di Roberto Zadik
Un’ambientazione sobria e espressiva, con una serie di spartiti e di lumini sparsi sul pavimento e due bravissimi musicisti come la cantante e pianista Delilah Gutman e Rephael Negri, che ripercorrono a suon di note, virtuosismi e interventi su ogni brano, la tradizione musicale ebraica nella sua affascinante complessità. Saliti sul palco della Palazzina Liberty, giovedì 22 dalle 21 in una serata organizzata in collaborazione con la casa discografica Stradivarius che ha pubblicato il loro ultimo nuovissimo album “ITalYa” i due artisti hanno suonato brani di vario genere.
Durante la serata il pubblico ha potuto ascoltare pezzi famosissimi come l’inno israeliano “Hatikwa” ma anche diverse rarità di assoluto pregio come canzoni d’amore ebraico yemenite o canzoni sefardite di grande intensità come “Adios querida” (Addio mio cara). Esibendosi con sentimento e professionalità, presentandosi vestiti di nero, Delilah Gutman, compositrice, cantante e pianista che vive fra Milano e Rimimi e il violinista bresciano Rephael Negri hanno ricordato a suon di note secoli di musica ebraica passando anche attraverso dolorose memorie di persecuzione e sofferenza che hanno accompagnato gli ebrei d’Europa nei secoli in concomitanza con la Giornata della Memoria, fissata per il prossimo 27 gennaio.
Ma cosa hanno suonato? Brani famosi e struggenti come “Shalom Aleichem”, che si canta ogni venerdì sera quando si fa kiddush, qui rielaborato con grande intensità da Negri, violinista 48enne, premiato e acclamato in vari festival, un altro “classico” come “Osse shalom” appartenente al repertorio religioso e tratto dal siddur, libro di preghiere basilare per qualsiasi funzione religiosa o preghiera individuale e collettiva, composto da un autore anonimo e riadattato per l’occasione da Rephael Negri seguendo andamenti e suggestioni nuove. Insomma pezzi fondamentali ma anche tanti brani di spessore e poco conosciuti, per ripercorrere le varie epoche e le differenze stilistiche e geografiche nella cultura ebraica di ogni epoca, molto diversa per tematiche e stili musicali se di area ashkenazita e dei Paesi dell’Est Europa, con canti legati alla pesante condizione degli ebrei polacchi, russi o tedeschi o sefardita, con melodie più disimpegnate, che parlano d’amore o della natura, proveniente dal bacino del Mediterraneo e dal Medio Oriente.
Riassumendo la serata, che è cominciata dalle 21, quando i due musicisti sono saliti sul palco e hanno salutato il pubblico, purtroppo non molto numeroso, e hanno cominciato la serata con il primo brano della loro scaletta “Kyria Yefeifiah”, una canzone ebraica yemenita di grande suggestione. Composta nel diciassettesimo secolo dal compositore Shabbazy, come ha spiegato Delilah Gutman, questo è “un canto molto antico che ci porta in un lungo viaggio attraverso la memoria” come spesso accade per la tradizione musicale ebraica. “Non si tratta solo di canti popolari, anzi questa definizione è errata per quanto riguarda la musica ebraica, che non è un qualcosa di omogeneo, ma comprende una serie di elementi e caratteri anche molto diversi tra loro.” Proseguendo con interventi, molto interessanti che rivelano profonda conoscenza didattica oltre alle indubbie qualità vocali dimostrate nei vari brani, i due artisti hanno suonato con tempismo e passione vari brani in un susseguirsi di musiche, parole e emozioni.
Un viaggio nel passato? Non solo ma anche una riflessione sulla cultura yiddish che come ha ricordato la Gutman, sarebbe andata distrutta a causa della Shoah e della ferocia nazista e sulla nascita di lingue come il giudeo spagnolo per i sefarditi che hanno contribuito alla diffusione della cultura e della musica ebraica prima che l’ebraico tornasse ad essere parlato, alla fine dell’Ottocento e non solo utilizzato nelle cerimonie liturgiche. Presenti nell’esibizione anche diversi brani del repertorio mittleuropeo e askenazita come “Dona Dona” pezzo molto significativo composto da Aaron Zeitlin e Shlomo Secunda. A questo proposito la Gutman sottolinea come il titolo si riferisca a uno dei nomi di Dio e che il contenuto della canzone racconta del confronto fra un bitello legato e pronto per essere sacrificato che continua a gemere e gli uccelli nel cielo che invece volteggiano liberi. Nella tradizione ebraica, sottolinea, le emozioni sono sempre relative e sfumate e “la gioia non è mai perfetta e il dolore non è ineluttabile”.
Ripercorrendo la storia del mondo askenazita e la sua tradizione musicale che ha definito “davvero molto vasta”, la Gutman ha eseguito anche dolcissime ninnananne com “Numi Numi” composta da Yekhil Halperin. Questa melodia è un esempio di come le canzoni per i più piccoli si svilupparono nei bui anni della Shoah nelle famiglie dei deportati nei lager e in quelle dei sopravvissuti, collegando come spesso accade nella tradizione ebraica, dolore e speranza e ancora oggi questa ninnananna è molto popolare anche in Israele. Il concerto si è concluso verso le 23, con i due artisti che hanno salutato il pubblico suonando una rielaborazione molto suggestiva, l’inno nazionale dello Stato ebraico “Hatikwa”.