di Ilaria Ester Ramazzotti
Dal leggendario ritrovamento al fascino senza fine di una delle maggiori scoperte archeologiche contemporanee. Che cosa ci dicono oggi i Manoscritti di Qumran e le ultime ricerche in merito? In un evento eccezionale a Milano, nella sede della Comunità ebraica, verrà esposto, presentato e commentato il Grande Rotolo di Isaia, l’unico arrivato intero fino a noi attraversando due millenni. Intervista allo studioso Marcello Fidanzio
Una data reale e simbolica: il 29 novembre 1947. È il giorno in cui l’Assemblea delle Nazioni Unite vota la nascita dello stato d’Israele. Ed è lo stesso giorno in cui i Manoscritti del mar Morto rientrano in possesso di mani ebraiche, riconnettendo così le lettere dell’ebraico dei padri con la terra dei figli, l’ancestrale con il contemporaneo, l’utopia con la realtà, il popolo del Libro con la terra del Libro. Ammantati dall’aura sacrale con cui hanno attraversato i secoli, avvolti nelle suggestioni mistiche seguite ai loro ritrovamenti avvenuti dal 1947 al 1956 in undici grotte nel deserto della Giudea, i Rotoli di Qumran costituiscono una delle maggiori scoperte archeologiche contemporanee. Datati tra il III secolo a.C. e il 68 d.C. e scritti in ebraico antico, aramaico e greco comprendono i manoscritti biblici del testo masoretico e conservano la testimonianza della fine del tardo giudaismo del Secondo Tempio. Avventurose e talvolta rocambolesche, le vicende legate al ritrovamento dei primi manoscritti nella località vicina alla sponda nord-occidentale del Mar Morto, e alle successive compravendite, hanno spesso dato adito a leggende. Leggendario appare il ritrovamento casuale dei primi Rotoli in una grotta, da parte di un pastore della tribù beduina Ta‘amire, nell’inverno del 1947, mentre sta inseguendo una capra. Mesi dopo, dei membri della comunità beduina avrebbero venduto dei manoscritti ritrovati nella grotta, dentro delle giare, in un mercato di Betlemme, dove sarebbero stati acquistati dal mercante cristiano Khalil Iskandar Shahin, che li avrebbe rivenduti di lì a poco al metropolita Athanasius Yeshue Samuel a Gerusalemme. Samuel, dopo aver intuito la portata della scoperta ed essere andato alla ricerca della grotta del ritrovamento, aveva trasferito negli Stati Uniti quattro dei Rotoli in suo possesso, fra cui una copia del libro di Isaia, in attesa di un compratore.
Nel frattempo, l’archeologo Eliezer Sukenik dell’Università Ebraica di Gerusalemme, una volta rintracciato il primo mercante di Betlemme, aveva a sua volta comprato altri manoscritti, frammenti e giare provenienti dalla grotta poi ufficialmente individuata solo nel 1949, quando sono iniziati i primi scavi. I lavori archeologici hanno poi rinvenuto, nel tempo, altri 70 manoscritti o frammenti, giare, vasi, pezzi di stoffa e in seguito i resti di mikve, abitazioni e case dell’antico insediamento di Qumran, mentre le università e gli enti del neo costituito Stato d’Israele si stavano lanciando nel recupero dei Rotoli finiti oltreoceano. Negli anni Cinquanta, l’archeologo e militare Yigael Yadin ha così rintracciato negli Stati Uniti il metropolita Samuel, riuscendo tramite un intermediario a ricomprargli i manoscritti. Intanto, siamo intorno al 1956, venivano individuate altre dieci grotte, per un totale di quasi un migliaio di manoscritti e altri materiali. Oggi i reperti sono conservati in parte al Museo d’Israele e al Museo Rockfeller di Gerusalemme, in parte ad Amman, alla Biblioteca Nazionale di Parigi e in altri musei e collezioni nel mondo.
I Rotoli sono in pelle arrotolata e cucita, di dimensioni variabili, fra cui il Rotolo di Abacuc (13×141 cm) e il Rotolo di Isaia (25 cm x 7,34 mt) che, con i suoi 66 capitoli redatti su una striscia di pelle lunga oltre sette metri, è il meglio conservato e l’unico Rotolo biblico completo. Un fac-simile è esposto al pubblico al Museo di Israele a Gerusalemme. Ed è proprio questo stupefacente Rotolo che verrà presentato a Milano il 24 maggio, nel corso di una serata speciale e unica, un evento organizzato dalla CEM, Comunità ebraica di Milano, spiegato e illustrato da Marcello Fidanzio, archeologo e professore all’Istituto di Cultura e Archeologia delle terre bibliche alla Facoltà di Teologia di Lugano – Università della Svizzera Italiana. I Rotoli del Mar Morto costituiscono oggi una collezione di quasi mille Rotoli e 25 mila frammenti.
