di Ilaria Ester Ramazzotti
Dalla spiaggia di Copacabana a Rio de Janeiro al Biscayne Boulevard a Miami Beach, le sue opere innovative, realizzate in Brasile e in tutto il mondo, lo hanno reso uno dei progettisti del paesaggio più celebri del XX secolo. A lui, Roberto Burle Marx, il Jewish Museum di New York (Roberto Burle Marx: Brazilian Modernist, The Jewish Museum, 1109 5th Ave at 92nd St, NY 10128; tel. 001 – 212.423.3200; info@thejm.org; http://thejewishmuseum.org/), dedica un’esposizione aperta dal 6 maggio al 18 settembre 2016 che per la prima volta negli Stati Uniti mostra l’intera gamma della sua produzione architettonica e artistica. Roberto Burle Marx: Brazilian Modernist, questo il titolo dell’evento, esplora la ricchezza e la versatilità dell’artista attraverso centocinquanta opere che spaziano dall’architettura del paesaggio alla pittura, dalla scultura alla scenografia, dalle tappezzerie ai gioielli. Dopo l’esposizione a New York, la mostra sarà portata a Berlino e in seguito a Rio de Janeiro.
Nato a San Paolo nel 1909, figlio di padre ebreo tedesco e di madre brasiliana di origini francesi, portoghesi e olandesi, Burle Marx ha abbracciato il movimento del modernismo negli anni trenta del Novecento. Incontrando l’arte astratta quale suo principio guida e le avanguardie artistiche del concretismo e del costruttivismo, e prediligendo l’uso di grandi distese di fogliame e quantità di fiori, Burle Marx ha proposto una nuova forma di espressione del paesaggio, rivoluzionando la progettazione dei giardini. Suggestive e inconfondibili, le planimetrie dei suoi progetti ricordano quadri astratti, danno vita a linee e angoli inusuali, sorprendono con i loro sentieri vivaci, colorati da materiali vegetali e floreali. La terrazza-giardino del palazzo Gustavo Capanema a Rio de Janeiro, composta da specie vegetali autoctone, da forme sinuose, da spazi contemplativi e di sosta, possiede una configurazione inedita rispetto a tutta la tradizione paesaggistica brasiliana e internazionale.
Icona e punto di riferimento per giovani artisti e landscape designer, con la sua eredità professionale continua a influenzare i giovani. Fra questi, c’è anche l’architetto Jonathan Paul Fargion, milanese di nascita e residente a New York. “Per me è un ispiratore, c’è sempre da guardare al suo lavoro – ci ha detto -. In ognuno di noi architetti del paesaggio c’è un po’ di lui. Ha influenzato tutti, ha cambiato il modo di progettare il giardino, distaccandosi dalle simmetrie del passato” e, a proposito dei suoi lavori, sottolinea che “le planimetrie sembrano dei quadri di Matisse o di Picasso”, invece sono cartine che disegnano un giardino.
“Come faceva Burle Marx, anche io studio attentamente le forme organiche da scegliere nella progettazione dei giardini. Noi però non usiamo piante tropicali che non possono vivere a New York, ma scegliamo sempre piante native del posto, non ne importiamo per sensibilità e per rispetto verso l’ecologia del luogo, per favorire e rispettare l’ambiente e la fauna”, spiega in linea con quello che era anche il pensiero di Burle Marx, che “utilizzava piante autoctone brasiliane e tropicali”. “Uccelli e insetti che impollinano, se non riconoscono le piante, perché sono state importate – spiega – possono disturbare l’equilibrio di una zona e provocare ripercussioni negative.”
Nel corso di una carriera lunga più di sessantacinque anni, Burle Marx ha progettato oltre 2 mila giardini in tutto il mondo, fra i quali una moltitudine di spazi che impreziosiscono Brasilia, e ha scoperto quasi cinquanta specie di piante durante numerose incursioni nella giungla brasiliana. Proprio a Brasilia, collaborando in qualità di landscape designer con l’urbanista Andrea Costa, uno fra i principali pianificatori della città, Burle Marx ha iniziato a esprimere il suo inconfondibile talento per il disegno degli spazi pubblici, senza mai più smettere di progettare, dipingere, scolpire e creare. Fra i primi a esprimersi in difesa della foresta amazzonica, è stato anche un orticoltore e un pioniere del moderno ecologismo. “Il suo impegno ecologico è un’altra chiave importante del suo lavoro – ha scritto Jonathan Fargion per il magazine Simple Fair, lo scorso maggio -, Burle Marx si rifiuta di utilizzare piante non autoctone importate dall’Europa e si concentrava sulla bellezza delle piante native del Brasile aiutando a rivitalizzare la flora e la fauna locale. Quello che secondo me fa di Roberto Burle Marx l’architetto del paesaggio ideale, è il suo impegno a riparare il rapporto primordiale tra l’uomo e la natura valorizzando il bello”. Estetica ed etica, insomma, secondo un connubio virtuoso promosso anche da Jonathan Fargion nel suo blog.
In sintesi, la mostra Roberto Burle Marx: Brazilian Modernist mette in luce le sue realizzazioni come architetto del paesaggio, pittore, scultore, designer e scenografo, le sue collezioni di arte popolare e religiosa brasiliana, senza dimenticare i suoi lavori per sinagoghe e altri luoghi ebraici. Uno sguardo avveniristico alla bellezza degli spazi pubblici, dotato di una “sensibilità estetica innata”, conclude Jonathan Fargion.