di Ester Moscati
«Nella tradizione ebraica, caratterizzata dalla speranza e dalla redenzione, sopravvive un ‘ottimismo nonostante tutto’, la continua ricerca di un senso, anche nel disagio mentale. Freud, nell’Interpretazione dei sogni scrive che “Il sogno è come un testo sacro”, vale a dire che richiede una ‘interpretazione’ come si interpretano le Scritture; si deve cioè interpretare il sogno di un paziente, di un malato, in modo da restituire vita e rispetto». Così, raccontando la sua esperienza di psicoterapeuta, David Meghnagi è intervenuto al convegno organizzato dall’AME, il 16 novembre all’Ambrosiana, per il ciclo “Insieme per prenderci cura”. La Mente, l’Io, le religioni e la salute mentale: questo il tema, declinato e approfondito grazie agli interventi di Paolo Inghilleri, Pier Francesco Fumagalli, Teo Maranesi, Padre Vittorio Soana, Leo Nahon, Abd al-Sabur Turrini. Prospettive cristiana, ebraica e islamica, quindi, nell’approccio alla cura del disagio psichico, che passa attraverso il riconoscimento del sé individuale nel confronto, quando non nello scontro, con il contesto culturale, religioso e familiare di appartenenza.
«Il Novecento ha visto umanizzarsi la pratica medica, nonostante l’orrore e il dramma dei manicomi – ha detto ancora David Meghnagi – C’è stata una maggiore attenzione a non demonizzare il corpo. Questo è stato sempre, peraltro, un elemento della tradizione ebraica. L’ebraismo vede nel corpo il santuario dell’anima e quindi gli rende una sua dignità, svilita invece dal pregiudizio antigiudaico. La sfida dell’umanizzazione della medicina, grazie a questa lunga tradizione, è stata raccolta dagli ebrei e da ciò deriva una forte presenza ebraica nella medicina stessa: dal rispetto del corpo. La terapia psichica dipende poi da quale spazio vogliamo creare, uno spazio libero, non giudicante, che ci costringe a interrogarci su noi stessi».
Leo Nahon, per molti anni Direttore del reparto di Psichiatria all’ospedale Niguarda, spiega che «il senso della psichiatria è cercare di capire che cosa c’è nella mente dell’altro. Dopo essere stato scolaro alla scuola ebraica, nel 1967 mi sono iscritto a Medicina e nel ‘68 c’è stato l’incontro folgorante con Franco Basaglia, con la nuova psichiatria che si pone la questione del chi è “l’altro”. Gli ebrei sono “l’altro” da migliaia di anni, siamo esperti in questo. Chiedersi che relazione può esserci tra di noi, quale empatia stabilire tra esseri umani, ha un fondamento biologico che oggi la neurologia ha scoperto nei neuroni specchio, che si rivelano fin dal primo contatto tra madre e figlio. È fondamentale sapere quello che fa l’altro, è un’esigenza dell’essere umano quella di sapersi “pensati e capiti”. Se so che c’è qualcuno che mi “comprende”, mi “assume in sé”, questo è importante.
Nell’ebraismo c’è la fede ma soprattutto l’osservanza di precetti. La Bibbia va studiata e nella Yeshivà lo studio procede sempre in coppia. C’è la discussione, l’interrogazione del testo, lo specchio dell’altro per approfondire le parole e il pensiero.
È anche un metodo clinico: interrogare l’altro. Questo è importante per l’ebreo, che è “l’altro” per eccellenza. L’ebreo è abituato ad essere curioso del suo prossimo, anche per non perderlo di vista, ed eventualmente difendersi.
Come medico, posso capire il disagio dei migranti, perché il popolo ebraico lo è sempre stato. Nella Bibbia ci è prescritto di rispettare lo straniero perché siete stati stranieri in terra d’Egitto».
La malattia, la follia, è “l’altro che esce da sé”, che impersona il male. Ha a che fare con la conoscenza, che si occupa del male anche per medicarlo, per ripararlo. È il concetto di Tikkun olam, riparare il mondo, prendere il Male e trasformarlo, anche se in senso assoluto il Male è inestinguibile.
«Siamo stati riconosciuti come “fratelli maggiori” – continua Nahon – dopo essere stati per secoli “perfidi giudei”; ma i fratelli maggiori nella Bibbia sono la stirpe di Caino. La radice del Male. La radicale diversità di un corpo malato e di una mente che non si riconosce, è un problema medico, esistenziale, umano. Nella esperienza clinica con i migranti è sempre stato per me complicato occuparmi dei musulmani, per la mia dotazione culturale personale, nel confronto con gli individui più radicali o che si identificano con la proprio radice culturale islamista. Ma entrando in corsia li salutavo con Salam aleikum, così vicino al nostro shalom alechem; parole simili ebraiche e arabe che rivelano una vicinanza semita, che diventava empatia nella sofferenza nell’ospedale».
Le religioni possono funzionare come garanti psichici e sociali? Come muoversi all’interno di dinamiche della costruzione del sé legate alla cultura in cui viviamo? Il disagio che nasce dalla crisi sociale ed economica, il disagio da sradicamento dei migranti, con i drammi dell’esilio e della ricerca di un rifugio, una nuova casa una nuova vita… Il paradigma dell’ebreo errante che si moltiplica nel viaggio sul Mare Nostrum che diventa Mare Monstrum, inghittitore di vite e speranze. Tutto questo può sfociare nel disagio psichico, nella follia, come non-risposta ai cambiamenti nel mondo esterno, che mettono in crisi l’individuo.
«Oggi la necessità di affrontare la malattia mentale anche in questa prospettiva e in questo contesto fa sì che debbano vestire l’abitus di garanti psichici e sociali – dice Monsignor Fumagalli, padrone di casa all’Ambrosiana – le chiese, le case di accoglienza le carceri… tanti ambienti diversi che si possono rivelare laboratorio per un futuro di una umanità condivisa». La malattia e il disagio psichico sono presenti nella tradizione mediterranea e la Bibbia stessa racconta che “Dio accieca colui che vuole perdere”; ma nella Bibbia c’è anche l’estasi del mistico, l’elemento magico, sciamanico, “i folli di Dio”, i profeti.
Re Saul, Shaul Hamelekh, agitato da “uno spirito malvagio inviato dall’Eterno”, è placato da David con il suono dell’arpa. E sarà poi David stesso a fingersi pazzo presso il re Achis, quando cerca di sfuggire alla persecuzione di Saul. Geremia, Ezechiele ed altri profeti sono incorsi nell’accusa di follia. La pacificazione può avvenire, indicano i passi biblici, attraverso la sintonia, rappresentata dalla musica dell’arpa di David, dalla “consonanza” delle parole profetiche con il sentire del popolo. Una tradizione, quella ebraica, che ha indagato e cercato di curare il disagio psichico da secoli, con terapie che oggi sono ancora valide. Maimonide affronta il tema della follia e della malattia psichica, e nei suoi Otto capitoli sull’etica prescrive una psicoterapia per la malinconia: “Se la malinconia sopraggiunge ad affliggere un individuo, egli deve espellerla ascoltando canzoni e melodie strumentali, passeggiando nei giardini e tra bei palazzi, che rallegrano l’anima e ne bandiscono il disturbo della malinconia”.