di Michael Soncin
Un mosaico di colori destinato a far sognare il visitatore ad occhi aperti.“Tutti i colori dell’Italia ebraica – Tessuti preziosi dal Tempio di Gerusalemme al prêt-à-porter” è il titolo della mostra in corso a Firenze, presso gli Uffizi, fino al 27 ottobre, che Mosaico Bet Magazine ha avuto l’occasione di visitare in questi giorni per voi.
L’esposizione sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana raccoglie più di 140 opere tra arazzi, merletti, abiti e diversi oggetti destinati alla vita religiosa e all’uso quotidiano. Pezzi preziosi non solo per il materiale e la minuziosa lavorazione di alto artigianato; ma soprattutto per il crogiolo che ne emerge dalle diverse identità ebraiche in legame alle varie aree geografiche.
Fin dalla sua inaugurazione, il 27 giugno, vi è stato un ottimo riscontro da parte del pubblico, molto probabilmente destinato ad aumentare; a maggior dimostrazione, i posti disponibili per la visita guidata del 22 settembre con le curatrici della mostra Dora Liscia Bemporad e Olga Melasecchi sono andati esauriti in pochissimo tempo.
Tra sacro e profano
“Il rapporto tra il mondo ebraico e l’arte tessile – afferma il Direttore degli Uffizi Eike Schmidt – ha origini millenarie e attraverso i secoli è stato alimentato da suggestioni bibliche, vocazioni cultuali e culturali, necessità contingenti e opportunità imprenditoriali. Sacro e profano, storia di un popolo e cronaca familiare si intrecciano a disegnare trame – il gioco di parole è d’obbligo – che trovano il filo conduttore nella predilezione per questi manufatti, rivelandoci inoltre le ragioni per cui spesso gli ebrei ne furono e ne sono collezionisti esperti e studiosi competenti”.
Non a caso gli oggetti in esposizione, che abbracciano le diverse epoche storiche, non riguardano esclusivamente “il lato sacro”, come i manufatti della tradizione ebraica, ma ne includono anche “il lato profano”, come i protagonisti della moda e del design del ventesimo secolo; Roberta di Camerino e Gigliola Curiel sono tra questi.
“Siamo dunque di fronte a una rassegna di amplissimo respiro su un tema mai affrontato prima in una grande mostra e che già da tempo meditavo di realizzare, finché gli Uffizi e un gruppo di specialisti d’eccezione lo hanno reso possibile. Il visitatore avrà un’occasione di conoscenza rara e rimarrà sorpreso dalla varietà e ricchezza degli oggetti esposti, spesso mai visti prima, che spaziano dai solenni parati liturgici ai doni diplomatici, dagli abiti ai ricami, dai ritratti al prêt-à-porter e molto altro: sono le fitte, preziose trame del popolo ebraico in Italia”, si apprende da Eike Schmidt; al quale va riconosciuto il merito, grazie ad un appello da lui lanciato, di aver reso possibile la restituzione all’Italia del celebre dipinto Vaso di Fiori dell’artista olandese Jan Van Huysum, trafugato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Da “Tutti i colori della Roma ebraica” a “Tutti i colori dell’Italia ebraica”
“Fu mia sorella Daniela, – spiega Alessandra Di Castro, Presidente della Fondazione per il Museo Ebraico di Roma – in quegli anni direttrice del Museo Ebraico di Roma, ad avere per prima l’idea di una mostra che avesse come tema lo straordinario “archivio” dei preziosi tessuti prodotti nel corso dei secoli, a partire del cinquecento, dalla comunità ebraica di Roma. Era il 2008. La mostra avrebbe dovuto chiamarsi Tutti i colori della Roma Ebraica. La scomparsa prematura e dolorosa di Daniela non fece che rafforzare l’ambizione di portare avanti questa iniziativa. La volontà proprio grazie ad un’intuizione di Schmidt, era di dare a quest’affondo mai tentato prima sulla storia del tessuto ebraico una dimensione non più esclusivamente romana, ma nazionale, coinvolgendo tutte le comunità ebraiche italiane”.
I pezzi esposti provenienti non solo dall’Italia, ma da tutto il mondo – come si evince dalle parole di Alessandra Di Castro – riguardano: “Le mappot quei tessuti ricamati usati nelle sinagoghe ancor oggi per presentare la pergamena del Sèfer Toràh quando il rabbino ne dà lettura, donate nei secoli dalle famiglie ebraiche alle sinagoghe delle loro città per ricordare i propri cari altrimenti destinati all’oblio, o i mei’lìm – i manti usati per coprire e proteggere il rotolo della Legge riposto nell’aròn ha-qòdesh – creati dagli artisti-artigiani delle comunità (molto spesso donne) utilizzando stoffe di riuso (le uniche che gli ebrei potevano commerciare) che venivano decorate con i motivi decorativi aniconici della cultura ebraica o con elementi araldici, spesso intessuti d’argento o talvolta addirittura d’oro, raccontano un capitolo entusiasmante delle arti decorative italiane”.
