Primo Levi secondo l’artista Georges de Canino

Arte

di Eirene Campagna
In occasione del centenario della nascita di Primo Levi, vogliamo ricordare l’operazione attuale e originale realizzata nel 2018 dall’artista italo-francese Georges de Canino, che consiste nel sintetizzare in poche immagini l’intera testimonianza del lager fornita da Levi.

Sette tele – realizzate con la tecnica del collage, ognuna di 70 centimetri di altezza e 50 di larghezza – dedicate alla prima edizione persa, scomparsa, dimenticata di Se questo è un uomo del 1947, quando faceva troppo orrore la Shoah e non si riusciva ancora a fare i conti con le responsabilità relative all’uccisione di milioni di ebrei, sono state donate al Centro Internazionale Primo Levi di Torino.

Sullo sfondo George de Canino colloca sempre il volto di Levi, ritagliato dai giornali, e ritratto in fasi diverse della sua vita. Sopra il volto sono impresse iscrizioni in ebraico realizzate con pennellate a tempera di colore azzurro.

Nello stesso tempo l’attenzione dell’artista è rivolta alle diverse etnie, alle religioni, ai nuovi profughi, ai rifugiati che egli mostra nei ritagli degli articoli di giornale collocati intorno al volto di Levi. L’artista però non specifica l’anno di pubblicazione né le testate di appartenenza dei giornali, ma chi osserva può farsi un’idea delle date degli articoli, data la visibile differenza di colore delle pagine, ma soprattutto grazie al contenuto degli articoli stessi.

Nelle opere è ben evidente anche l’attenzione particolare che viene data alla religione: sono presenti infatti tante foto di diversi Papi con i vari Rabbini, e si possono osservare molti articoli in cui viene trattato il rapporto tra il cattolicesimo e l’ebraismo, senza escludere però le altre religioni come l’Islam. Primo Levi è quindi sempre sullo sfondo, posto quasi come vittima sacrificale che regge la modernità. Una modernità che comincia a far paura: il ritorno alla violenza e il picco di antisemitismo raggiunto negli ultimi anni spaventano, riportano indietro nel tempo.

I suoi occhi e le sue labbra sono sempre evidenziati da piccoli tratti di colore bianco, che sembrano attivare la nostra coscienza, ogni qual volta ci fermiamo a guardare quel volto. Lo sguardo di Levi è insieme serio e bellissimo, è lo sguardo di chi si è salvato, ma che ha raccontato anche per i tanti sommersi, e continua a farlo ancora oggi per l’umanità intera.

Le tele sono anche documenti preziosi che custodiscono l’importanza dell’opera di Levi nonostante la poca considerazione che all’inizio le fu dedicata, mentre l’artista, in tempi più recenti, è illuminato da un’intuizione che va esattamente nel senso opposto, evidenziandone i tratti più significativi.

Inoltre tra le tele vi è una dedicata all’amico di Levi, Lello Perugia, che ha affrontato con Levi il viaggio di ritorno da Auschwitz, e corrisponde al personaggio di Cesare nella Tregua. Nel collage in primo piano è mostrato il volto di Lello Perugia, e il suo braccio su cui è presente, indelebile, il tatuaggio da deportato.

Georges de Canino sceglie di documentare attraverso l’arte, senza però trascurare la bellezza nel suo lavoro artistico, anzi le sue grandi e suggestive tele, riempite con la tecnica del collage, potrebbero essere quasi più immediate dei testi testimoniali.

E, riportando tutto all’attualità, se dovessimo scegliere una metodologia per fermare “il mostro che avanza”, l’arte, questa arte è un antidoto potente. Emoziona senza far dimenticare il suo scopo ultimo.

Storia del libro Se questo è un uomo

Come in molti sanno, la prima edizione di Se questo è un uomo del 1947 è stata rifiutata da Einaudi ed è stata poi pubblicata da una piccola casa editrice.

Il libro, intitolato in origine I sommersi e i salvati, è stato infatti rifiutato con una motivazione generica, trovando in seguito accoglienza presso le edizioni De Silva di Franco Antonicelli, dove sarà pubblicato in 2500 copie. Sarà Antonicelli stesso a cambiare il titolo in Se questo è un uomo, un verso tratto dalla poesia dello stesso autore che figurava in epigrafe.

Il libro ottiene successo soprattutto in ambito piemontese, ebraico e di sinistra, con circa 1500 copie vendute e accompagnato da buone recensioni. Italo Calvino dopo aver letto l’opera le dedica una nota su l’Unità di Torino, descrivendola come «una vera potenza narrativa». Anche sul bollettino della Comunità israelitica di Milano di maggio-giugno 1948, Cesare Cases, che diventerà uno dei principali critici di Primo Levi, scrive: «a differenza di altri libri usciti dalla stessa esperienza, qui bisogna parlare di arte».

Ma Levi non si fermerà a 2500 copie, infatti torna a proporlo ad Einaudi, e firma un contratto nel 1955 che prevede la pubblicazione dell’opera in una collana semi-economica, la Piccola Biblioteca Scientifico-Letteraria, ma l’uscita è rimandata fino al 1958.

Infine, Se questo è un uomo uscirà in 2000 copie nella collana Saggi.

Negli anni seguenti il libro viene tradotto in Inghilterra, Stati Uniti, Francia e Germania, sarà proprio questo risveglio d’interesse ad indurre Levi a “proseguire” il racconto autobiografico da dove l’aveva interrotto, ricominciando a narrare dall’arrivo dell’Armata Rossa ad Auschwitz. Nasce La Tregua, il libro in cui Levi racconterà tutto il viaggio di ritorno a casa, da Auschwitz fino alla sua vecchia casa, a Torino.

La Tregua, pubblicata nel 1963, ottiene ottime accoglienze critiche, un buon piazzamento al Premio Strega di quell’anno, fino a vincere a settembre la prima edizione del Premio Campiello.

Il successo del libro segna anche l’inizio della fortuna di Se questo è un uomo, che da quel momento verrà ristampato in maniera quasi ininterrotta, diventando uno dei libri più letti nel dopoguerra.

Negli stessi anni Levi stesso cura con Pieralberto Marché una versione teatrale di Se questo è un uomo che verrà messa in scena al Teatro Stabile di Torino.