Tobia Ravà è un giovane artista che vive e lavora a Venezia dove ha frequentato la scuola Internazionale di Grafica e si è laureato in semiologia delle arti alluniversità di Bologna. Le sue opere sono presenti in collezioni sia private che pubbliche in Europa, Stati Uniti, America Latina e in Estremo Oriente. Ma è un artista del tutto originale, le cui opere pongono molti dubbi e riflessioni agli appassionati di arte.
Tobia Ravà, infatti, dopo aver sperimentato molti percorsi creativi inerenti al rapporto arte e scienza, dal 1998 ha avviato una ricerca legata alle correnti mistiche dellebraismo: dalla kabbalah al chassidismo, proponendo un nuovo approccio simbolico attraverso le infinite possibilità combinatorie dei numeri.
La logica letterale e matematica, che sottende le opere di Ravà, è intesa come codice genetico e raccoglie elementi sia filosofici sia linguistici che vanno a costituire una sorta di magma pittorico fatto di lettere e numeri, che si cristallizzano sulla superficie grandangolata di vedute di canali e boschi.
Nelle opere di Ravà si sviluppa un percorso simbolico a rebus, costruito su piani di lettura diversi attraverso la ghematrià, criterio di permutazione delle lettere in numeri in uso fin dallantichità nellalfabeto ebraico, secondo cui ad ogni lettera corrisponde un numero, così ogni successione alfabetica può considerarsi una somma aritmetica.
Dal 3 settembre al 1° ottobre, una personale dellartista, dal titolo I numeri della luce è proposta a Soncino, alla Casa degli Stampatori, con inaugurazione il 3 settembre in coincidenza della VII Giornata europea della cultura ebraica.
A. S.
Info: Casa degli Stampatori, Via Lanfranco, 6/8, tel. 0374 84883 – prolocosoncino@tin.it
www.tobiarava.com
Tobia Ravà (Padova, 1959), lavora a Venezia, ha frequentato la Scuola Internazionale di Grafica di Venezia ed Urbino. Si è laureato in semiologia delle arti allUniversità di Bologna, allievo di Umberto Eco, Renato Barilli, Omar Calabrese, Flavio Caroli. Dipinge dal 1971 ed ha esposto dal 1977 in mostre personali e collettive in Italia, Belgio, Croazia, Francia, Germania, Spagna, Brasile, Argentina, Giappone e Stati Uniti. È presente in collezioni sia private che pubbliche, in Europa, Stati Uniti, America Latina, e in Estremo Oriente. Nel 1983 è tra i fondatori del gruppo bolognese AlcArte, attivo allUniversità di Bologna (DAMS), con lintento di coniugare il fare arte allepistemologia. Dal 1988 si occupa di iconografia ebraica e ha svolto con Gadi Luzzatto Voghera e Paolo Navarro Dina un lavoro di ricerca e schedatura nellambito dellepigrafia ebraica nel Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Nel 1993 è il promotore del gruppo Triplani, che, partendo dalla semiologia biplanare di Greimas e Calabrese, prende il nome dallipotesi di un terzo livello di lettura simbolica, accanto a quelli del significato e del significante.
Nel 1998 è tra i soci fondatori di Concerto dArte Contemporanea, associazione culturale che si propone di riunire artisti con le stesse affinità per riqualificare luomo ponendolo in sintonia con lambiente e rendere larte contemporanea conscia dei suoi rapporti con la storia e la storia dellarte, anche interagendo espositivamente con parchi, ville, edifici storici e piazze di città darte. Dal 1999 ha avviato un ciclo di conferenze, invitato da università e istituti superiori darte, sulla sua attività nel contesto della cultura ebraica, della logica matematica e dellarte contemporanea.
Conversazione con Tobia Ravà
Come pensi che la tua famiglia abbia inciso sul tuo essere oggi artista?
Mio padre e mia madre hanno stimolato in maniera molto diversa – la mia infanzia e la mia adolescenza. Mio padre era ingegnere edile, in qualche modo sono anche io ingegnere edile perché costruisco pittoricamente architetture; egli era inoltre grande cultore della storia, del cinema, della geografia e di tutto ciò che aveva a che fare con il volo e laeronautica militare.
