di Fiona Diwan
Marie Anne Matard Bonucci
L’insegnamento della Shoah nelle scuole è irrinunciabile. Ma
i ragazzi devono essere stimolati ad agire
contro il Negazionismo.
Parla la storica francese dell’antisemitismo
Modi asciutti, un eloquio lucido che va al cuore dei problemi: si potrebbe dire che Marie Anne Matard Bonucci è uno storico in prima linea, non fosse altro che per l’attenzione che dedica al fenomeno della violenza politica ma anche perché insegna Storia Contemporanea all’Università di Paris 8, situata a Saint Denis, il quartiere-teatro del multiculturalismo, il più caldo in termini di integrazione nonché la banlieu dell’eversione islamo-radicale da cui partirono gli assassini del 13 novembre. All’attivo un nutrito numero di saggi, Matard Bonucci è membro del prestigioso IUF, Institut Universitaire de France, un impegno sul fronte dell’antisemitismo che l’ha spinta oggi a creare il Centro di ricerca e studi contro il razzismo e l’antisemitismo, progetto nato dopo il 7 gennaio 2015 e gli attentati a Charlie Hebdo e all’Hypercacher. La studiosa ha recentemente diretto un numero speciale della Revue d’Historie moderne et Contemporaine dal titolo significativo, Antisemitisme: un eternel retour? (Antisemitismo: un eterno ritorno?), ed è autrice di numerosi libri tra cui L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, Il Mulino, nonché una Histoire de la Mafia; ha curato ANTISEmythes: l’image des juifs entre culture et politique (1848-1939), Nouveau monde éditions; Antisemitismi a confronto: Francia e Italia. Ideologie, retoriche, politiche (con. M. Battini), Edizioni PLUS, Pisa University Press e curato (con Marcello Flores, Simon Levis-Sullam, Enzo Traverso) i due volumi della Storia della Shoah in Italia (UTET). In vista del 27 gennaio, le abbiamo posto alcune domande.
Quale legame tra Storia e Memoria? Un indissolubile binomio, specie se pensiamo al XX secolo?
Il rapporto che lo storico ha con la memoria è organico. La memoria è un materiale imprescindibile dello storico del mondo contemporaneo, specie se parliamo di Shoah e sopravvissuti. Certo, a noi poi spetta incrociare le fonti e confrontare le memorie individuali tra loro e con altre fonti. Inoltre, resta il fatto che la Memoria va considerata uno dei motori dei comportamenti umani, ad un livello individuale ma anche sociale come aveva ben sottolineato Maurice Halbwachs. Nel XX secolo, teatro di orrori spesso rimasti occultati da coloro che li avevano compiuti, a dei vuoti di memoria sono succedute ossessioni memorialistiche. Così gli storici hanno iniziato a studiare, forse più che per altre epoche, i meccanismi della memoria e i suoi effetti sociali. Senza contare poi che anche lo storico ha una sua propria, personale memoria la quale, a cascata, determina la sua forma mentis e la sua percezione dei fatti e degli eventi. Oggi, per gli storici, la memoria è contemporaneamente: una fonte, un oggetto di investigazione, una bussola che può chiarire (ma anche ostacolare) la comprensione del passato.
Come evitare che la Giornata del 27 gennaio diventi una parata istituzionale, come evitarne lo svuotamento?
Le giornate commemorative partono da un’esigenza civile, dovrebbero essere un cemento della coscienza collettiva. Ma quando le cose cadono dall’alto, finiscono per essere vissute come un obbligo, private della spinta spontanea da cui erano state originate; e così, la gente ha l’impressione che gli si imponga qualcosa. Nelle scuole, ad esempio, accade che la memoria della Shoah finisca per essere vissuta come uno dei tanti obblighi scolastici, diventando così una forma di coercizione curricolare, come lo studio del congresso di Vienna o la geometria euclidea. Sia chiaro: i Giorni della Memoria sono un rito laico e hanno un senso importante, se non altro perché se ne parla. Ma attenzione: il tentativo di sacralizzare la Memoria della Shoah alla fine la banalizza. Nei licei, affinché i viaggi ad Auschwitz siano efficaci, la Shoah andrebbe spiegata come si deve, senza fretta, cogliendone la specificità. Lavorare sulla Shoah, nelle scuole, è vitale proprio perché non ha avuto equivalenti nella storia, non c’è nient’altro a cui potrebbe essere paragonata. Ciò detto, ahimè, l’oblio è una naturale tendenza umana, ed è nella natura della memoria stemperarsi e svanire. Tutte le liturgie, se legate a degli eventi specifici, sono votate all’obsolescenza. Quando ero ragazza, l’11 novembre era ancora considerata una data sacra, importantissima, segnava la fine della Grande Guerra, il ricordo di quella spaventosa carneficina, le trincee, Ypres, Verdun… Oggi, la gente a malapena sa cosa corrisponda a quella data. Insomma, i riti civili sono fatalmente destinati a diventare obsoleti nel giro di due o tre generazioni.
Che cosa intende con il concetto di “concorrenza delle memorie”?
È un fenomeno oggi dilagante in Francia e si verifica quando il potere politico si impossessa della questione della memoria per fini elettorali. È l’intervento della sfera politica nel territorio abituale della Storia. Mi spiego: negli ultimi 10 anni, in Francia, sono state promulgate le cosiddette Leggi Memoriali, leggi a cui moltissimi storici si sono opposti: la Legge per commemorare il genocidio degli armeni, la Legge che dichiara la tratta degli schiavi un crimine contro l’umanità, eccetera… Tali leggi sono spesso il frutto di logiche di politica interna poiché, com’è noto, la Francia ospita importanti comunità di origine africana e armena. Ecco che la memoria diventa allora qualcosa da strumentalizzare e politicizzare, un business elettorale. Il risultato? Un triste relativismo in cui la Shoah viene messa sullo stesso piano di altri genocidi del XX secolo, con l’Olocausto non più considerato qualcosa di unico nella sua specificità. Perché, insomma, si sente ripetere oggi, “in fondo, ciascuno ha avuto il suo genocidio” e “ne abbiamo abbastanza di sentir parlare solo di Shoah”. L’insistenza sulla Shoah, oltre a generare una forma di rigetto, avrebbe inoltre finito per far credere erroneamente che in Francia ormai non esista più nessuna forma di antisemitismo, che sia stato debellato, mentre non è affatto così, al contrario. È sempre diffuso nell’estrema destra o all’interno di una parte della popolazione di origine arabo-musulmana. Ed è questo che accade quando viene perso il senso della peculiarità della Shoah, annegandola nella celebrazione di altre tragedie storiche.C’è chi parla di abolire la Giornata del 27 gennaio…
Un errore, un pessimo segnale, starebbe a significare che non si tratta più di qualcosa di fondante dei valori della Repubblica. Ecco perché, a maggior ragione, dovremmo diventare più flessibili, non farla vivere come un’ingiunzione – cosa sempre più diffusa oggi nelle scuole – ma piuttosto come una mobilitazione pedagogica, una sfida per un corpo docente capace di esprimere creatività. Per evitare lo svuotamento bisognerebbe rendere attivi gli studenti mobilitandoli con progetti, mostre, ricerche. Io insegno a Saint Denis, una banlieue problematica, com’è noto. Qui, oggi, è ancora più importante insegnare la Memoria della Shoah. Quest’anno porterò i miei studenti ad Auschwitz; al loro ritorno dovranno produrre uno studio sui “falsari della storia”, cioè i negazionisti, con la preparazione di un sito internet. Insomma, li invito a uscire dalla semplice commemorazione per privilegiare riflessione ed azione.