Al Quarta Parete di Milano va in scena Despáchame: identità, silenzi e partenze

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di Davide Cucciati
Lo spettacolo, andato in scena il 5 e 6 aprile al teatro Quarta Parete di Milano, scritto, diretto e interpretato da Brenda Bronfman,  e interprete insieme alla collega argentina Daniela Funes, si svolge in un non-luogo, un aeroporto in cui due sconosciute attendono tra voli cancellati, parole nuove e silenzi densi. È un racconto intimo e universale, dove l’attesa diventa occasione e lo smarrimento si trasforma in ascolto.

Il 5 e 6 aprile 2025, al teatro Quarta Parete di Milano, è andato in scena Despáchame, uno spettacolo scritto, diretto e interpretato da Brenda Bronfman, regista, drammaturga e interprete insieme alla collega argentina Daniela Funes.

Arrivare al teatro è stato il primo atto inconsapevole della rappresentazione: Google Maps indicava il luogo ma l’ingresso sembrava non esistere. Solo scendendo, cercando sotto, letteralmente, si accedeva allo spazio nascosto all’interno della stazione di Porta Vittoria. Una coincidenza, certo, ma non priva di senso: Despáchame si svolge in un non-luogo, un aeroporto in cui due sconosciute attendono tra voli cancellati, parole nuove e silenzi densi. È un racconto intimo e universale, dove l’attesa diventa occasione e lo smarrimento si trasforma in ascolto.

Sul palco ci sono solo loro: due donne, due mondi.

Una è argentina: lo dichiara da subito, con le parole, l’accento, una bandiera che sventola. L’altra è israeliana e lo spettatore lo scopre gradualmente. Le differenze sono chiare sin dall’inizio: due caratteri diversi, due ritmi diversi. Il rapporto è formale, educato, quasi distante. Ma lentamente le due donne si avvicinano, scena dopo scena, fino a volersi davvero bene, dalla distanza fisica iniziale fino all’abbraccio finale. Che, però, non è ancora il vero e proprio finale.

A un certo punto dello spettacolo le due donne immaginano di entrare dentro una valigia e compiono un viaggio simbolico attraverso più luoghi. Non è un tour geografico, bensì una traversata nella memoria, nella sensorialità e nell’identità, dove ogni tappa evoca storie personali e collettive, tra cui anche Israele. La valigia, da semplice oggetto di scena, diventa così spazio di racconto, contenitore di radici, custode di ciò che ognuno porta con sé.

Il titolo Despáchame, in spagnolo, richiama l’azione di spedire un bagaglio. Ma nel linguaggio della pièce, questo gesto diventa qualcosa di più: è desiderio di essere inviati nel proprio racconto. Un invito a lasciarsi attraversare, a non restare immobili nell’attesa, a proseguire lasciandosi alle spalle ciò che è passato, senza per questo dimenticare.

Le musiche non accompagnano semplicemente lo spettacolo: ne fanno parte. Esse intervengono nei passaggi cruciali, sostengono il ritmo della narrazione ed entrano nel dialogo emotivo tra le due protagoniste.

Daniela Funes e Brenda Bronfman reggono l’intero spettacolo con una presenza scenica solida e coinvolgente. Il loro dialogo è dinamico, mai scontato, capace di passare dal comico al toccante senza forzature. Funes dà al suo personaggio argentino un’energia viva e spesso ironica. Bronfman, nel ruolo della protagonista israeliana, costruisce una figura più contenuta ma non meno intensa, con una profondità emotiva che cresce con il progredire della scena. La loro intesa regge il ritmo dello spettacolo: si cercano, si respingono e si avvicinano.

Il tema ebraico risuona con forza: inizialmente sono dei numeri pronunciati in ebraico a invitare lo spettatore a non soffermarsi all’apparenza. Accenni che aprono lo spazio della curiosità. Poi i simboli si intensificano: una bandiera, descrizioni di Israele, fino ad arrivare a un passaporto nelle mani di Brenda Bronfman che sarà riconosciuto solo dagli spettatori più attenti.

A un certo punto, viene evocato anche il Kotel, menzionato nel testo con il suo nome ebraico completo, HaKotel HaMa’aravi, e poi subito tradotto come “Muro del Pianto”. Una delle protagoniste ne spiega il senso: si chiama così perché lì si prega e pregando si piange. In quel momento, pur senza riferimenti espliciti alla tradizione ebraica, risuona il ricordo della figura di Channa, la madre di Shmuel, il cui pianto fu un elemento decisivo della sua preghiera.

Alla fine dello spettacolo, lo spettatore assisterà a una scelta. Una scelta che riguarda tutti e in particolare il pubblico ebraico, senza negare la tensione universale. È un gesto che oscilla tra il generale e il particolare, tra biografia e storia, tra l’intimità e ciò che ciascuno sente proprio.

Lo spettatore coglierà anche richiami alla strage del 7 ottobre 2023: parole in ebraico, dettagli, accenni, silenzi che parlano a chi ha vissuto quei giorni o ne custodisce la memoria. Parole che, se colte, arricchiscono ancora di più la percezione finale dello spettacolo.

C’è poi una componente italiana ben presente: non solo nella lingua, ma anche nei riferimenti culturali che emergono in scena. Tra questi, il calcio, argomento che unisce mondi diversi, tra cui l’Italia e l’Argentina, e che funge da terreno comune per iniziare una conversazione e provare a costruire un ponte con chi assiste allo spettacolo.

Despáchame non offre risposte, ma apre valigie. Nel farlo, invita ciascuno a interrogarsi su cosa tenga nascosto, su quali confini interiori attraversi ogni giorno. Non serve conoscere tutto ciò che viene evocato per sentirlo proprio. Basta sedersi, ascoltare, e, forse, lasciarsi spedire altrove.