di Ilaria Ester Ramazzotti
Cantautore, poeta e romanziere, ha ispirato generazioni di scrittori, musicisti e artisti. Leonard Cohen (Montrèal 1934-Los Angeles 2016), talentuoso e inconsueto cantore dell’imperfezione della condizione umana, ha raccontato nel corso della sua densa carriera, attraverso un linguaggio sorprendentemente inventivo e singolare, temi che spaziano dal sacro al profano. Con la mostra Leonard Cohen: A Crack in Everything, il Jewish Museum di New York proporrà dal 12 aprile all’8 settembre 2019 un percorso espositivo ispirato alla vita e all’opera del celebre artista, nato in Canada da una famiglia ebraica e scomparso negli Stati Uniti nel 2016.
Saranno esposte opere d’arte contemporanea di una serie di artisti ispiratisi alla figura di Leonard Cohen, alla sua vita, alla sua musica e ai temi che trattava. La mostra, proposta a cura del Museo di Arte Contemporanea di Montrèal, è itinerante e toccherà a New York la sua seconda tappa, prima di raggiungere Copenhagen e San Francisco.
Sotto le luci ci saranno installazioni multimediali, video e musicali, una delle quali ha raccolto le voci di alcuni fan che hanno interpretato in sala di registrazione le canzoni dell’album I’m Your Man del 1988, mentre un’altra proporrà interpretazioni del coro della sinagoga Shaar Hashomayim, della congregazione di Westmount a Montrèal, di cui il musicista faceva parte. Non mancheranno proiezioni video che mostreranno disegni fatti da Leonard Cohen e un’innovativa galleria multimediale dedicata a suoi brani musicali.
Fra le opere, riecheggeranno temi e parole che caratterizzano la visione artistica l’espressione musicale di Cohen, narratore di temi sociali che vanno dalla sessualità, al sostegno degli oppressi, alla giustizia sociale, all’impegno contro la guerra.
Cantore delle luci e delle ombre dell’esistenza, dalla fede alla depressione, alle malinconie urgenti contenute nelle dissertazioni sullo stato del cuore umano in canzoni Suzanne, Bird on a Wire e Hallelujah, Leonard Cohen non manca di ricordare che in tutto c’è una crepa: A Crack in Everything. È da questa sua affermazione che la mostra prende il titolo, dal celebre versetto dalla canzone Anthem tratta dall’album The Future del 1992:
Suona le campane che possono ancora suonare
Dimentica la tua offerta perfetta
C’è una crepa, una crepa in tutto
È così che entra la luce.