di Anna Lesnevskaya
Nei giorni tra il 29 e il 30 settembre del 1941, in una gola profonda vicino a Kiev, i nazisti, con la collaborazione delle forze ausiliarie ucraine, trucidarono a colpi d’arma da fuoco 33.771 ebrei. A ottant’anni dal massacro di Babij Jar (o Babin Jar, in ucraino) sono ancora tante le domande in cerca di risposte. Non si conoscono i nomi di tutte le vittime e resta ignoto l’esatto luogo dello sterminio. Troppo a lungo si cercò durante i Soviet di sotterrarne il ricordo, anche letteralmente, identificando il fossato come sito di stoccaggio dei detriti. “Non c’è un monumento a Babij Jar./ Il burrone ripido è come una lapide”. Così recita la celeberrima poesia del poeta russo Evgenij Evtušenko del 1961.
In occasione dell’anniversario della strage, il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah (MEIS), in collaborazione con il Babyn Yar Holocaust Memorial Center di Kiev, la Fondazione Museo della Shoah di Roma, l’Ambasciata d’Italia a Kiev e l’Istituto italiano di cultura di Kiev hanno promosso il 9 settembre un webinar online che con interventi di autorevoli storici ha voluto ricordare l’episodio tra i più atroci della ‘Shoah dei proiettili’ nei Paesi dell’Est (lo sterminio degli ebrei dell’Europa dell’Est, massacrati a colpi d’arma da fuoco). Il prossimo obiettivo di MEIS, come ha detto il suo presidente Dario Disegni, è quello di creare un format per avvicinare gli studenti delle scuole a quanto accaduto a Babij Jar.
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Il massacro degli ebrei in Ucraina
Come si può vedere sulla mappa virtuale dell’associazione Yahad – In Unum fondata dal padre Patrick Desbois, il territorio dell’ex Unione Sovietica e dei Paesi Baltici è disseminato da puntini che rappresentano i massacri degli ebrei compiuti dai nazisti durante l’occupazione. Nella sola Ucraina ci sono almeno 2000 siti di esecuzione con 1,6 milioni di ebrei uccisi, ha detto nel corso del webinar lo storico e avvocato Andrej Umanskij, che fa parte del consiglio di amministrazione di Yahad – In Unum e del board scientifico del Babyn Yar Holocaust Memorial Center di Kiev.
Prima della Seconda guerra mondiale Kiev era una delle città ebraiche più grandi d’Europa: contava un milione di abitanti di cui un quarto erano ebrei, ha ricordato Umanskij. Quando il 19 settembre del 1941 i tedeschi occuparono la capitale ucraina, nella città erano rimasti circa 50-70 mila ebrei. Una serie di esplosioni nella via principale di Kiev, preparate dalla polizia segreta sovietica prima della ritirata, spinsero i nazisti a decidere l’annientamento totale e immediato della popolazione ebraica locale incolpata per questi fatti.
Il 28 settembre furono appesi in giro i manifesti che ordinavano a tutti gli ebrei di Kiev di presentarsi con gli effetti personali la mattina del 29 settembre vicino al cimitero ebraico nei pressi del quale c’era una larga e profonda gola, Babij Jar, individuata dai tedeschi. Tanti aspettavano di essere ricollocati, magari in Palestina, ma quando udirono le raffiche e capirono il destino cui andavano incontro era troppo tardi tornare indietro. Spogliati, furono condotti sull’orlo del fossato a gruppi e fucilati. I bambini venivano gettati vivi nel burrone e i cadaveri insieme a persone ancora in vita ricoperti di terra.
Secondo i calcoli del Babyn Yar Holocaust Memorial Centre, a perpetrare il massacro furono circa 3200 uomini, in particolare i membri del Sonderkommando 4a del Einsatzgruppe C, guidato da Paul Blobel. Come ha spiegato un altro relatore del webinar, Lutz Klinkhammer, vicedirettore dell’Istituto storico germanico di Roma, le Einsatzgruppen, “gruppi di intervento” che avanzavano alle spalle della Wehrmacht e che si rivelarono essere squadre della morte, erano composte da persone con precedente civile, da ‘uomini comuni’ che diventarono assassini. Lo sterminio di Babij Jar fu uno spartiacque, perché segnò una svolta da massacri sparsi a modalità sistematiche. Mentre con la conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942 si passò alla fase dello sterminio industrializzato nelle fabbriche della morte.
La cancellazione del massacro di Babij Jar
Furono gli stessi nazisti con la Sonderaktion 1005 a cercare di cancellare le tracce dei loro crimini sul territorio sovietico con l’avanzare della guerra, e anche a Babij Jar nell’agosto del 1943 riesumarono i corpi delle vittime, non solo di ebrei, ma anche di Rom, partigiani e malati psichiatrici e li bruciarono in giganteschi roghi. Come ha raccontato nel corso del webinar la professoressa Antonella Salomoni, autrice del libro Le ceneri di Babij Jar. L’eccidio degli ebrei di Kiev (Il Mulino, 2019), la devastazione avviata dai tedeschi proseguì con il piano urbanistico degli anni Quaranta che prevedeva l’edificazione dell’intera area contigua. Nel dopoguerra Babij Yar viene vissuto come un “paesaggio contaminato”. Nel romanzo documentario Babij Jar (uscito in forma integrale nel 1970 nell’Occidente) Anatolij Kuznecov descrive il torrente che scorreva sul fondo del fossato, nel quale giocava da bambino e che dopo la guerra era disseminato da piccole pietre bianche che altro non erano che i resti delle ossa, mentre sulle pareti della gola si sedimentò il carbone dai resti umani bruciati, setacciato dai locali in cerca di oggetti di valore.
Come ha spiegato Antonella Salomoni, sono stati proprio i poeti e gli scrittori a trovare le parole giuste per raccontare il massacro e salvaguardarne la memoria, precedendo gli storici. Ma durante l’Urss qualsiasi iniziativa editoriale che parlava dello sterminio degli ebrei in quanto ebrei si scontrava con la censura. Infatti, il primo monumento che fu realizzato a Babij Jar nel 1976 era dedicato genericamente ai “cittadini sovietici” fucilati nel fossato. Solo nel 1991, nell’Ucraina indipendente, si è potuto installare un memoriale a forma di Menorah, che commemorava le vittime ebraiche.
Attualmente, sul territorio del Babyn Yar Holocaust Memorial Center di Kiev si sta costruendo un complesso memoriale e per l’ottantesimo anniversario dello sterminio si terrà una cerimonia il 6 ottobre alla presenza dei presidenti dello Stato di Israele, della Germania e dell’Ucraina. Verrà anche collocata l’istallazione dell’artista Marina Abramović, “Il Muro del Pianto di cristallo”.
In Ucraina il tema del collaborazionismo rimane molto sensibile, per questo il rabbino capo di Kiev e dell’Ucraina, Yakov Dov Bleich, membro del consiglio di sorveglianza del Memorial Center, ha tenuto a sottolineare nel suo intervento all’evento promosso dal MEIS, che “più la democrazia ucraina diventa forte, più è importante per l’Ucraina affrontare il suo passato per essere in grado di capire quanto successo durante l’Olocausto”.