Non a caso sei tra i fondatori di un gruppo di artisti denominato Triplani. Da tua madre invece cosa hai preso?
Da mia madre, di origine tedesca, ho acquisito lamore per la letteratura, mentre la cultura ebraica lho assimilata un po da tutti e due. Per mia mamma è sempre stato un percorso letterario, per mio padre essenzialmente lamara memoria delle leggi razziali, dalle quali era stato in un qualche modo traumatizzato. Mentre mia madre ha avuto tutti e quattro i nonni morti in campo di concentramento e ha passato il periodo di guerra nascosta ai piedi del Monte Grappa, la famiglia di mio padre si è salvata nascondendosi a Fermo, nelle Marche.
Mi pare di capire che la tua formazione ebraica sia stata fondamentalmente laica.
Sì, essenzialmente, anche se abbiamo sempre festeggiato le feste principali, non eravamo solo ebrei di Kippur o Pesach, ma si andava in sinagoga per lo più 5-6 volte lanno.
Da che cosa dipende allora questa tua ricerca artistica che si collega strettamente alla cultura ebraica?
Già negli anni Settanta, lallora giovanissimo Benedetto Carucci venne a Venezia e tenne un ciclo di lezioni ai giovani della comunità su Gershom Scholem e le correnti mistiche dellebraismo. Negli anni Ottanta, durante i miei studi al DAMS a Bologna frequentai le lezioni del rabbino Kopciowsky e poi del giovane rabbino Alberto Someck. Contemporaneamente e soprattutto durante lo studio di tesi, che scelsi di fare in semiologia delle arti sullinterdizione visiva nellarte ebraica, frequentai il rabbino veneziano Raffaele Grassini e le metafisiche lezioni bolognesi del rabbino lubavich Borenstein.
È buffo, ma uno degli stimoli più forti a farmi poi intraprendere studi che avessero a che fare con la cabalà non venne dallambiente ebraico, ma da quello universitario, da Piero Camporesi e da Umberto Eco. Con Camporesi feci una ricerca sulliconografia delle Haggadot (testo rituale della Pasqua ebraica).
Eco invece, durante un esame fiume di semiotica, durato alcune ore, mi chiese – per sua curiosità personale – quali fossero le mie conoscenze sulla cabalà luriana, ossia sul filosofo ebreo medievale Isaac Luria.
Purtroppo non avevo ancora approfondito a sufficienza il suo pensiero, quindi non seppi rispondere. Però questa cosa mi rimase dentro e mi spinse alcuni anni dopo a studiare Luria ed ora questo famoso cabalista di Safed è un cardine della mia ricerca.
Cosa del pensiero di Luria hai trasportato nelle tue opere?
Innanzitutto i tre momenti della cabbalà luriana: il tzimtzum, la shevirà e il tikkun.
Puoi spiegare in che modo tutto ciò ha a che fare con la matematica e la fisica?
Il tzimtzum – detto riducendo molto la complessità del pensiero luriano è il momento in cui Dio crea luniverso e si rapprende esternamente, creando un vuoto atto ad ospitare la nuova creazione, che è parte di sé ma altro da sé. Il secondo momento, la shevirà, è rappresentato dalla rottura dei vasi della conoscenza: la conoscenza non è più contenibile e le particelle riempiono il mondo intero. Sia il tzimtzum che la shevirah si prestano ad un sviluppo ed ad una rappresentazione grafico-pittorica in quanto come insegna Pitagora ogni cosa del mondo, ogni elemento è riducibile ad un numero e secondo la ghematrià ogni lettera ebraica ha un valore numerico ed ogni parola è la somma dei valori numerici delle lettere che la compongono. Il mondo è costruito con la parola ed il mio interesse è decostruirlo analizzandolo attraverso il numero corrispondente.
Per ricostruirlo poi sotto unaltra veste. Allora anche se compaiono forme riconoscibili, come portici, piazze, architetture, boschetti, diventa tutto molto concettuale.
