di Ilaria Myr
L’ultimo intervento della mattinata della Giornata europea della cultura ebraica, tenutasi alla sinagoga di via Guastalla domenica 15 settembre, è stato dedicato al Sogno dell’innovazione e della Pace in Medio Oriente e ha visto Gabriele Nissim, presidente Gariwo La foresta dei Giusti, dialogare con Nadav Tamir, direttore del Peres Center of Peace. Per anni braccio destro di Shimon Peres nel, l’ha accompagnato nella costruzione e nello sviluppo del centro per la pace, partecipando attivamente, fra le altre cose, alla scrittura del libro di Peres No room for small dreams (ed. Weidenfeld & Nicolson, 2017).
«Shimon Peres è stato il maggiore interprete della filosofia del sogno – ha esordito Nissim, che al suo intervento ha dedicato anche un editoriale sul sito Gariwo che abbiamo riportato su Mosaico -. Mi sono riletto l’intervento che fece ad Oslo il 10 dicembre del 1994 nel momento in cui sembrava che la pace definitiva nel Medio Oriente fosse a portata di mano. Allora il Ministro degli esteri israeliano fece anche una riflessione sulla sua vita. Un uomo, raccontò, non può fermare il corso dei suoi anni, ma ha sempre la possibilità di rimanere giovane con i suoi sogni. Le leggi della biologia non si applicano alle proprie aspirazioni, sono indice della vitalità dell’essere umano e gli allungano la vita. La sua famiglia riuscì infatti a superare il dramma della persecuzione e della guerra con il sogno di uno Stato ebraico. Se lui e i suoi genitori non avessero avuto questo sogno non sarebbero forse sopravvissuti e non sarebbero mai sbarcati nel porto di Jaffa. Ma neanche quella terra conquistata in tante guerre poteva bastare se non si immaginavano nuovi sogni».
L’innovazione portatrice di pace
«Peres era un grande sognatore, e il suo segreto era l’ottimismo – ha spiegato Nadav Tamir, direttore del Peres Center of Peace -. Lui diceva: “I pessimisti e gli ottimisti muoiono nella stessa maniera, ma vivono in maniera molto diversa”. E poi diceva: “Io posso essere ottimista, perché sono arrivato qui quando Israele non era niente, senza acqua, con i nemici intorno, e guardate cosa abbiamo fatto”. Per lui le persone pessimiste non erano realistiche».
La realtà, diceva Pere, è in continuo mutamento e così anche noi dobbiamo cambiare e adattarci. «Lui stesso fu chiamato per costruire l’apparato militare del paese da Ben Gurion, ma divenne poi l’ambasciatore di pace, quando i tempi lo permisero».
Tamir ha poi spiegato che l’obiettivo del Shimon Peres Centre for Peace, che nasce come struttura apolitica, è portare la pace dal basso, agendo sulla popolazione, attraverso iniziative di dialogo e convivenza. Esso infatti promuove attività sportive congiunte per ragazzi arabi ed ebrei, palestinesi e israeliani, così come iniziative di tipo economico ed educativo. Oggi il centro ha un Innovation centre a Jaffa, realizzato dall’architetto italiano Massimiliano Fuksas. «Per il presidente Peres la connessione fra pace e innovazione era molto sinergica – ha continuato – perché senza diplomazia innovativa non si può costruire la pace. Ma crediamo anche che attraverso l’innovazione possiamo trasformare il Medio Oriente in una start-up region. Con tutti i problemi che abbiamo una cosa di cui abbondiamo sono i giovani: 60% degli arabi in medio oriente ha un’età sotto i 30 anni, sono molto più aperti al mondo rispetto ai loro genitori, grazie a internet. Se potessero imparare da Israele come costruire un paese innovativo, sarebbero meno ricettivi al fanatismo e più invogliati a creare cose concrete per la loro società. Bisogna combinare innovazione e scienza con valori come giustizia e tikkun olam, solo così potremo nutrire speranze di pace per le nuove generazioni. Perché la tecnologia senza valori può essere molto pericolosa, e i valori senza tecnologia possono non prendere piede. Questo è quello che promuoviamo tutti i giorni».
La sfida del cambiamento climatico
Prendendo spunto dalle parole di Tamir, Nissim ha citato il noto storico israeliano Yuval Harari, che sostiene che la cooperazione internazionale è l’unico modo per affrontare le sfide dei cambiamenti climatici e dell’umanità. Un Paese solo non riesce ad affrontare i grandi problemi, come migrazione e clima. Ed è proprio anche dalla questione climatica che passa la pace: «Perché Israele può diventare per tutto il Medio Oriente un punto di riferimento che riesce a creare nuove fratellanze perché all’altezza della sfida tecnologica. Come vede questa questione il Peres Centre?»
