di Ilaria Ester Ramazzotti
“Che regalo grande ho ricevuto dai miei genitori di avere sempre voglia di scavare e raccontare, perché la vita e il racconto anche dopo i dolori più grandi non si fermano mai”. Lo scrive il deputato Emanuele Fiano annunciando la presentazione del suo libro Il profumo di mio padre, edito da Edizioni Piemme, svoltasi in diretta su Facebook lunedì 18 gennaio (qui il video dell’evento)
L’evento è stato promosso dall’Associazione Figli della Shoah in collaborazione con il Memoriale della Shoah, con il patrocinio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Insieme all’autore hanno partecipato i giornalisti Maurizio Molinari, direttore del quotidiano la Repubblica, e Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera, seguiti da un video inviato da Liliana Segre. La diretta è stata introdotta e coordinata da Susy Barki dell’Associazione Figli della Shoah.
Dedicata al padre Nedo Fiano z”l, recentemente scomparso, l’opera di Fiano racchiude la difficile, complessa e irrinunciabile ‘eredità di un figlio della Shoah’. “Noi figli dei sopravvissuti alle camere a gas di Birkenau non siamo normali – scrive l’autore -. Lo sa bene la mia amata moglie e lo sanno i miei figli, e forse le mogli di tutti i figli della Shoah e i loro amati figli. Come prima le nostre madri o padri. Noi non abbiamo ascoltato solo parole dolci e tenere dai nostri padri, non solo favole ci è capitato di ascoltare, ma il silenzio impastato di lacrime e urla”. Quei silenzi e quelle urla che hanno scavato nel profondo un’infanzia, un’anima, una vita inesorabilmente forgiate da quel detto e da quel non detto, da quel dolore espresso e da quello indicibile, che hanno profondamente intriso la relazione e l’amore complesso fra padre e figlio. “Molti dei pensieri di questi ultimi anni, molto dell’affetto che è rimasto nell’aria perché la malattia ci divideva, molto dello scavo dentro di me fatto mentre papà non mi raccontava più e non ricordava più, l’ho messo sulla carta di questo libro”, ha sottolineato l’autore.
“Mio padre è stato per quasi novant’anni un coltivatore della memoria, ma la vita ha voluto che la prima facoltà che ha perso sia stata proprio la memoria. E la pandemia ha contribuito a tenerci divisi e interrompere quel flusso della memoria. ‘Stavo proprio parlando di te con D-o’, mi ha detto un giorno in un momento di lucidità”, ha ricordato Emanuele Fiano.
Se memoria non si trasmette un modo semplice, ancora più difficile è proseguire l’opera instancabile di testimonianza di un padre sopravvissuto alla Shoah. Ma “la memoria non è solo il 27 gennaio: da mio padre ho ricevuto il dono di utilizzarla come ragionamento”. Il ‘come fare memoria’ è uno dei “temi più più affrontati da Elie Wiesel – ha a proposito spiegato Maurizio Molinari -; la sua risposta era sempre la stessa: la memoria si trasmette come nella hagadà che si legge al Seder di Pesach quando si ricorda l’uscita dall’Egitto, quando ogni ebreo si deve sentire come se lui stesso fosse uscito dall’Egitto, raccontandola come se fosse la sua storia”. “La chiave è quindi lo studio, la conoscenza, la responsabilità collettiva”.
“Il grande pregio del libro di Emanuele Fiano è di avvicinare e di introdurre il lettore a un altro tema gigantesco – ha aggiunto Molinari -: quello dei figli della Shoah, cresciuti in un mondo famigliare creato dalla memoria della Shoah, che spiega perché il male fatto da Hitler continui fino a oggi. Fatti quotidiani che spiegano quanta violenza ha portato Hitler dentro l’umanità e quanta ne porta ancora”.
Ledor vador, di generazione in generazione
Il profumo di mio padre è altresì un libro che attraverso il rapporto fra genitore e figlio parla della trasmissione di memoria fra generazioni, alla ricerca di un possibile passaggio del testimone, un prezioso scrigno di studio sul male e sul bene del mondo, sulla schiavitù e sulla libertà dell’essere umano. “Ho ascoltato Nedo Fiano durante la lettura del racconto dall’uscita dall’Egitto nel corso di una Pasqua ebraica di anni fa – ha ricordato Pierluigi Battista -: una cerimonia che mi colpì moltissimo, come anche questo libro mi ha profondamente travolto”. “Diffido del concetto di memoria collettiva condivisa, perché le memorie sono separate – ha approfondito-. È invece importante avere una storia comune che unisca le memorie. Il libro di Emanuele mi fa allora pensare che la storia non sia qualcosa di astratto e la memoria invece qualcosa di emotivo. Nei primi trenta o quaranta anni dopo la Liberazione è stato difficile fare memoria. Penso all’episodio del numero sul braccio di Nedo Fiano, descritto come numero di telefono”. In quegli anni “le case editrici rifiutavano anche il libro di Primo Levi. Forse il primo libro ‘accettato’ è stato il Diario di Anna Frank, che non a caso è stato poi attaccato dai negazionisti – ha evidenziato-. I legami esistenziali danno una forza potente, più delle pagine di storia”. E “la battaglia furibonda di Nedo Fiano è stata fra il voler vivere senza quel bagaglio, seppur senza dimenticare, e la necessità di comunicarlo, anni dopo”.
