Adriano Prosperi a BookCity

Dall’antiebraismo dell’Inquisizione all’antisemitismo novecentesco. La lezione di Prosperi a Bookcity

Eventi

di Paolo Castellano
1492: una data indimenticabile nella storia dell’uomo moderno. La scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo che partì con le sue tre caravelle dalla Spagna. In quel periodo dai porti spagnoli però partirono anche altre imbarcazioni piene di ebrei, cacciati per il loro sangue impuro, secondo la dottrina cattolica coeva. Un antisemitismo di stato che ha molto in comune con l’odio antiebraico europeo di fine Ottocento che raggiunse poi il suo apice con le Leggi Razziali, per quanto riguarda l’Italia, nel 1938. Il legame tra l’antiebraismo cattolico e l’antisemitismo è stato analizzato dallo storico Adriano Prosperi, che il 18 novembre ha presentato il suo volume Il seme dell’intolleranza. Ebrei, eretici, selvaggi: Granada 1492 (Laterza), presso il Memoriale della Shoah di Milano, in occasione della settima edizione del festival Bookcity di Milano.

Gli studi sulle Leggi Razziali sono partiti dagli anni ‘90. Prima d’allora, il tema dell’antisemitismo italiano non era ancora stato al centro dell’indagine storica. Ma gli italiani sono razzisti o no? Secondo Prosperi, razzisti si diventa e non si nasce. Questo non deve ingannare però lo storico, che ha il dovere di analizzare le dinamiche attraverso cui l’antisemitismo si sia poi diffuso nell’Italia fascista, ribaltando lo stereotipo del “buon italiano”, innocuo e inoffensivo.  Prosperi ha affermato che l’antisemitismo del 1938 è in qualche maniera analogo all’antiebraismo perpetuato dall’Inquisizione spagnola nel 1400.

«Granada fu l’ultima città riconquistata dalla monarchia spagnola che se ne impossessò attraverso un accordo pacifico con l’emiro. Granada fu l’ultimo luogo dove i musulmani di Spagna ebbero un potere politico», ha spiegato Prosperi, aggiungendo che da quel momento incominciò la cacciata degli ebrei che non volevano convertirsi al cattolicesimo: «La Spagna stava diventando un grande stato sovrano. Il re di allora, Ferdinando D’Aragona, colpì una delle più importanti comunità della storia. A Granada s’incontravano dotti ebrei, musulmani e cristiani che contribuivano ad alimentare un importante fervore culturale».

L’antiebraismo spagnolo fu un vero e proprio strumento per rafforzare il rapporto tra i sudditi e il sovrano. Ferdinando D’Aragona voleva realizzare un impero santo che potesse purificare il mondo dalle eresie. Secondo questo ragionamento, gli ebrei erano considerati come qualcosa di impuro: accusati di indebolire e vessare la società attraverso le loro attività di prestiti finanziari e di riscossione delle tasse. Il pregiudizio antiebraico non cessò nemmeno dopo la cacciata. Gli ebrei convertiti infatti furono discriminati e il più delle volte accusati di marranesimo, finendo così sul rogo: solo il fuoco poteva purificare il sangue corrotto della genealogia ebraica.    

Come durante gli anni ‘30 del Novecento, così nel Quattrocento, chiunque avesse voluto lavorare per il sovrano, avrebbe dovuto dimostrare, con dei certificati genealogici, di non aver avuto nessun parente ebreo.

«Anche Mussolini ha insistito sul fatto che gli ebrei fossero una razza diversa dagli italiani. Al dittatore interessava la purezza razziale degli italiani per dare un ultimo colpo alla saldatura col popolo». Mussolini voleva un popolo compatto e l’antisemitismo poteva essere uno strumento efficace per raggiungere l’obiettivo.

Secondo Prosperi, i rappresentanti politici di oggi non devono cadere nell’illusione che l’antisemitismo italiano sia stato solo un effetto dell’alleanza con la Germania: «Le tragedie della storia si riproducono in forma di farsa. “È stato. Può essere ancora”, diceva Primo Levi. Dobbiamo fare i conti con la nostra storia e chiederci quali siano le condizioni in cui la democrazia deperisce».

 

@castelpao