Le origini, nel tempio di Gerusalemme
“È innanzitutto l’occasione – dichiara Dario Disegni, Presidente della Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia – per illustrare significativi momenti della ritualità ebraica e sottolineare come questi affondino, in molti casi le proprie origini negli apparati di culto del tempio di Gerusalemme. I preziosi paramenti cerimoniali rappresentano una delle poche forme di espressione artistica che la popolazione ebraica ha potuto praticare direttamente e ci rammentano le rigide restrizioni a cui essa fu soggetta all’epoca dei ghetti, quando il commercio di stracci usati costituiva una delle pochissime attività consentite agli ebrei.
Quest’antica consuetudine si tradusse poi, con l’emancipazione, nel collezionismo di opere tessili, nonché nell’imprenditoria e nel design di questo settore”.
I tessuti, da arte minore a ruolo da protagonista
“Dopo le poche esposizioni promosse per intenti propagandistici prima della seconda guerra mondiale,– illustrano le curatrici della mostra Dora Liscia Bemporad e Olga Melasecchi – i tessuti non sono mai stati in primo piano e se, esposti, subordinati ad altre categorie, pittura e scultura in primis, a meno che non si trattasse di grandi cicli di arazzi ritenuti da sempre “tangenti” alle arti maggiori. Qui per la prima volta i tessuti, e in particolare quelli ebraici, sono protagonisti. I tessuti, in molti casi frutto della rielaborazione di abiti femminili e di tendaggi per le dimore signorili, hanno rappresentato una delle anime più significative dell’arte ebraica, spesso negletti e bistrattati anche a causa della scarsa considerazione in cui in Italia sono tenute le arti minori”.
Pezzi unici, ragioni diverse
Sono diverse le opere della mostra che per diversi criteri debbono essere ritenute uniche, e tra le tante ce n’è una, in prevalenza monocromatica che cattura l’attenzione. Si tratta – senza toni enfatici – della preziosissima lavorazione del pizzo a tombolo, su un pannello composto a mosaico disegnato da Emanuele (Lele) Luzzati (1921-2007), raffigurante I fasti e le immagini della Commedia dell’Arte Italiana. Luzzatti pittore e illustratore la cui versatilità gli ha permesso di spaziare anche nel campo dei tessuti; aveva ideato il pizzo per adornare una sala del transatlantico americano Oceanic.
L’evento ha permesso anche il restauro di altri oggetti di grande valore, come il più antico me’il d’Italia, appartenente alla Comunità Ebraica di Padova; o l’aròn ha-qodesh del sedicesimo secolo, in legno di noce, originario dalla più antica sinagoga di Pisa, in cui sono riemersi i finti marmi e le eleganti dorature.
Per la sua bellezza – data dal campo verde azzurro e dai caratteri ebraici dorati, con raffigurati al centro due leoni – è da menzionare la Mappàh Corcos (Gros ricamato e Raso Broccato), composta di un pannello centrale per opera di una ricamatrice romana, e i due laterali di manifattura Svedese.
Mentre da Milano, ritroviamo un contratto nuziale, tempera ed inchiostro su pergamena del 1769 caratterizzato da una laboriosa decorazione, di una collezione privata; proveniente dalle raccolte di Palazzo Morando, ritroviamo un abito femminile, modello Andrienne del tardo settecento, la cui grande abbondanza del tessuto rendeva ideale il riutilizzo per gli arredi delle sinagoghe.
Dall’Israel Museum di Gerusalemme, un cofanetto in argento realizzato da un orafo veneto, definito dagli esperti come “unico e straordinario, che come una specie di computer ante litteram ad uso della padrona di casa, tiene il conto della biancheria che via via era consumata dai componenti della famiglia”, con delle iscrizioni traslitterate in ebraico del dialetto dell’Italia del nord.
A rendere singolare questa mostra, oltre ai pezzi, sono i numerosi saggi, scritti dai diversi esperti in materia. Si spazia – per citarne alcuni – da Baruch Lampronti, autore del saggio Dal Tempio di Gerusalemme agli arredi per il Sèfer Toràh, in cui vengono descritti i diversi vestimenti della tradizione romana, toscana e piemontese; ad Amedeo Spagnoletto autore di La scrittura come decorazione, fino a Percorsi e modalità dell’imprenditoria ebraica tra otto e novecento di Giorgia Calò, dove l’abito femminile del 1976, in jersey di poliestere stampato, della famosa stilista Roberta di Camerino all’anagrafe Giuliana Coen, ne è un iconico esempio.
CATALOGO DELLA MOSTRA: “Tutti i colori dell’Italia Ebraica – Tessuti preziosi del tempio di Gerusalemme al prêt-à-porter“, Giunti Editore, pp. 216; euro 36,00.