A Tel Aviv presso l’Anu Museo del Popolo ebraico, gli studiosi terranno nel corso del mese di maggio una serie di lezioni approfondendo le loro scoperte specialmente soffermandosi su quelle sinagoghe, fatte di fango, così difficili da reperire; infatti queste sono state portate alla luce attraverso scavi, estremamente lenti e precisi, per estrarle dal terreno, seguiti da un altrettanto scrupoloso lavoro di ricostruzione e restauro da parte di una squadra di artigiani locali.
A questo proposito la docente ha ricordato che sulle sinagoghe non c’era il tetto, le pareti erano crollate e che, in quella di Akka, sono stati ritrovati una serie di lettere e testi sacri, inclusi alcuni rotoli di Torah, che gli ebrei, in fuga, avevano nascosto scavando un buco nella bima, la piattaforma centrale in cui si officiano le preghiere. Operazioni intense e complesse quelle dell’equipe che, durante il ritrovamento delle due sinagoghe nel sud del Marocco, ha superato ostacoli di ogni genere; dalla difficoltà di ottenere i permessi per gli scavi alle piogge torrenziali, riversatesi nell’area degli scavi dopo anni di siccità, con la preoccupazione che i testi ed i materiali rinvenuti si potessero deteriorare. Nonostante questo, tutto il materiale, miracolosamente, si è conservato intatto e la studiosa ha evidenziato che “i tanti Giusti di questo Paese ci hanno protetto salvaguardando il nostro progetto”.
Ma qual è il contenuto delle due ghenizà (depositi libri) delle sinagoghe rinvenute? I ricercatori assicurano di aver trovato materiale estremamente interessante, come lettere scritte a cabalisti e mistici per proteggere le gravidanze e le nascite di figli, ed antichi manoscritti, datati fra il diciassettesimo ed il diciottesimo secolo, che testimoniano una fitta corrispondenza fra ebrei e musulmani fino agli anni ’50. Fra le varie rivelazioni, la volontà degli studiosi di digitalizzare il materiale ritrovato nel sud del Marocco, anche se servono fondi, perché indispensabile per conoscere la cultura ebraica del sud del Paese attraverso le epoche. Stando al Times of Israel, la digitalizzazione e la consultazione dei materiali sarebbe fondamentale anche perché molti degli esuli, fuggiti da quei due villaggi e ora in Israele, sono ancora vivi e potrebbero ritrovare le loro radici. La studiosa e suo marito, da anni, lavorano per accendere l’interesse verso l’ebraismo marocchino e valorizzare gli sforzi del re Maometto VI e del suo consigliere Andre Azoulay, per normalizzare i rapporti con Israele facilitando la vita dei circa duemilacinquecento ebrei che, attualmente, vivono nel Paese. Negli ultimi vent’anni, ha notato la ricercatrice, il Marocco sta facendo grandi progressi, sviluppando la sua identità multiculturale e includendo l’identità ebraica e la storia della Shoah nei suoi programmi scolastici.