Abbiamo chiesto a Marcello Fidanzio un approfondimento storico e archeologico sulle ricerche in corso sui Manoscritti e sul Rotolo di Isaia ritrovati a Qumran.
Come procedono gli studi su questo enorme patrimonio?
«Con l’archeologia cerchiamo di conoscerlo meglio – introduce il professor Marcello Fidanzio – vogliamo capire perché I Rotoli sono stati deposti nelle grotte e da dove vengono. Per questo siamo tornati al luogo del loro ritrovamento e da lì, dalle grotte, cerchiamo di ricomprendere la storia dei Rotoli e di Qumran. Tra gli oggetti archeologici ci sono naturalmente i Rotoli. L’aspetto innovativo delle nostre ricerche sui Rotoli sta nell’interesse per tutti gli aspetti non testuali. Il Rotolo è un manufatto. Se vogliamo capire qualcosa degli scopi con cui è stato prodotto, oltre a leggere il testo bisogna occuparsi di tutte le altre informazioni offerte da questi oggetti archeologici. La ‘filologia materiale’ viene sempre più applicata anche ai Rotoli del Mar Morto e lo studio del Grande Rotolo di Isaia, a motivo del suo stato di conservazione, ne offre un esempio di prima grandezza».
Di che epoca parliamo?
«Di una fase storica in cui la Bibbia è ancora nel periodo della sua formazione, seppur “all’ultimo chilometro”. Questi manufatti, in generale, ma in particolare il Grande Rotolo di Isaia, che è un testo completo, ci permettono oggi di cogliere quale fosse il rapporto fra il testo di Isaia che conosciamo e i suoi antichi utilizzatori. Abbiamo la possibilità di guardare da vicino un Rotolo con i segni della sua preparazione e scrittura, ma anche del suo uso. Già nel primo anno della ricerca non sono mancate le sorprese e alcune le presenteremo per la prima volta in Italia il 24 maggio a Milano – annuncia Marcello Fidanzio -. Vogliamo lasciarci istruire dai segni di interazione (correzioni, integrazioni, restauri) che il Rotolo porta su di sé per comprendere che cosa fosse per gli uomini del tardo periodo del Secondo Tempio il Libro di Isaia e come vi si rapportassero. Per chi è interessato alla Bibbia è possibile scorgere dei tratti del suo processo di formazione e conoscerla meglio. Questo non si basa innanzitutto su speculazioni astratte, ma ne trova i segni nei Rotoli ora disponibili. Mi sembra efficace l’immagine sintetica che esprimo con il titolo “il corpo della Bibbia”. Prima delle scoperte dei Rotoli del Mar Morto, ritornare alle origini del testo biblico significava spesso avere a che fare con speculazioni critiche anche molto rigorose, ma fatte su aspetti immateriali, che a volte trasmettevano più l’arte dello studioso che non la ricostruzione dell’antico. Ora, invece, abbiamo fra le mani dei concreti manufatti che, come dice come dice Roland de Vaux, l’archeologo che ha scavato Qumran, “ci permettono di ricomporre il passato fra le nostre mani e farlo ridiventare presente”. È un’esperienza entusiasmante e un privilegio da condividere».
I segni lasciati sul Rotolo dagli scribi
Quali sono i segni e le tracce materiali ritrovati sul Rotolo di Isaia?
Si tratta di segni lasciati dagli scribi che ne hanno prodotto le copie, correzioni effettuate ancora da amanuensi successivi e perfino annotazioni a latere o a margine. Ma anche segni lasciati da chi leggeva, studiava e quindi utilizzava il manufatto. «C’è chi ha scritto il Rotolo – sottolinea il professore –, poi c’è chi vi ha interagito con correzioni, nell’arco del secolo che passa fra la prima mano che ha scritto e l’ultima che ha corretto, infine ci sono altri segni marginali o sopra-lineari che ci parlano di ulteriori interazioni con il testo. Non si tratta di segni fatti una volta sola e nemmeno sempre sistematici, spesso occasionali, che interessano solo alcune parti del testo. Infine, ci sono importanti segni di restauro, cioè segni di cura apposti da mani diverse che fanno capire l’alto valore che veniva dato al Rotolo dagli antichi utilizzatori. Il grande Rotolo di Isaia ha una sua storia. E il nostro progetto di ricerca è di scrivere la biografia di questo oggetto eccezionale, una biografia che passi attraverso tutti gli elementi materiali, a partire dai materiali di produzione, dalle pelli trattate e preparate, cucite e più volte ricucite per fini di restauro, ma anche dai segni di riscrittura di alcune righe o parti di testo quasi cancellatesi per l’uso. Tutti segni di interazione che il Rotolo ha mantenuto nel tempo fino al momento della sua deposizione nella grotta. In sostanza, il Rotolo di Isaia è un corpo vivo che mostra tutte le interazioni intercorse con chi lo usava. E proprio “interazione” è la parola chiave nel corso di formazione del testo biblico, perché ci dà evidenza di un laborioso e prezioso processo di formazione che vede il Rotolo legato a doppio filo all’esperienza del popolo in cui è nato».