Ed il tikkun cosa rappresenta?
È il terzo momento della cosmogenesi luriana, un momento a venire. Rappresenta lepoca messianica, nella quale non avremo più guerre ed il lupo e lagnello pascoleranno assieme. Per arrivare a ciò luomo diventa socio di Dio, al fine di portare a compimento la creazione. Cercando di riqualificare se stesso, luomo innalza il mondo intero ad un livello superiore, atto a riacquisire la possibilità a cogliere le scintille. I miei boschetti sono sempre ricavati da immagini di boschi piantumati dalluomo, in cui gli alberi sono posti ad uguale distanza luno dallaltro e latto della piantumazione è simbolico del tikkun. Si ricavano così delle lunghe fughe prospettiche, che generano dei percorsi.
Il tuo lavoro assume quindi un valore etico morale? Vista la concettualità del discorso che sottostà allopera, come pensi che venga recepito dal pubblico questo messaggio?
Non intendo dare delle risposte assolute, ma penso che il mio lavoro possa suscitare nel fruitore delle nuove domande che prima non si era mai posto e quindi in questo senso penso possa intrigare e servire a far riflettere su determinati concetti.
Che significato hanno opere con soggetti come il Colosseo, che non è certo un simbolo positivo e quanto di più lontano si possa pensare dalla mistica?
Hai presente il Processo di Shamgorod di Elie Wiesel, dove Dio è limputato perchè ha permesso che ci fosse stato il pogrom. Alla fine del processo si scopre che lavvocato difensore è il diavolo. Lopera sul Colosseo è un tzimtzum di negatività, però trasformato in una colossale formula matematica.
Cè un recupero della storia e del passato nelle tue opere. Forse uno di questi valori che vuoi rispolverare è legato alla bellezza e al rispetto della natura, e di tutto ciò che luomo ha prodotto come risultato di conoscenze e saperi?
Il mio rapporto con la natura è panteistico nei termini in cui Spinoza può aver forse tratto proprio dalla cabalà lequivalenza tra Dio e Natura.
Vuoi spiegarlo nei termini più legati al tuo lavoro?
Gikatila, allievo di Abulafia scrisse un testo sul pensiero del suo maestro, ristampato nel nord della Germania, ad Hanau nel 1615, e lEtica di Spinoza venne pubblicata nel 1630 in Olanda. La natura, ha tevà, ha lo stesso valore ghematrico di Eloim, 86, uno dei nomi di Dio, quindi Spinoza non era certo un eretico per aver inventato il panteismo, ma era allinterno di una tradizione ebraica mistica e da questa probabilmente aveva tratto il suo pensiero. Inoltre per Newton la matematica regola ogni cosa della natura. Per quanto riguarda la musica per esempio Luigi Nono diceva di aver capito Schömberg dopo aver letto lo Sèfer Yatzirà, Libro della creazione, uno dei testi base della cabalà; e la deduzione logica ghematrica è evidente nel rapporto tra valore numerico e quello delle note.
Ancora prima di Newton, allinizio del XIII secolo, Leonardo Fibonacci scoprì che vi è una progressione numerica nei fenomeni naturali: nella disposizione e crescita delle foglie sugli alberi, nella distribuzione a spirale dei flosculi delle margherite e dei semi di girasole, nelle pigne e negli ananassi e in molte piante le cui foglie crescono a spirale. Il rapporto tra una spira del nautilus e quella successiva è uguale al rapporto tra due numeri successivi di Fibonacci, che è 1,618, il famoso Phi. Non solo le piante, ma anche gli animali e gli uomini hanno misure che rispettano esattamente questo rapporto, come i segmenti di alcuni insetti. In un alveare il rapporto tra femmine e maschi è uguale a Phi, così tra i conigli, ma anche nel corpo umano. Leonardo da Vinci fu il primo a scoprire che le ossa del corpo umano hanno tra loro il medesimo rapporto che corrisponde alla proporzione aurea, come mostrò nellUomo vitruviano.