«Negli ultimi anno il climate change non è più una questione astratta – ha risposto Tamir -. Importante è ricordare che Israele non aveva nessuna risorsa naturale, quindi abbiamo dovuto ricorrere alle risorse tecnologiche. Nota è la barzelletta che dice che se Mosé avesse avuto un Gps non avrebbe portato lì il popolo ebraico, ma in un paese con più risorse. Peres diceva che Israele ha un solo fiume che ha molta più fede che acqua perché il Giordano, citato nella Bibbia, per una parte è nel deserto e per l’altra è paludoso, e abbiamo due laghi: uno è morto e l’altro è sulla buona strada …. Ma proprio perché non possiamo basarci sulle risorse naturali, abbiamo capito che dobbiamo lavorare sul capitale umano, innovazione e scienza. Ad esempio, l’acqua: un paese che non ha acqua, ora con l’agricoltura hi -tech sta portando in tutto il mondo una grande innovazione, che porta ogni singola goccia d’acqua a destinazione senza sprechi. Possiamo oggi produrre acqua in Israele e purificarla (90% dell’acqua è riutilizzata). Se l’acqua in passato era una ragione per fare la guerra, oggi l’acqua è uno strumento per portare la pace. Abbiamo gli stessi problemi die nostri vicini, quindi se cooperiamo saremo più forti».
L’educazione alla collaborazione
Nissim ha poi introdotto l’impegno del Centro Peres nell’educazione, sia attraverso attività per ragazzi che per adulti. «Per i giovani creiamo delle attività sportive, in cui musulmani, ebrei e altri non sono nemici ma avversari. Sono gruppi misti che giocano insieme e imparano a risolvere in conflitti cooperando, in logica win-win. Così crescono capendo che se si vuole migliorare la propria situazione bisogna collaborare con l’altro e occuparsi anche della sua».
Inoltre, il centro sviluppa iniziative rivolte agli adulti. Ad esempio, manda medici palestinesi da gaza e dalla Cisgiordania in Israele a lavorare fianco a fianco con i colleghi israeliani. «Quando lavorano negli ospedali israeliani capiscono che è importante salvare delle vite, senza distinzioni, e quando tornano a casa mantengono i rapporti con i medici israeliani – ha spiegato Tamir -, perché capiscono che fare qualcosa di costruttivo significa fare qualcosa di buono anche per l’altra parte, per andare avanti insieme».
Fra passato e futuro
«Peres pensava che i popoli debbano superare il vittimismo – ha spiegato Nissim -: non guardare solo al passato, ma guardare sempre al futuro. Questo aspetto di Peres è molto importante, un grande personaggio con un basso profilo. Come è arrivato a questo modo di pensare?
«Per molti anni mi sono chiesto come mai siamo così timorosi sulla sicurezza nazionale. Per anni non l’ho capito, in kibbutz era diverso. Ma quando siamo andati in un campo in Polonia, mi sono reso conto che siamo un popolo traumatizzato e che la sicurezza nazionale è presente in qualsiasi discorso. Peres invece cercava di dire che Israele ormai è un paese forte, ma diceva anche: siamo usciti dagli shtetl, ma ora è tempo di fare uscire lo shtetl dagli ebrei. Oggi siamo in grado di prendere le cose in mano e avere iniziative. Inoltre era molto influenzato da ben Gurion, che ebbe la forza di dichiarare l’indipendenza dello Stato pur sapendo che saremmo stati attaccati dai vicini. Nel medio oriente lo sport più popolare è l’accusa reciproca, ma nessuno fa niente: Peres diceva invece che bisogna agire, prendere iniziativa. Questa speranza che lui aveva è stata per me una grande fonte di ispirazione. Ricordiamoci che ‘speranza’ è il nome del nostro inno nazionale, l’Hatikva. Basta avere paura, bisogna avere speranza».
Peres l’uomo
Infine, qualche ricordo personale di Peres.
«Sono stato fortunato e privilegiato di incontrare leader del mondo grazie a lui. Grazie a lui ho cominciato ad apprezzare l’Italia, che lui adorava. Partecipava ogni anno al Forum Ambrosetti e aveva un rapporto molto speciale con il presidente Napolitano. Un aneddoto? Quando gli chiedevano qual era il migliore traguardo da lui raggiunto, lui rispondeva: “è quello che farò domani, il passato è noioso, ma quello che deve arrivare sarà meraviglioso”. E quando un politico cipriota socialista gli chiese se lui fosse ancora socialista, lui rispose: “No assolutamente non lo sono. Ma a dire la verità non conosco nessuno il cui cuore non batta a sinistra”».
(I video della diretta Facebook della Giornata Europea della Cultura Ebraica 2019 sono disponibili sulla pagina di Mosaico-Bet Magazine).