di Roberto Zadik
La sala dell’Orfeo strapiena, la sera del 21 gennaio, e applausi all’inizio e alla fine della pellicola, prima e dopo il dibattito per l’emozionante documentario “Kinderblock” (Il blocco dei bambini) ultima fatica del regista Ruggero Gabbai in collaborazione con lo storico esperto del Museo della Shoah di Roma Marcello Pezzetti , che dopo “Memoria”, “Il giorno più lungo” e “La Razzia” ripercorrono un’altra dolorosa pagina storica, tornando sul tema della Shoah.
Come ha ricordato Gabbai «questo è stato un film molto difficile, fin dal viaggio e dalla realizzazione, decisamente complessa»; la tematica dominante del film è la sofferenza dei bambini in quei terribili lager, da Auschwitz a Neugamme all’edificio di Bullenhauser Damm ad Amburgo, e fra queste le storie delle due sorelle Bucci e del loro cugino Sergio De Simone. (Una storia che Bet Magazine – Mosaico ha raccontato con una lunga intervista alle protagoniste e al regista Ruggero Gabbai sul numero di gennaio 2020)
Presentati dall’Assessore alla Cultura Gadi Schoenheit, che ha ricordato suo padre Franco scomparso recentemente e uno dei pochi sopravvissuti del campo di sterminio di Buchenwald, prima della proiezione del lungometraggio, hanno parlato diverse personalità sul palco dell’Orfeo. Dal vicesindaco Anna Scavuzzo che ha sottolineato l’importanza della storia delle sorelle Bucci e dell’impegno collettivo contro l’antisemitismo e l’emozione della visita ad Auschwitz, ai produttori Mario Venezia figlio del sopravvissuto Shlomo e che ha annunciato che il film verrà trasmesso su Rai 1, allo Speciale Tg1, dalle 23.15, il prossimo 2 febbraio.
Intenso anche l’intervento di Micaela Goren Monti, presidente della Goren Monti Foundation anche lei produttrice della pellicola che ha sottolineato la propria emozione nel ricordare le sorelle Bucci e la loro dolorosa vicenda e l’evento tenutosi a Lugano che «doveva coinvolgere 430 persone ma ne sono venute quasi il doppio. Sono molto felice di aver prodotto questo film di Ruggero e spero che da qui nascerà una lunga collaborazione». Molto toccante, nel dibattito a fine serata, la testimonianza di Tati e Andra Bucci, venute a Milano appositamente mentre ormai vivono all’estero entrambe, una a Bruxelles e l’altra in California, che hanno detto «diversamente da nostro cugino abbiamo avuto la possibilità di rifarci una vita e ricominciare». (Il cuginetto Sergio De Simone, illuso da Mengele che avrebbe visto la mamma, era stato invece trasportato da Birkenau ad Amburgo insieme al gruppo degli altri 19 bambini-cavie a cui era stato iniettato il bacillo della tubercolosi: bambini finiti tutti impiccati dai loro carcerieri nazisti il 20 aprile 1945).
I due realizzatori dell’opera Ruggero Gabbai e Marcello Pezzetti hanno successivamente ricordato la complessità di questo lavoro, dai viaggi emotivamente e tecnicamente difficili, le discussioni durante la lavorazione di un’opera che si è occupata di un argomento particolarmente arduo da affrontare come le sofferenze dei bambini, anche molto piccoli, nei lager e nelle spietate sperimentazioni di Mengele e di Heussmayer, altro inquietante personaggio; un’opera che «resterà quando i testimoni non ci saranno più per raccontare alle generazioni future ciò che è stato» e che, come ha ricordato Pezzetti, intende «dare voce a chi non ha avuto voce».
Il documentario, una recensione
Momento centrale della serata è stata la proiezione di questo docu-film, che ha raccontato – con realistica sobrietà e la consueta e partecipe delicatezza di toni e di sfumature emotive – con grande accuratezza storica, i luoghi, come dice il titolo “Kinderblock” e la tragedia dei bambini ebrei, come le sorelle Bucci, nate a Fiume, figlie di Mira Perlow, ebrea bielorussa e il loro cuginetto Sergio De Simone. Un lungometraggio solido e ben narrato, senza mostrare scene impressionanti ma lasciando ben intendere allo spettatore il dramma di quell’esperienza, resa ancora più atroce dalla finta gentilezza e dall’affabilità con cui il sadico dottor Mengele, scomparso misteriosamente a 67 anni nel 1979 in Brasile, trattava i bambini prima di torturarli e farne delle cavie umane, iniettando loro i batteri della tubercolosi solo per testare le sue “sperimentazioni”.
Le note dell’inno tedesco Deutscheland uber alles (La Germania sopra a tutti) fanno da colonna sonora al docu-film, che si sviluppa attraverso una serie di interviste e testimonianze: da Napoli, con l’intervista al fratello di Sergio, a Trieste, come pure nel campo di detenzione, transito, deportazione e sterminio della Risiera di San Sabba, per arrivare ad Auschwitz, dove le sorelle Bucci e il cuginetto Sergio arrivarono il 4 aprile 1944, un anno prima dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Fino alla parte straziante degli ultimi giorni della guerra ad Amburgo, dal 20 al 25 aprile 1945, quando i nazisti, ormai consapevoli dell’imminente arrivo delle truppe alleate, decisero di eliminare nella maniera più atroce i bambini-cavie di Bullenhuser Damm, impiccandoli.
Una delle poche produzioni, questo documentario, in cui viene affrontata la perversa psicologia del dottor Mengele che prima di massacrare i bambini, li avvicinava sorridendo e chiedendogli “come stavano”; ricostruendo l’angoscia dei bambini, la ferocia dei loro aguzzini che, come ha ricordato Schoenheit nel dibattito, «sembravano brave persone e avevano un volto rassicurante, lontano da quello dei militari nazisti» e approfondendo il “lato umano” delle vittime, spesso tralasciato da tante algide rievocazioni storiche. “Kinderblock” (Il blocco dei bambini) è invece un’opera storica, artistica e culturale molto efficace e importante.