Il rapporto tra due numeri di Fibonacci successivi tende al rapporto aureo o sezione aurea ed è stato assunto fin dallantichità come canone di perfezione classica: il rettangolo i cui lati stanno nel rapporto aureo (1,16 ca) inquadra perfettamente il Partenone, ma queste proporzioni si ritrovano anche nelle piramidi egizie e nei contemporanei di Leonardo, come Michelangelo, Dürer, così come in Mondrian, e in architetture recenti, quale il palazzo delle Nazioni Unite a New York. Gli artisti hanno spesso operato seguendo questa logica in maniera più o meno inconsapevole. Il pointillista George Seurat ne era perfettamente conscio, per non parlare poi delluso che ne hanno fatto gli artisti contemporanei come Mario Merz, Gino De Dominicis, Alighiero Boetti.
La sequenza di Fibonacci è abbondantemente rappresentata anche in musica, ad esempio nelle fughe di Johann Sebastian Bach, nelle sonate di Mozart, nella Quinta Sinfonia di Beethoven, nella Sonata in la D 959 di Schubert, in parte delle opere di Debussy e di Ravel, nellAllegro Barbaro di Bèla Bartòk, ma lesempio più elevato di applicazione su vasta scala degli stilemi improntati alla proporzione aurea è dato dalla Sagra della Primavera di Strawinski. Di recente si sono trovate relazioni tra i numeri di Fibonacci e alcuni algoritmi numerici particolari.
In che termini le tue opere sono in qualche modo costruite con la sequenza di Fibonacci?
Un numero sempre più vicino a 1,618 è il numero che si ottiene dividendo ogni numero della serie di Fibonacci per il precedente e ogni numero della serie è la somma dei due numeri precedenti, avvicinandosi quindi alla sezione aurea. La mia ricerca si attua in alcuni lavori ricostruendo le immagini con una specifica ricostruzione ghematrica di volta in volta diversa. In ogni numero della serie, in ogni oggetto cerco di ricostruire una parola od un concetto presente nel testo biblico o comunque nella mistica ebraica.
Puoi farci qualche esempio più specifico sul rapporto tra matematica e cabalà?
I più noti e chiari sono per esempio lanalogia tra shaddài, che vuol dire onnipotente e p Pi greco, schin vale 300, dàlet 4, jòd 10, la somma ci dà 314, lo shaddài, nella tradizione ebraica è un oggetto apotropaico, che viene messo allapice della culla di un neonato (un tempo si usavano delle gerle), al fine di portare protezione in una zona circolare sottostante. Questo numero coincide con il valore del Pi greco, attraverso cui si calcola la circonferenza. Un altro esempio molto noto è dato dalla somma dei valori ghematrici di padre e madre: padre si dice av ed ha valore 3, madre si dice am ed ha valor 41 e la loro somma dà 44 che è il valore di yeled, che significa bambino.
Tu usi anche i cosidetti quadrati magici, che ho visto recentemente anche in lavori di Clemente e Maraniello. Quale significato hanno allinterno delle tue opere?
Nella struttura compositiva dei miei lavori ho inserito spesso i quadrati magici in quanto, in realtà, ho scoperto essere lespressione di concetti base della mistica ebraica: i più famosi ovvero quello del 65 e del 15 rappresentano i nomi di Dio: Adonai e Jud hei, Hod Sefirah splendore, quello del 18 rappresenta la hai ovvero vita. Inoltre quello del 34, presente anche nella Melencolia I di Dürer, è un minimo comune multiplo, tanto quanto gli altri sono massimi comuni denominatori e tra i suoi significati vi sono per esempio eghel, ovvero la goccia, dal povero e chativà parte o pezzo, quindi sono mattoni fondamentali delle mie costruzioni.
Ma che cosa sono in definitiva i tuoi lavori?
Forse sono delle macchine, cerco di individuare delle formule che ci mettano a contatto con un livello più alto, forse con unentità superiore. Con i miei putzle cerco di togliere le qelipòt, le scorze delle scintille, che ci danno solo la realtà apparente.
Maria Luisa Trevisan