di Ilaria Ester Ramazzotti
Una maratona dedicata alla lettura de ‘I sommersi e i salvati’ di Primo Levi, svolta al Memoriale della Shoah di Milano lo scorso 24 giugno, è stata fra gli appuntamenti della rassegna La Milanesiana, ideata da Elisabetta Sgarbi. L’evento, introdotto dai saluti del presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano Roberto Jarach, è stato proposto da Marco Vigevani e Andrea Kerbaker nel centenario della nascita dello scrittore torinese sopravvissuto ad Auschwitz. Parole di testimonianza, all’insegna della Memoria da salvaguardare per le generazioni future, hanno risuonato nelle tante voci alternatesi alla lettura.
“Spero non risulti irrispettoso parlare di bellezza in un Memoriale della Shoah, ma ciò che più mi colpisce di Primo Levi, continuando a leggerlo e a rileggerlo, è la bellezza della scrittura – ha sottolineato lo scrittore Mauro Covacich nel suo prologo -. Una bellezza nemica dell’estetismo. Mi colpisce lo sforzo di produrre delle frasi, e poi un testo, che siano nella loro semplice eleganza il segno di un patrimonio etico. L’enorme ricchezza custodita in un gesto”.
“La forma è innanzitutto una scelta di campo, espressione di un’intenzione precisa, in Levi così eloquente da non dover quasi essere pronunciata. Si tratta della testimonianza, ovviamente”. Primo Levi testimone e scrittore della Shoah, prima di tutto, pur nella sua consapevolezza dell’inesistenza delle parole che servirebbero per raccontarla. Ma in ‘I sommersi e i salvati’ si legge anche quel Primo Levi testimone e scrittore degli estremi che possono toccare i comportamenti umani in un sistema autoritario e concentrazionario, capace di annientare l’individuo. Era possibile capire l’essere umano dall’interno l’universo dei lager? Come si configurano i rapporti fra oppressi e oppressori? E chi sono gli uomini che vivono nella zona grigia, nelle mille sfumature della collaborazione o dell’indifferenza? Come si può essere sommersi o salvati? Un’analisi che Levi lascia a tutte le generazioni, con profondo senso etico e contro ogni falsificazione o negazione della verità storica. Un libro che è riflessione sulla natura dell’umanità, oltre che testimonianza.
È stata la senatrice a vita Liliana Segre a leggerne il primo brano, tratto dalla prefazione: “I militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: «In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perché noi distruggeremo le prove insieme con voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi, che negheremo tutto, e non a voi. La storia dei lager, saremo noi a dettarla».
Le cose sono andate in modo diverso, seppur lungo un percorso difficile e discontinuo, oggi insidiato dalle sfide di un rinnovato negazionismo e della scomparsa degli ultimi testimoni. Ancora una volta, Primo Levi ci viene in aiuto con le sue parole. “Per lo scrittore che testimonia, scrivere è deporre – ha detto ancora Mauro Covacich -, così come esistere è affrontare le udienze di un processo lungo quanto la vita stessa”.