di Nathan Greppi
Un dibattito di grande portata quello tenutosi domenica 29 settembre al Memoriale della Shoah, nell’ambito della rassegna di eventi “Pensieri di libertà-Memoria del passato, immaginazione del presente”, che ha ospitato il celebre filosofo francese Alain Finkielkraut per l’evento 2019, Antisemitismo e Pregiudizio. Finkielkraut ha dialogato con il direttore de La Stampa Maurizio Molinari, il cui giornale ha pubblicato nello stesso giorno un’intervista al filosofo.
Molinari ha cominciato chiedendo a Finkielkraut: «Qual è l’identità che si cela dietro a questa ondata di movimenti populisti in Europa?». «non mi trovo a mio agio con il termine ‘populismo’ – ha risposto il filosofo – perché è soprattutto un’invettiva e una maniera per squalificare». A questo proposito ha citato il giornalista inglese David Goodhart, secondo il quale «la nuova lotta di classe distingue le persone che vengono ‘da qualche parte’ da quelle che vengono ‘da tutte le parti’; le prime sono quelle radicate nei propri paesi, le seconde vivono in un mondo globalizzato e vivono nelle grandi metropoli, sono dei privilegiati generalmente. Sono la nuova borghesia, e a differenza della borghesia di una volta si attribuiscono anche una superiorità morale. Il nuovo borghese che viene da ogni parte disprezza l’uomo che viene da qualche parte perché ha paura, è xenofobo e razzista». Finkielkraut ha definito “insopportabile” questa pretesa di superiorità, ma ha aggiunto che «il rischio è che il portavoce dei più poveri sprofondi nella demagogia».
Molinari ha spiegato che «viste dall’Italia, le ragioni che spingono questa protesta contro le élite sono due: le diseguaglianze economiche e i migranti. Quale può essere la risposta delle forze democratiche a queste emergenze?». Finkielkraut ha quindi citato la Brexit: si è detto dispiaciuto della decisione del popolo britannico, e tuttavia “mi ha colpito il loro motto ‘take back control!’. Il controllo di cui si parla è quello delle frontiere, perché se una nazione non le controlla più cessa di essere una nazione sovrana».
«Oggi ci viene detto che non è possibile regolare i flussi migratori, le forze democratiche partono da una constatazione d’impotenza, che penso non si possa accettare. La politica non è rassegnarsi alla fatalità, ma resistere ad essa. L’immigrazione senza controlli causa gravi problemi in Europa, in Francia l’assimilazione e l’integrazione sono in crisi» e su questo ha ricordato che persino il precedente presidente, il socialista François Hollande, ha detto che la Francia andava verso una separazione, perché nelle periferie ci sono figli di immigrati che vogliono una secessione dal resto del Paese.
In seguito ha parlato dei Gilet gialli, dai quali è stato aggredito e insultato per strada a febbraio in quanto ebreo e filoisraeliano: «All’origine il movimento dei gilet gialli era legittimo e persino salutare. A leggere i giornali sembrava che ci fossero due popolazioni in Francia, una nelle grandi città e una nelle province e periferie; quest’ultima era completamente dimenticata, e ha indossato dei gilet gialli per dire ‘esisto e ho dei problemi’. Poi il movimento si è corrotto a causa della sua onnipresenza mediatica, che ha fatto girare la testa ai leader del movimento. Alcuni di loro hanno usato il saccheggio come mezzo di espressione politica, e ai gilet gialli originari si sono unite persone di estrema sinistra che hanno usato queste manifestazioni per urlare il loro odio del capitalismo»
Su quelli che l’hanno attaccato ha detto: “il mio principale aggressore mi ha detto ‘tornatene a Tel Aviv’ e brandiva la sua kefiah. Questo non ha più niente a che fare coi gilet gialli delle origini, ma era un grido di odio sintomatico dell’antisemitismo odierno”, legato al nuovo antisemitismo di matrice islamista che viene coperto dall’estrema sinistra, che identifica come “vittime” i musulmani a prescindere. «Gli ebrei oggi vengono insultati più come ‘sionisti’ che come ebrei, per cui l’antisemitismo di oggi non è una variante del razzismo ma una variante patologica dell’antirazzismo»