di Roberto Zadik
Da Israele alla Francia agli Stati Uniti. Dalla Graphic Novel alla caricatura al fumetto classico,
è un boom di autori e temi ebraici. Ne parla l’editore e blogger Andrea Grilli
Andrea Grilli, una laurea in Legge ma la passione per l’editoria e il fumetto; giornalista, blogger, scrittore e Digital Marketing Manager per Voice Road, è un esperto (anche) di graphic novel israeliane e del mondo ebraico. Lo abbiamo intervistato.
Cosa c’è di diverso nei fumetti del mondo ebraico rispetto ad altri e quali sono i principali autori e personaggi?
Il fumetto ebraico propriamente detto, cioè che viene prodotto consapevolmente come prodotto culturale ebraico è particolarmente recente rispetto ad altre culture o nazioni, intendendo anche la produzione israeliana. I fumettisti tendono a essere sempre discretamente “universali” nella loro narrazione. Il loro universo narrativo è la finzione. I francesi hanno radici fortemente radicate nel loro immaginario, gli italiani anche, ma con felici esperienze di racconti “universali”, vedi Dylan Dog o Tex.
Il fumetto ebraico ha la parola “ebraico” come elemento distintivo, se non è il pilastro morale, lo è quello storico o religioso. James Sturm, per esempio, racconta storie di ebrei nella vita americana del 1900, per poi andare a recuperare l’immaginario askenazita dell’Est Europa. Will Eisner dalla graphic novel Contratto con Dio”ha avviato un percorso di recupero dell’identità ebraica fino a raccontare la storia degli ebrei e di chi li ha odiati, vedi per esempio Il complotto. La storia segreta dei protocolli dei Savi di Sion. Ma Eisner prima si era occupato di storie in The Spirit e di fumetti educativi per l’esercito statunitense, dove certamente l’elemento ebraico era poco visibile (anche se la particolare capacità alla formazione e all’educazione andrebbe secondo me comunque associata a un ambiente famigliare e culturale particolarmente attento a questi aspetti).
Molti autori invece hanno creato dal nulla l’industria fumettistica americana: di fatto scrivevano con la ferma convinzione di creare per quell’industria e senza particolare consapevolezza di “essere autori ebrei”, almeno pubblicamente. Dopo un periodo quindi molto “neutro”, grazie soprattutto al lavoro di Will Eisner, si è cominciato a prendere atto che l’ebraismo era presente nel Dna dei supereroi, e che si poteva anche raccontare la storia del popolo ebraico negli USA in forma di striscia.
In altre nazioni questo fenomeno è stato più lento, spesso senza una grande diffusione. In Francia, a parte Joann Sfar, non esiste un fumettista ebreo così prolifico come negli USA. In Italia, Giardino e Pratt hanno citato e menzionato più volte le loro origini o questioni ebraiche, ma non mi risulta un lavoro di riflessione e scrittura. Lo stesso Maurizio Rosensweig, autore di fama mondiale, disegna e racconta sempre storie che potremmo dire “universali”.
Cos’è cambiato rispetto al passato e quali sono gli autori ebrei e israeliani di oggi? C’è differenza fra fumetti della Diaspora e quelli di Israele?
La differenza è nella consapevolezza. Ora ci sono fumettisti che subito scrivono storie ebraiche, storie sull’essere ebrei, sulla tradizione, sulla storia. La differenza è inevitabile tra autori israeliani e della Diaspora. Ma anche qui bisognerebbe fare delle differenze. Raccontare la vita in Israele è una scelta, credo anche politica. Gli autori come Rutu Modan, Yirmi Pinkus, i fratelli Seliktar, i fratelli Hanuka raccontano la vita quotidiana che certamente non è comparabile con quella di una società europea. Asaf Hanuka per esempio gioca molto sugli stili di vita, anche se poi spesso l’immaginario tende a essere simile a quello di un coetaneo. Oggi grazie ai nuovi media, molte informazioni sono condivise.
Gli autori della Diaspora invece affrontano il tema della Shoah, mentre gli autori israeliani incominciano a raccontare le origini dello Stato di Israele. Insieme stanno edificando un grande affresco narrativo. Questo è un elemento che differenzia molto gli autori ebrei. La ricerca dell’identità accumuna qualsiasi autore ebreo. Ne è la forza.
Cosa diresti su vignette, caricature e vignettisti come Disegni e Caviglia, Wolinski o Art Spiegelmann? Ci sono oggi nuovi caricaturisti ebrei?
Su caricaturisti e vignettisti mi trovi impreparato, non è il genere di fumetti che prediligo. Posso dirti che oggi ci sono autori molti interessanti, che spesso si esprimono sul web come Asaf Hanuka oppure Yahuda Devir. Entrambi raccontano il quotidiano con ironia e coinvolgendo le rispettive mogli. Ma Dry Bones rimane comunque la comic strip più bella che si possa ancora leggere.
Per quanto riguarda Wolinski, come Disegni e Caviglia, l’ironia senza timore di essere irriverenti e dissacrante è l’elemento caratterizzante di un modo di vedere la vita senza paura di criticarsi e criticare. Una forte identità consente di guardarsi senza timore. Wolinski ha pagato il tentativo di estendere questo approccio a tutti, la società francese è comunque molto irriverente verso se stessa, non prendendosi mai sul serio.
Che rapporto c’è dunque fra fumetti, ebraismo e identità ebraica?
I fumettisti ebrei possono essere considerati come i grandi scrittori della tradizione Yiddish. In modo diverso, disegnando e non scrivendo, parlano dell’identità ebraica e attraverso questo racconto ripercorrono la storia ebraica e la rendono anche accessibile alle nuove generazioni meno propense alla lettura e più attratte dalle immagini.