Barenboim e Beethoven al Conservatorio: una prova d’orchestra per la Memoria

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di Fiona Diwan

«È veramente un grande onore per me dirigere la prova d’orchestra della Filarmonica della Scala in questo Giorno della Memoria 2024. La Shoah è stata uno dei momenti più orribili della storia umana ma purtroppo non è passata. Abbiamo visto ciò che è accaduto ultimamente: il 7 ottobre, che ha avviato un atto orripilante contro Israele e, subito dopo un altrettanto orripilante atto da parte di Israele. Dunque, la violenza è ancora qualcosa che è rimasta, e bisogna fare tutto quanto è possibile per evitarla. Non è con nessun diritto che un popolo può andare contro un altro popolo. Io trovo che fare una prova aperta il Giorno della Memoria della Shoah sia molto significativo. Vi saluto calorosamente, sono molto lieto che siate tutti qui stasera». È con voce flebile e sommessa che Daniel Barenboim, 81 anni, si rivolge alla platea di una Sala Verdi del Conservatorio di Milano gremita come non mai in un susseguirsi di applausi, ovazioni e di “bentornato Maestro”. Le parole del grande pianista e direttore d’orchestra suonano dolenti e cariche di apprensione per gli sviluppi dell’attualità, perché l’antisemitismo non è finito, torna a ondate improvvise. Sembra sconcertato, lui che da decenni si prodiga in campo musicale per l’interazione e la condivisione della passione musicale tra israeliani e palestinesi, ragazzi con strumenti alla mano, chini quotidianamente sugli spartiti, insieme riuniti nella West Eastern Divan Orchestra.

 

Una prova aperta straordinaria i cui proventi sono stati devoluti all’Associazione Figli della Shoah di Milano presieduta da Daniela Dana.

Barenboim è affetto da una grave malattia neurologica che l’ha costretto a cancellare i suoi impegni e incarichi da direttore d’orchestra alla StaatOpera di Berlino e svariati concerti in giro per il mondo. Ecco perché la sua presenza qui a Milano oggi risulta tanto più preziosa e eccezionale, uno sforzo di volontà dettato dalla passione per Beethoven e per Milano che gli viene riconosciuto dalle standing ovation della comunità musicale milanese riunita oggi in Conservatorio. Nato in Argentina, Daniel Barenboim è già pianista di successo da adolescente, una carriera che si confronta da decenni con i suoi “compagni di strada”, Claudio Abbado e Zubin Metha.

E torna alla Scala adesso, teatro che lui considera la sua seconda casa (ne è stato il direttore musicale dal 2005 al 2014), per dirigere un tutto Beethoven, due sinfonie molto speciali, la Sesta e la Settima Sinfonia, «un miracolo musicale, un unicum, la Pastorale. E la Settima, una sinfonia che nasconde profondità inattese».

Una prova straordinaria, aperta a tutti, informale: mentre partono le note, ecco che Barenboim interrompe a tratti gli orchestrali per correggere o imprimere un rallentamento o un’accelerazione.

Con la Pastorale, la direzione di Barenboim si dipana in una interpretazione a tratti sussurrata, mai trionfalistica, mai esultante, rallentata e quasi sottovoce nelle melodie di una Natura che sembra guardare alle cose degli uomini con sgomento e sconforto. Un mood che ritroviamo poco dopo, nella Settima, con la sua celebre e sontuosa marcia funebre, in una interpretazione che sembra ripiegarsi su stessa, in un tentativo di tikkun difficile e forse impossibile.