Cimitero Monumentale, reparto ebraico

Monumentale. All’ombra dei volti di pietra, per ascoltare la voce del silenzio

Arte

di Ester Moscati

I luoghi del ricordo Il Cimitero Monumentale racconta
la Milano borghese e custodisce un reparto ebraico dove arte
e tradizione si fondono. Una ricerca di Anna Maria Germontani e Marina Falco Foa ne narra e fotografa la storia.

Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi, celeste dote è negli umani; e spesso per lei si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi, se pia la terra che lo raccolse infante e lo nutriva, nel suo grembo materno ultimo asilo porgendo, sacre le reliquie renda dall’insultar de’ nembi e dal profano piede del vulgo, e serbi un sasso il nome, e di fiori odorata arbore amica le ceneri di molli ombre consoli.
Così Foscolo nei Sepolcri celebra l’importanza di una lapide, una stele, un sasso, che protegga il nome di chi non vive più e ne perpetui il ricordo presso i suoi cari. Perché la sopravvivenza del ricordo e dell’affetto è la chiave dell’immortalità.
Forse per questo i cimiteri sono capaci di quietare l’anima dei visitatori, trasportandoli oltre gli affanni del quotidiano e mostrando una prospettiva più alta e universale.
A Milano, al Cimitero Monumentale questa visione è amplificata dalla bellezza dei monumenti e delle sculture che dei versi del Foscolo sembrano eseguire diligentemente il compito.
E qui, raro e prezioso, il reparto ebraico testimonia anche la storia di una integrazione nella città, che ha portato gli ebrei a dedicare ai propri cari statue e decorazioni vicine per fattura artistica a quelle dei gentili. Spesso infatti sono gli stessi scultori ad adornare le tombe di entrambi i reparti, e a volte sono anche loro ebrei, come Roberto Terracini, Manfredo D’Urbino e Arrigo Minerbi, che realizzò anche una delle cinque porte bronzee del Duomo di Milano.
Anna Maria Germontani, ingegnere e fotografa, e Marina Falco Foa del CDEC, hanno dedicato al reparto ebraico del Monumentale un prezioso lavoro documentario e di immagini. «Questa particolare ricerca sulla scultura funeraria del Reparto Ebraico del Cimitero Monumentale – racconta Anna Maria Germontani, autrice delle fotografie – nasce da una più ampia ricerca sullo stesso tema sfociata poi in una mostra negli anni Novanta, con il titolo Armonia nel silenzio. Con la fotografa con cui condividevo il progetto, Tina Magnoni, avevamo deciso di fotografare il Cimitero Monumentale di Milano.

Per semplicità e per non dover poi suddividerci le tombe, io ho preferito limitarmi a studiare il Reparto Ebraico, più piccolo ma, se si può dire, molto più intenso. Non c’è la dispersione dei grandi viali e le tombe sono molto vicine, come nei cimiteri ottocenteschi delle piccole città. Quando sono ritornata ultimamente nella parte ebraica con Marina Falco Foa per scegliere le tombe più interessanti, tra quelle già fotografate, una sua considerazione su come certi particolari fossero ben lontani da quanto ci si potesse aspettare in un cimitero ebraico, mi ha fatto riflettere. Mi sono resa conto come nelle sepolture tra la fine dell’Ottocento e le prime decadi del Novecento, i monumenti del cimitero ebraico ben poco si discostino da quelli cattolici dello stesso periodo. Essendo spesso gli stessi scultori a operare in entrambi i contesti, la contaminazione dell’arte funeraria ebraica da parte di quella cattolica è stata notevole.
Soffermandoci nei vari campi e leggendo le iscrizioni, le tombe ci parlano di una presenza ebraica in Milano, molto attiva e molto integrata.
Troviamo qui sepolti Prospero Moisè Loria e Bettino Levi, anime della Società Umanitaria, la famiglia Pisa, banchieri, gli Jarach, imprenditori, e inoltre avvocati, professori e artisti, che avevano fatto di Milano la loro città. Una riflessione speciale richiedono poi le tombe che ricordano i giovani della comunità morti combattendo durante la Prima guerra mondiale, come la tomba Del Mar e la attigua tomba Jona. È un piccolo cimitero, un luogo dove è più facile camminare, soffermarsi e riflettere».

 

Ma com’è possibile che sia stato qui così platealmente eluso il divieto ebraico di immagini e sculture, in un luogo non “civile” ma destinato comunque a sepolture religiose?
«Una spiegazione a tale anomalia – dicono le autrici della ricerca – rispetto ai cimiteri ebraici tradizionali viene data da Carla De Bernardi ne La Piccola Città. Il Cimitero Monumentale di Milano (Jaca Book):“La tradizione antiiconica ebraica non prevede infatti la riproduzione di volti dei defunti o di persone a loro vicine, come invece avviene in molte delle sepolture qui presenti. Fu Alessandro Elishà Da Fano (Firenze 1847- Milano 1935), rabbino dal 1892 al 1935, preoccupato dalla scarsa affluenza in sinagoga e dai numerosi segni di crisi culturale degli ebrei milanesi, ad assecondare la richiesta di coniugare modernità e tradizione e promuovere la presenza di statue e loculi nell’ala israelitica del Cimitero Monumentale, non previsti dall’ortodossia ebraica”. Il reparto israelitico venne inaugurato nel 1872 e costruito in sostituzione di piccoli cimiteri israeliti dislocati in Milano: Porta Tenaglia, Porta Magenta e Porta Vercellina». Fu progettato, come tutto il complesso del Monumentale, dall’architetto Carlo Francesco Maciachini. Il cimitero, così come concepito dal Maciachini nel 1863, subì alcuni ampliamenti successivi, fino all’ultimo intervento nel 1932, che hanno portato all’attuale estensione e configurazione.
«Oltre ai sei campi numerati in cui è divisa l’area ebraica, – raccontano Falco e Germontani – si trovano anche, in mezzo a un prato, due campi comuni di cui uno destinato ai bambini. Le lapidi del campo comune, ormai illeggibili, nel caso dei bambini indicavano solo nome, cognome e la data della morte. Le persone sepolte sono in totale 1780; alcune sono solo citate alla memoria perché uccise nei campi di sterminio o nel Lago Maggiore nella strage di Meina. In corrispondenza del lato sud, un padiglione a pianta rettangolare con due absidi laterali costituiva inizialmente l’entrata del cimitero. Dopo l’ampliamento del cimitero del 1913 viene costruito a sud un ingresso separato, mentre la costruzione viene usata dalla Comunità per celebrazioni e funzioni».
Questo padiglione già particolarmente curato nelle decorazioni e nella scelta dei materiali usati, marmi e graniti, è stato arricchito, nel 2015, con preziose vetrate in vetro soffiato, ispirate a disegni di Marc Chagall. Realizzate dall’architetto e artista Diego Pennacchi Ardemagni, sono state donate dalla famiglia Sabbadini Eskenazy. All’interno del padiglione è custodito un seggio rabbinico di grande pregio, donato dalla famiglia Pisa e opera dello scultore Quadrelli. Un luogo dunque colmo di storia e bellezza che però – rilevano le autrici della ricerca – avrebbe bisogno di cura e manutenzione, perché i segni del tempo non cancellino memorie e arte. E non sia che, per tornare a Foscolo, la sua polve lascia alle ortiche di deserta gleba.