di Roberto Zadik
Nei suoi 85 anni di vita e nella sua lunga e intensa esperienza letteraria e umana, il grande romanziere e saggista ebreo americano Philip Roth, scomparso il 22 maggio di quest’anno, ha indagato nel “lato oscuro” della sua America, mischiando autobiografia, fantasia e ribellione e il contrasto fra pessimismo e esuberanza. La sua personalità e la sua avventura letteraria e culturale sono state al centro dell’iniziativa “America Amara” tenutasi presso l’Università Statale, lo scorso 15 novembre, in occasione di questa edizione di Bookcity.
In questa sede, nell’Aula 113 Elena Mortara, docente di Letteratura angloamericana presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e il suo collega Carlo Pagetti hanno presentato due dei tre volumi dei “Meridiani “ Mondadori che raccolgono la sua produzione. Il primo libro riunisce le opere di Roth dal 1959, dai tempi del suo esordio Goodbye Columbus al 1986, anno in cui uscì Controvita, e il secondo concentrato di opere degli anni ’90 quando, sui cinquant’anni sfornava capolavori come Pastorale americana diretto nella versione cinematografica dalla star di Trainspotting Ewan McGregor e Operazione Shylock sulle differenze fra l’ebreo diasporico americano e l’israeliano. Addentrandosi negli aspetti tematici e caratteriali dell’acclamato autore statunitense, la Mortara che riuscì a incontrarlo e a intervistarlo poco prima della sua morte, nel dicembre dell’anno scorso, a casa sua in una lunga intervista, ne ha evidenziato “il calore umano, il suo amore per le risate e al tempo stesso la sua serietà e profondità, l’ispirazione vulcanica e la sua ricerca di ordine”.
Ma quali erano le caratteristiche letterarie di Roth, le peculiarità e come si è sviluppato il suo percorso letterario e tematico della sua prosa? Come hanno ricordato anche i due docenti universitari Pagetti e Gianni Cianci, “Roth è stato un acuto osservatore delle contraddizioni e delle ambiguità della società americana, un creatore di paesaggi, descrivendo la sua Newark cittadina del New Jersey vicino a New York “ luogo in cui era nato il 19 marzo 1933 “l’anno in cui Hitler prendeva il potere”, come ha sottolineato la docente , da famiglia polacca e ucraina.
”Uno scrittore straordinario per diversi motivi” come hanno evidenziato i due relatori e a questo proposito ne hanno messo in luce l’estrema prolificità, 33 libri in sessant’anni di carriera dal 1959 fino agli ultimi anni e la estrema lucidità che lo ha caratterizzato fin dagli esordi. Una presentazione, un omaggio e l’occasione di riscoprire il fascino e la personalità di uno dei più importanti scrittori ebrei americani e internazionali del secondo Novecento. “Roth è stato un intellettuale ribelle ma estremamente diviso fra anticonformismo e voglia di emanciparsi dal suo mondo ebraico d’origine e senso di appartenenza ad esso essendovi profondamente legato” ha ricordato la docente. “Cresciuto in un quartiere che nella sua epoca era abitato al 95 percento da ebrei” ha continuato. Inquadrandolo nel suo contesto storico ha evidenziato come “diversamente da altri autori ebrei americani come Malamud, Bellow o altri egli rappresenta un americano di seconda generazione caratterizzato da uno spiccato lato realistico e ironico e dal binomio fra biografia e finzione e in diversi romanzi è stato accusato da diversi suoi contemporanei di essere decisamente autobiografico”.
Successivamente la sua produzione si arricchì di atmosfere e suggestioni nuove sfociando anche in interessanti saggi critici come “Perchè scrivere?” (uscito lo scorso 23 ottobre, 464 pp, 22 euro, Einaudi). A questo proposito, come ha sottolineato la studiosa, “nei primi romanzi, raccolti nel primo dei tre volumi, egli era marcatamente autobiografico”. A questo proposito nel grande successo de “Il lamento di Portnoy” opera trasgressiva e spassosa del 1969 e in altri testi dei primi anni “egli si raccontava in forma di monologo dialogo inserendo sempre di più l’elemento sarcastico e corrosivo che sarà sempre più presente”. Dagli anni ’80 in poi tutto iniziò a cambiare e con una serie di viaggi e esperienze il suo repertorio iniziò a essere più versatile.
I viaggi in Inghilterra e a Praga “città di Kafka uno dei suoi scrittori preferiti” come ha ricordato la Mortara, il matrimonio con l’attrice ebrea inglese di origine bielorussa Claire Bloom, i soggiorni in Israele che lo ispirarono profondamente per le opere successive. Molto importanti i suoi anni ’90, analizzati nella sua completa esposizione dalla docente e gli ultimi anni con opere amare come “Il patrimonio” scritto dopo la morte del padre e il suo ultimo “Nemesi”, uscito nel 2010, che tratta del suo ritorno a Newark la sua città natale. L’autore rappresenta dunque secondo la Mortara un “punto di rottura con tutto quello che l’ha preceduto, compiendo una rivoluzione linguistica e emancipandosi dalla tradizione letteraria e trattando di varie contraddizioni e conflitti come quello fra etica e libertà”.