in mostra: c’è la celeberrima foto dell’Uomo Ragno appoggiato al Kotel vicino a un haredì che prega a Purim, del 1998, di David Kassman. E poi i passanti indaffarati di David Gerstein, intrappolati nella coloratissima nevrosi quotidiana di Tel Aviv. Ci sono le pecore in resina di Smadar Har-Ziv e quelle olio su tela di Menashe Kadishman. E poi i paesaggi sfumati di Ety Yacobi e Zavi Apfelbaum, il mood naif di Shai Azoulay…
Artisti israeliani di nascita e di adozione, sperimentalismo e tradizione, ricerca e classicità, uso di tecniche e linguaggi estremamente eterogenei che si mescolano tra loro in una caleidoscopica collettiva capace di fornire uno spaccato unico dell’arte israeliana oggi. Sfila il paesaggio umano, sociale, geografico di Israele, uno spazio delle relazioni, un crogiolo umano che è un concentrato di diversità, in cui passato e presente si abbracciano e a volte, irrimediabilmente, si scontrano.