di Daniele Liberanome
Il giardino della Triennale ospita fino al prossimo 7 Febbraio l’opera “Roots” (Radici) di Dalya Luttwak, ultimo e crediamo non definitivo stadio del suo percorso artistico iniziato negli anni ’70, come ideatrice e realizzatrice di judaica in metallo (menorot etc.). Si è poi concentrata sulla scultura, modellando il metallo per creare forme che ricordano le radici di piante o di alberi; inizialmente le creava di dimensioni contenute e come pezzo a sé stante, poi sempre più grandi e riferite al luogo in cui vengono sistemate (site specific). Il soggetto delle radici è allo stesso tempo affascinante e rischioso, perché fin troppo ovvio per tutti, e per noi in particolare; spesso in arte viene appena accennato, o viene dato per scontato, e raramente rappresentato in modo così diretto. Per questo, è fondamentale per la Luttwak il passaggio a produrre opere di grandi dimensioni e site specific, che in parte deve ancora completarsi. Le sue “Radici” diventano richiami dell’artista a un modo diverso di guardare un determinato edificio o spazio, diventano una sorta di metatesto preso da Internet e riportato sulle tre dimensioni. In questo senso la scultura della Luttwak, sistemata nella Triennale con la sua parte iniziale piantata nella terra di Milano, è un richiamo forte all’imprenditorialità che ha fatto grande Milano (la Triennale è stata eretta grazie al lascito di Bernocchi), alla matrice milanese dello stile modernista dell’edificio e del fascismo onorato dai mosaici di Sironi e della torre di Giò Ponti. La scultura della Luttwak, di rosso forte proprio per rafforzare il proprio messaggio, fa poi riflettere anche perché le radici si diramano in aria, come a richiamare la necessità di far tesoro dell’esperienza passata, dei passati successi per ripartire anche oggi, anche domani. In un momento di difficoltà come questo anche a Milano, un messaggio del genere è azzeccatissimo.