Essere un figlio di un testimone
“Noi figli della Shoah non siamo figli normali – ha ribadito l’autore -, l’ho capito quando papà ha iniziato a raccontare. La libreria di cui parlo nel libro conteneva volumi scritti in francese, in tedesco, in inglese, ma con delle foto terribili, immagini indicibili e traumatizzanti per un bambino al quale non veniva spiegato perché c’erano una tale resistenza e una tale delicatezza da parte di mio padre nei confronti del figlio piccolo. Crescere con lui ha significato portarsi dentro dei tabù”.
“Sentivo che a mio padre veniva chiesto di svolgere il ruolo del testimone – ha proseguito-. Ma quando nell’hagadà non riusciva a leggere il brano ‘fummo schiavi del faraone’, che lui collegava ad Auschwitz, soffrivo contemporaneamente da bambino e da figlio. L’uomo sopravvissuto, che poi ho saputo essere l’unico sopravvissuto della sua famiglia, l’uomo che era come un eroe per me, improvvisamente piangeva ed era fragile e non più forte. Ho vissuto altresì un conflitto fra il volere un padre per me e un padre che era un personaggio pubblico”. “In politica ho anche provato il disagio di non essere compreso”, nonché una sorta di disagio nell’essere un ebreo di sinistra.
Nel corso di tanti anni dedicati alla testimonianza, sono stati tanti gli episodi riferiti in vari modi dal padre al figlio. Fra questi, l’immagine della banchina ferroviaria ad Auschwitz, quando i deportati venivano “vomitati dai vagoni, che poi venivano ripuliti”. “È il racconto più crudo che abbia mai letto, scritto da lui che a noi figli non aveva mai raccontato le scene più terribili”. Ma, “come diceva Molinari – ha proseguito Emanuele Fiano -, quando raccontiamo la hagadà formuliamo anche delle domande sulla natura dell’essere umano, che io ho pensato facciano parte del lascito delle cose non dette. E dobbiamo continuare a interrogarci sulla natura dell’essere umano”.
“Il libro consegna frammenti di storia della persecuzione degli ebrei che in Italia che deve entrare nella memoria collettiva – ha poi evidenziato Molinari -. La maggior parte dei sopravvissuti si era resa conto di essere spesso l’unico sopravvissuto della sua famiglia. Tasselli di vite che ci aiutano a capire chi erano le vittime e chi erano i carnefici. E ci sono dei fatti che mi hanno colpito molto, come il bacio di Nedo alla terra, appena atterrato in Israele”. E anche la storia della partecipazione degli ebrei italiani in politica, a partire dal Risorgimento, andrebbe valorizzata e riproposta.
Sempre a proposito di storiografia, “nei primi anni dopo la guerra prevalevano il mutismo e il silenzio, persino in Israele, il non voler raccontare quanto era accaduto nella Shoah – ha poi detto Battista -. Negli anni Cinquanta il silenzio totale è stato rotto solo da Anna Frank. Un’altra svolta è stato il processo Eichmann a Gerusalemme, con il reportage Hanna Arendt, e poi dei libri editi da Einaudi in Italia. In seguito è ripiombato il silenzio, che ha coinciso con l’ostilità verso lo Stato di Israele. Negli anni Novanta è venuta fuori grandezza di Israele, quando non ha risposto a Saddam Hussein, e le cose sono cambiate di nuovo. Molto è determinato dalla politica, anche la dialettica fra il ricordare e il mettere da parte. Questo libro di Emanuele è carico di questi significati storiografici”.
“Penso che la storia si spieghi meglio quando passa anche attraverso le emozioni – ha concluso Emanuele Fiano -. Dopo questi tanti anni in politica, ho sentito comunque cambiamenti e comprensione, legati anche al Giorno della memoria. Ma non fatene un giorno di retorica. Il raccontare per capire e anche per immaginare come possa essere il futuro rispetto al passato è un grande insegnamento”. “Papà diceva che nella notte di buia di Birkenau, nelle baracche, quanto più tutto era nero, tanto più capiva che si avvicinava l’alba. È importante che alla fine questa sia la lezione”.
Liliana Segre: “Io e Nedo parlavamo del futuro”
“È difficile parlare di Nedo, tanto quanto è stato sempre difficile parlare fra noi due del futuro e mai del passato – ha detto in video la senatrice Liliana Segre -. Non c’era bisogno di spiegare il perché. Avevamo visto le stesse cose, con occhi diversi, avevamo sofferto, eravamo stati i cosiddetti ‘salvati’ e non i ‘sommersi’. Ma dentro eravamo sempre quelli. Non c’era bisogno di condividere il passato fra di noi, ma di condividerlo con gli altri, con quelli che non avevano visto, che non avevano guardato, o che addirittura negavano. Fra di noi era invece importante parlare del futuro, della gioia di essere diventati genitori e nonni, di aver fatto progetti, di aver incontrato l’amore. Questo ci aveva uniti tantissimo. Poi ho avuto l’incontro particolare con il libro di Emanuele Fiano, che già nel titolo Il profumo di mio padre fa un omaggio straordinario, non solo da figlio, ma anche da ammiratore a quel padre eccezionale, che dopo quell’esperienza si era fatto da sé. Un libro doloroso, un bel libro scritto con una prosa eccezionale, ma che ho faticato a portare avanti nella lettura perché, da madre, rivedevo nella scrittura di Emanuele Fiano quello che i miei figli potrebbero avere o che forse un giorno avranno: il desiderio di scrivere di me, sperando che anche loro possano dire ‘il profumo di mia madre’”.
(Foto: Global News)