Teoria del nascondimento dei Rotoli
Fra i percorsi di studio dei Rotoli di Qumran primeggia, insieme ad altre, la questione sul perché tutti quei preziosi testi si trovassero accumulati in quelle grotte. Una della ipotesi, poi da molti messa da parte, vedeva in quei luoghi una possibile ghenizah, un deposito per dei libri non più utilizzabili. Una delle teorie storiche elaborate al riguardo sostiene invece che l’antico insediamento di Qumran sia stato abbandonato di fronte alla minaccia delle armate romane di Vespasiano, in marcia verso Gerusalemme, nel 68 d.C., cosicché i suoi abitanti decisero di nascondere e proteggere il loro ricco patrimonio manuscripto e sapienziale nelle cavità fra le rocce. «Non sono certamente il primo a sostenere che i Rotoli sono stati nascosti – spiega Fidanzio -, ma la differenza nelle nostre ricerche sta nello spostare il centro dell’attenzione dal contenuto dei testi (che non raccontano la storia del loro uso e della loro deposizione), alle evidenze materiali raccolte nel loro luogo di ritrovamento, cioè le grotte. Precedenti studi si sono focalizzati sull’insediamento abitativo di Qumran, ma non sulla situazione dei Rotoli nelle grotte, dove sono stati effettivamente ritrovati. Nessun manoscritto è stato infatti ritrovato nell’insediamento, ma solo in cavità artificiali vicino a Qumran e in altre naturali più distanti. A partire dalla domanda su quale sia stata la funzione delle grotte in relazione al deposito, il contesto archeologico del ritrovamento svela delle evidenze per cui possiamo sostenere che i Rotoli sono stati portati nelle grotte naturali per essere nascosti. Abbiamo trovato nove caratteristiche distintive del deposito da cui si evince che qualcuno sia partito dall’insediamento di Qumran per andare a nascondere quei manufatti nelle grotte. A partire dallo studio delle grotte e dei Rotoli che vi erano contenuti, è possibile inserire un ulteriore passaggio che dal contesto deposizionale porta al contesto vitale, per arrivare a fare delle ipotesi anche sulla natura degli abitanti di Qumran».
Chi erano gli abitanti di Qumran?
Molto si è parlato degli Esseni, il gruppo semita nato forse attorno alla metà del II secolo a.C. e organizzato a volte anche in comunità di tipo monastico. Erano davvero loro gli abitanti di Qumran e i detentori dei Rotoli? Un’altra linea di studi ha ipotizzato invece che si trattasse di un gruppo di Sadducei. Di certo, sappiamo che una parte importante dei manoscritti è espressione di una corrente del giudaismo del tardo periodo del Secondo Tempio. «Possiamo parlare più propriamente di Zadokiti – precisa Fidanzio a questo proposito -. Erano dei sacerdoti, praticavano una Halakhah Zadokita e non farisaica. Poi, andando più nel dettaglio, ad oggi c’è un buon numero di studiosi secondo cui si trattava degli Esseni, ma altri ritengono che fossero membri di una riforma interna all’ambito dell’essenismo. Altri ancora pensano che si trattasse di un gruppo sacerdotale scissionista zadokita, senza necessità o possibilità di identificazione con gli Esseni. C’è ancora molta discussione. Quello che noi oggi possiamo dire è che si trattava di una specifica corrente del giudaismo e che i Rotoli costituivano la collezione di un gruppo, di una élite che si confrontava al più alto livello con altre élite del tempo. Non sono infatti stati ritrovati nelle grotte solo dei documenti relativi a questo gruppo, ma anche della letteratura religiosa comune dell’epoca. Abbiamo la possibilità di conoscere un particolare punto di vista su un periodo fondamentale della storia del giudaismo: il volgere dell’era che prepara il passaggio al giudaismo rabbinico».
Legare l’antico al contemporaneo
Sui Rotoli, eccezionale patrimonio ebraico e universale, si riversa l’interesse affascinato di diversi mondi nazionali e religiosi, un interesse intrecciato attorno a un filo che lega il passato antico con la storia contemporanea dei popoli, coinvolgendone persino l’identità dei singoli. «Senza mai trascurare la natura ebraica di questi testi, vediamo come la storia della scoperta dei manoscritti di Qumran nel ventesimo secolo coinvolga persone di diverse provenienze e di differenti convinzioni che si sono appassionati alla loro ricerca e al loro studio – sottolinea il professore -. Anche perché l’ebraismo è una ricchezza per tutti e non solo per gli ebrei. Molti si sono lasciati avvincere, alcuni addirittura “bruciare” dal valore del loro ritrovamento, impegnando tante energie fino a consumarsi e a volte affrontando concretamente il rischio della vita. I Rotoli non sono solo una grandiosa scoperta archeologica: è chiaro come ognuno dei protagonisti di questi studi e di queste ricerche alla fine cercasse qualcosa di sé stesso e della propria personale identità, ponendosi delle domande non solo di senso storico e archeologico, ma per trovare una direzione nella vita odierna.
