di Ester Moscati (video di Orazio Di Gregorio)
La storia siamo noi; “Lo racconterai ai tuoi figli” è un caposaldo della tradizione ebraica ma – dice Rav Arbib – c’è molto di più. Il racconto non è fine a se stesso ma è educazione, insegnamento storico e morale, scelta di vita.
Siamo alla Giornata europea della Cultura ebraica, XIX edizione, nel Tempio Centrale di via Guastalla a Milano e sulla tevà il giornalista Paolo Del Debbio introduce gli oratori e gli ospiti, dal presidente del parlamento europeo Antonio Tajani, agli onorevoli Lara Comi, Maria Stella Gelmini, Andrea Orsini, Giulio Centemero, al rappresentante del Comune di Milano Marco Granelli, alle autorità militari e religiose: «È una giornata importante perché la conoscenza della cultura ebraica non è facile. È un mondo complesso, plurale, variegato e conoscerlo richiede applicazione. E va compreso perché spiega molto della storia e della cultura occidentale. Personalmente sono molto legato al mondo ebraico anche per ragioni famigliari: mio padre è stato in campo di concentramento e gli ebrei sono sempre stati gli amici».
Dopo il saluto del co-presidente della Comunità Milo Hasbani, è toccato al co-presidente Raffaele Besso, assessore alla Cultura della Comunità, introdurre il tema della Giornata: Storytelling Narrazioni.
«Entrare in contatto con la cultura ebraica vuol dire percorrere 2000 anni di storia in Italia, in tempi bui e in periodi di armonia. Narrare è un obbligo della tradizione ebraica, sempre attuale e presente. Il racconto per eccellenza, l’Haggadà di Pesach, ci insegna a liberarsi dalla schiavitù con la metafora dell’uscita dall’Egitto. Milano è diventata solo nel secondo dopo guerra la seconda comunità italiana, siamo una comunità giovane ma abbiamo istituzioni importanti come la Scuola che, fondata negli anni Venti, si è dovuta ampliare a causa delle leggi razziali, per accogliere studenti e docenti ebrei espulsi dalle scuole pubbliche. Ma poi, dagli anni Cinquanta, la scuola è il cuore della comunità. La Storia della Comunità ebraica è parallela a quella della città. Milano ha accolto gli ebrei in fuga dai paesi arabi, che hanno contribuito ad ampliare il panorama del Narrare; ogni gruppo ebraico ha una propria storia, una peculiare narrazione, nell’alveo del patrimonio comune che è l’ebraismo».
Del Debbio ha poi invitato a parlare il Presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ricordando come abbia organizzato, all’inizio del suo mandato, la prima conferenza europea sul futuro dell’ebraismo in Europa, e sia stato insignito dalla Conferenza dei Rabbini europei di un bosco in Israele e, il 23 maggio scorso, del Premio per il Giudaismo in Europa.
«L’ebraismo fa parte della identità europea – ha detto Antonio Tajani – per le radici ebraico-cristiane che sono raffigurate anche nella bandiera europea; le dodici stelle d’oro rappresentano infatti le 12 tribù di Israele e il blu è il manto della Madonna. Non dimentichiamo mai cosa significa veramente la nostra identità europea e la nostra cultura. Ci siamo battuti perché gli ebrei non lascino l’Europa, per la paura del rinascente antisemitismo. Ogni ebreo che se ne va è una perdita per tutti, perché chi non difende la propria identità non può aprirsi agli altri, al confronto con la diversità. Le due guerre mondiali che hanno devastato l’Europa hanno avuto origine nei sentimenti di esclusione e di separazione. Quando si pensava di valorizzare la patria intesa come “razza italica”, si è caduti nell’orrore; vorrei ricordare che gli ebrei italiani non hanno mai dimenticato che cosa sia la patria Italia, centinaia di soldati ebrei sono caduti nella prima guerra mondiale e l’Amor di patria da parte della comunità ebraica non è mai venuto meno. Ecco perché il tema di questa Giornata, Narrazioni, è così importante: bisogna conoscere e ricordare la storia».
Il Presidente Tajani ha ricordato che l’Unione Europea, il 29 maggio 2017, ha approvato una mozione di condanna di antisemitismo e odio antiebraico e si è impegnata per il rafforzamento della sicurezza dei luoghi ebraici, per promuovere l’insegnamento della Shoah, e ha chiesto ad ogni Stato membro di nominare un coordinatore nazionale contro l’antisemitismo, che sorvegli anche ciò che viene diffuso nei media e sul web. «La storia incide nella nostra vita quotidiana – ha concluso Tajani – Io farò di tutto perché questa identità non venga mai cancellata da scellerati Sovranismi, in una Europa che non può non considerare Israele, l’unica democrazia del Medioriente, un partner privilegiato e vicino, con il pieno diritto di vivere in sicurezza. L’identità ebraico-cristiana è indissolubile radice comune dei valori europei che teniamo alti nel nostro cuore, orgogliosi del fatto di essere l’unico Continente dove non esiste più la pena di morte».
