di Giovanni Panzeri
“Volete andare a vedere la mamma? Se sì, fate un passo avanti” con questa richiesta Mengele, medico del campo di sterminio di Auschwitz, sceglieva i bambini da usare come cavie negli esperimenti nazisti sulla tubercolosi.
Questa è la sorte toccata a Sergio de Simone, di 7 anni, ucciso a Bullenhauser Damm, la scuola di Amburgo scelta come loro prigione e tomba, nel racconto delle sue cugine Andra e Tatiana Bucci, loro stesse internate a 4 e 6 anni nei Kinderblock di Auschwitz.
Sulle terribili esperienze di Andra, Tatiana, Sergio, e del deportato politico Oleg Mandic, si è concentrato il documentario “Kinderblock-l’ultimo inganno”, presentato dalle sorelle Bucci e da Marcello Pezzetti, co-autore con Ruggero Gabbai del documentario e storico della Shoah, la sera del 6 febbraio alla Sala Alessandrini di Crema nel contesto dell’evento “La Storia siamo noi: il ricordo e l’impegno- la memoria della Shoah”, promosso dal Comune di Crema.
Dopo la visione del documentario, l’evento, rivolto principalmente a studenti e insegnanti ma aperto a tutta la cittadinanza, è proseguito con una discussione tra le due testimoni e il pubblico, che si è focalizzata soprattutto sul loro ritorno in famiglia e società dopo essere sopravvissute ai campi.
Bambine ad Auschwitz
“I bambini, inferiori ai 10-11 anni, giunti a Birkenau sono circa 150.000 – afferma lo storico Pezzetti – secondo la volontà nazista tutti i bambini ebrei che giunsero a Birkenau dovevano essere eliminati immediatamente. Tranne alcune eccezioni”.
“Eravamo destinati a diventare delle cavie – ricorda Tatiana – la baracca era piena o quasi vuota a seconda dei periodi. Molte volte c’era qualcuno che prendeva uno o due bambini. E non tornavano più”.
Le sorelle hanno poi descritto la vita da bambine ad Auschwitz, “da dove c’era la nostra baracca – continua Tatiana – vedevamo soltanto un camino, dal quale uscivano fiamme e fumo. Sempre. E, senza che capissimo quello che voleva dire, ci dicevano che molti di noi ‘uscivano dal camino’”.
“C’erano queste piccole piramidi di morti – ricorda Andra – noi giravamo intorno a queste piccole piramidi bianche… erano bianchissimi.”
Emerge con forza il rapporto con la madre, anch’essa internata ad Auschwitz, che cercava di ricordare alle figlie i loro nomi le poche volte che riusciva a vederle, mentre loro avevano paura di lei per il terribile cambiamento d’aspetto.
Il ritorno in famiglia e il silenzio della società
Dopo aver vissuto per un periodo in Repubblica Ceca e in Inghilterra, le due sorelle vennero rintracciate e riunite al padre e alla madre, anche lei sopravvissuta ai campi. “Tra noi e la mamma ci comportavamo come se non fosse successo niente, non se ne parlava proprio. Abbiamo rispettato il suo silenzio e lei ha rispettato il nostro, e questo forse ci ha permesso di avere un’infanzia normale. Lei si è confessata con una sua amica ma le ha fatto giurare di non dirci niente”.
Le sorelle hanno parlato anche del modo in cui furono riaccolte nella società italiana: “non ci ha accolte. Non c’è stato nessun aiuto da nessuna parte, né dalla scuola né dallo Stato in generale, gli amici non ci credevano veramente”.
Il silenzio e la lentezza della società italiana nel fare i conti con il proprio passato emergono con forza tant’è vero, ricorda Pezzetti “che al giorno d’oggi solo un presidente del consiglio italiano si è recato ad Auschwitz. Solo Berlusconi, e ci andò per incontrare Putin, senza visitare veramente la struttura”.
Il documentario è disponibile sul sito della Rai ( https://www.raiplay.it/programmi/kinderblock-lultimoinganno )