Che cosa può significare per un ebreo che torna nella Terra dei padri ritrovare dei manoscritti risalenti all’epoca di quei padri? Che cosa può significare per un cristiano, in un periodo in cui tante volte sono stati ritrovati dei manoscritti del Nuovo Testamento, poterli confrontare con un così grande patrimonio ebraico, che può contribuire a comprendere meglio anche il cristianesimo? Gli studiosi che hanno lavorato sui Rotoli hanno cercato sé stessi e il senso del loro agire. Oggi c’è molto interesse anche a livello di grande comunicazione. Mentre è difficile attirare l’attenzione sul testo biblico, i Rotoli del Mar Morto riempiono sempre le sale. Tuttavia, questo interesse viene spesso alimentato da annunci sensazionalistici ed emozioni a volte povere di contenuti. La parola “mistero” è sovente abusata. Personalmente, ho del tutto vietato di usare questo termine nella comunicazione relativa agli scavi nelle grotte, perché si presta a venire strumentalizzato o a diventare vuoto. Il nostro compito di studiosi è di riempire queste emozioni spontanee di contenuti adeguati, di educare a ricevere quelli che sono i contenuti di queste scoperte. E dobbiamo rivolgerci non solo agli studiosi, ma anche alle persone che pur non essendo specialiste nutrono un sincero interesse per questi temi, dando loro la possibilità di conoscere il contenuto degli studi. Per le comunità ebraiche la materia è particolarmente vicina e famigliare – evidenzia -, visto che in queste ricerche ci confrontiamo con delle pratiche religiose ebraiche di 2000 anni fa e oltre, con esigenze che sono le stesse degli ebrei religiosi di oggi. È come mettere i piedi nelle proprie orme. Si possono trovare consonanze o anche dissonanze rispetto agli specifici modi di declinare oggi la pratica religiosa, ma c’è il fascino di incontrare alcuni dei propri padri. Infine, si potrebbe tracciare la storia della ricerca su Qumran sottolineando come ogni svolta dell’odierno conflitto mediorientale corrisponda a una tappa della ricerca sui Rotoli. Questo è uno degli aspetti che rendono tanto vitale il lavoro e grande l’interesse – conclude Marcello Fidanzio -. Come ha scritto l’archeologo Ygal Yadin, “c’è qualcosa di simbolico nel fatto che i primi testi siano stati acquisiti dagli ebrei il 29 novembre 1947, lo stesso giorno in cui alle Nazioni Unite si votava la ri-creazione dello Stato ebraico in Israele. È come se questi manoscritti avessero aspettato 2000 anni per riemergere quando il popolo del Libro è tornato nella terra del Libro”».
Il Rotolo di Isaia a Milano: un evento unico
Come in una macchina del tempo. Un oggetto capace di annullare il tempo e lo spazio per catapultarci in un’epoca storica lontanissima, regalandoci una sensazione di straniamento e sospensione temporale. E narrarci qualcosa che ci riguarda da vicino e rimanda alla visione profetica di uno dei grandi personaggi della storia d’Israele, Isaia. È l’unicità del Grande Rotolo di Isaia quella che oggi viene messa a disposizione dello sguardo di tutta la Comunità Ebraica di Milano, i caratteri ebraici che scintilleranno alla luce dei neon, la giara in cui è contenuto che viene aperta davanti a tutti i milanesi e da cui verrà tirato fuori il mitico Rotolo. Un manoscritto che tutti potranno avvicinare e osservare da vicino (ma non toccare). Tutto questo grazie all’Aimig, Associazione Amici Italiani del Museo d’Israele, onlus con sede a Milano, presieduta da Davide Blei, che ha organizzato alla Scuola Ebraica di Via Sally Mayer a Milano, mercoledì 24 maggio alle ore 21.30, una conferenza con foto e video, durante la quale verrà mostrato uno dei pochissimi fac-simili del Rotolo di Isaia, della lunghezza di 7,34 metri, che verrà estratto da una giara nella quale è arrotolato, così come è stato rinvenuto. La conferenza (preceduta alle 21.00 dalla presentazione del nuovo portale Cem) ospiterà l’archeologo Marcello Fidanzio, professore all’Istituto di Cultura e Archeologia delle terre bibliche alla Facoltà di Teologia di Lugano– Università della Svizzera Italiana.