Ha preso poi la parola il Rabbino capo della comunità di Milano, Rav Alfonso Arbib. «È stata ricordata l’importanza della narrazione nella tradizione ebraica – ha detto – Si può riconoscere che buona parte della tradizione biblica è narrazione, racconto. C’è un racconto apparentemente banale nella Genesi, un personaggio che va a cercare moglie per Itzhak, figlio di Araham. Il Talmud, commentando questo episodio, dice che è più importante il racconto dell’aspetto giuridico, perché anche una storia semplice può insegnare moltissimo. La Torà, la tradizione rabbinica, il midrash, è ampiamente occupata dal racconto, come pure la tradizione chassidica nata alla fine del ‘700. Il racconto è al centro della cultura ebraica. Ma in quale modo e perché la tradizione ebraica, biblica, rabbinica, racconta?».
Rav Arbib ha poi citato lo scrittore e storico Yerushalmi e la sua opera Zachor, dalla quale si evince quale sia il modo e il motivo del raccontare e il rapporto tra Storia e Memoria.
«La Genesi racconta la Storia del mondo nella parashà Bereshit e liquida in pochi versi un periodo di 1000 anni. Alla fine del libro della Genesi, invece, si racconta la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, e a questa storia la Torà dedica uno spazio enorme. La Torà non vuole semplicemente raccontare una storia, ma raccontare qualcosa che può insegnare»
La Bibbia ha come fondamentale aspetto la morale, quindi racconta ciò che vuole trasmettere e insegnare. Anche le storie rabbiniche e chassidiche vogliono insegnare e far capire che cosa c’è dietro la storia.
«Un esempio commentato dal Talmud, trattato Berachot, riguarda un uomo che viene assalito da un lupo, lotta e si salva. In paese lo racconta, ma prima che finisca di raccontare viene assalito da un leone. Lotta e si salva. Poi lo racconta e viene assalito da un serpente. Infine si trova a raccontare la sua storia e parla solo dell’assalto del serpente; le ultime disgrazie fanno dimenticare le prime. L’insegnamento è che tendiamo a raccontare la storia contemporanea. Ma non è sempre utile né intelligente fare questo. Siamo a 80 anni dalle infami Leggi razziali, che hanno devastato le vite di tanti ebrei e sono state una vergogna per l’Italia. Questo fatto è riconosciuto da tutti, ma c’è qualcosa di più: la reazione alle leggi razziali è stata l’indifferenza. Se non la complicità: delazioni si sono avute in Est Europa, Francia, Italia. Ci sono stati anche i Giusti. Ma dobbiamo ricordare anche le delazioni e l’indifferenza. Perché? Perché è avvenuto? L’antisemitismo in Europa non sorge negli anni Trenta ma ha una lunghissima e dolorosa storia, in Italia nascono i primi ghetti nel corso del 1500; ci sono secoli di antisemitismo che hanno preparato il terreno all’indifferenza verso le Leggi razziali, verso la Shoah. L’antisemitismo ha fatto parte del modo di vivere in Europa, questo non va dimenticato. Se non riusciamo a capire quali sono le radici del male, questo si ripeterà. Stiamo assistendo al risorgere dell’antisemitismo in Europa, cosa che francamente fino a trent’anni fa non credevamo possibile. Perché? Perché non si sono fatti i conti con le radici di tutto questo».
«C’è poi una grande confusione tra antisemitismo e antisionismo, che è diventato una maschera. All’inizio del Novecento – ricorda Rav Arbib – furono diffusi I protocolli dei savi anziani di Sion, un falso pubblicato in Italia con la prefazione di Mussolini; già lì, nel testo base dell’antisemitismo moderno, erano messi insieme ebrei e sionisti. La tradizione ebraica tenta di capire le radici, narrare per insegnare, per il futuro».
Del Debbio ha poi passato la parola a Philippe Daverio, critico d’arte, docente, saggista, che «Felice ed emozionato per l’opportunità di parlare qui» ha raccontato gli Ebrei avanguardia d’Europa. E lo ha fatto citando Marc Bloch e la mutazione radicale che ha portato nella storiografia moderna, con dettagli vicini alla sociologia. «Senza di lui non ci sarebbe stata la storiografia moderna; siamo entrambi alsaziani e io sono felice di essere metà lombardo e metà alsaziano, testone e aperto».
Interessante e brillante la lezione di Daverio che si è concentrata sui concetti di Impero e Stato e sulle differenze di questi due progetti politici, nel passato fino ad oggi: le monarchie centrali in Europa costituiscono una sorta di piramide con al vertice Dio e i contadini alla base. È un progetto politico chiuso ed escludente, mentre gli Imperi che governano varie popolazioni, diverse per tradizioni e lingue, devono essere collaboranti, includenti.
«Il dibattito che oggi imperversa in Europa sul “sovranismo” è la stessa cosa. L’Europa unita è come un Impero e porta un messaggio di integrazione e convivenza. La tolleranza è una necessità della coabitazione tra tutti i popoli europei. La riflessione deve essere su come apprendere dalla storia del passato per costruire il futuro. L’Europa è l’Impero di domani, mentre il sovranismo è il ritorno allo Stato centrale del passato» – ha concluso Daverio.