Al Teatro Franco Parenti la prima mondiale di Salomon Shylock

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di Esterina Dana

Una Sala Grande gremita, quella di domenica 28 gennaio al Teatro Franco Parenti per l’occasione della Prima mondiale di Salomon Shylock di Mario Diament, drammaturgo, giornalista, romanziere e saggista argentino. Il lavoro, nato da un’ideazione di Andrée Ruth Shammah con la curatela di Raphael Tobia Vogel e la collaborazione di Alessandro Ceresi, è stato tradotto dallo spagnolo e realizzato sotto forma di lettura scenica.

 

Gli attori – dice Shammah – a tratti leggono il copione per sottolineare il peso della parola, anziché l’emozione, generalmente prerogativa del teatro. Un’operazione “politica”, intesa nel senso etimologico del termine, che rievoca mutatis mutandi la drammaturgia di Bertolt Brecht. E in questo caso, mai scelta risulta più appropriata, poiché il tema di fondo, l’antisemitismo dilagato nell’oggi, impone una presa d’atto razionale.

Se ne Il mercante di Venezia shakespeariano il personaggio di Shylock è caricaturalmente delineato come un disumano e disprezzabile usuraio, nella pièce di Diament assurge a simbolo dell’“ebreo del pregiudizio antisemita” ed è, quindi, collocabile in qualunque contesto storico; in questo caso, sempre a Venezia, ma negli anni del fascismo a ridosso delle leggi razziali, laddove la politica di Stato produce il nemico da abbattere.

Illusionistiche scene scandite da titoli didascalici su fondo grigio e proiettate su uno schermo si stagliano sullo sfondo del palcoscenico quasi vuoto dove rari oggetti contribuiscono a suggerire i luoghi topici: Piazza San Marco a Venezia, ufficio di Shylock, Calle fuori dal Ghetto, Casa di Shylock, Sottoportico vicino a Rialto, Antico cimitero ebraico; Vicolo nascosto fuori dal Ghetto, Casa di Porzia, Sala del tribunale.

Tra i personaggi: Antonio, un influente fascista che investe i suoi soldi all’estero, in abito bianco. Bassanio un ludopatico fanatico in Camicia Nera che spera di rifarsi delle perdite sposando Porzia, figlia di un potente industriale. Shylock, un modesto banchiere che cerca di lavorare nonostante le difficoltà della situazione. Jessica, sua figlia, e Lorenzo di cui è innamorata. Tubal, l’avvocato confidente di Shylock.

Nella pièce, contrariamente a quanto succede nell’opera di Shakespeare, Shylock risulta chiaramente la vittima fin dall’inizio, ruolo che viene sancito con la ripresa del monologo del famoso drammaturgo inglese.

La progressione di abusi nei suoi confronti culminano nella scena del tribunale in cui passaggi verbali e non verbali testimoniano il meccanismo di ribaltamento dei fatti e la narrazione di un’altra realtà: sillogismi, manipolazioni sintattiche, ambiguità del lessico conducono inesorabilmente e incredibilmente alla sentenza finale di condanna e all’assassinio impunito del protagonista, interpretato magistralmente da Elia Shilton.

L’attualità si insinua attraverso la ricorrenza di termini ed espressioni quali paura, indifferenza, vendetta, reazione spropositata e “non è naturale difendersi?”. Lo spettacolo è particolarmente suggestivo ed emozionante, speculare com’è del paradosso a cui assistiamo oggi come oggi in cui vittime e carnefici vengono irrazionalmente invertiti, sintomo di un antisemitismo di antica data riemerso inaspettatamente con pericolosa virulenza.