di Roberto Zadik
Un cinema Orfeo affollato e commosso, quello di martedì 15 gennaio, quando dopo grande attesa è stato proiettato La Razzia, il nuovo lavoro firmato dal regista Ruggero Gabbai e dai due storici Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto. Interviste e emozioni forti e ben raccontate per descrivere quel tragico Shabbat, noto fra gli ebrei romani come “Il 16 ottobre” quando i nazisti entrarono nel Ghetto di Roma deportando 1250 ebrei dei quali, da Auschwitz ne sopravvissero solo 16, 15 uomini e una donna.
Nel corso della serata, organizzata dall’Associazione Figli della Shoah, dal Cdec, dalla Comunità ebraica milanese e dall’ANPI , la proiezione del film è stata preceduta da una serie di discorsi e successivamente si è tenuto un mini dibattito. Fra gli interventi iniziali, il discorso del produttore del film Mario Venezia, che ha espresso la propria soddisfazione riguardo a questa produzione che “ha rappresentato un rischio ma anche una grande sorpresa grazie alla professionalità di Ruggero, Marcello e Liliana”.
Il film sta registrando un grande successo, premiato al Festival del Cinema di Roma e presentato alla Camera dei Deputati, e a questo proposito, il 27 gennaio verrà trasmesso sulla Rai dalle 23. A quanto pare l’opera sta diventando oggetto di interesse anche negli Stati Uniti, per questo, come ha sostenuto Venezia “vi sono i sottotitoli in inglese”.
La pellicola descrive con una serie di aneddoti e testimonianze quanto avvenuto in quei tremendi giorni attraverso i suoi protagonisti. Ebrei romani semplici e schietti che genuinamente si sono raccontati davanti all’obbiettivo attento e partecipe di Gabbai, sopravvissuti alla deportazione o salvatisi miracolosamente al massacro nazista effettuato per ordine dei temibili ufficiali Herbert Kappler e tristemente noto come responsabile del Massacro delle Fosse Ardeatine assieme a Erich Priebke e Theodor Dannecker e dai loro uomini .
È il caso di Emanuele Di Porto, salito sul palco assieme agli autori e “uno dei pochi a essersi salvati quando avevo solo 12 anni” come emozionato ha sottolineato. ” Per molti anni” ha proseguito ” ho deciso di non parlarne dopo che avevo cominciato a raccontare la mia storia ma nessuno le aveva dato importanza”. Le interviste e le testimonianze sono l’anima dell’opera, come nel caso degli altri lavori di Gabbai si pensi ai documentari sugli ebrei libici, egiziani o dell’isola di Rodi. Come ha reso noto lo storico Marcello Pezzetti, questo lavoro è frutto di anni di ricerca storica e umana e di una serie di interviste realizzate anche a 20 anni di distanza l’una dall’altra e fra protagonisti che non si sono mai incontrati e sembra dialoghino fra loro. E’ il caso del coraggioso e lucido Arminio Wachsberger, figlio del Rabbino Capo di Fiume, che grazie al suo talento per le lingue straniere e alla conoscenza del tedesco, riuscì a scampare allo sterminio contrariamente alla prima moglie Regina e alla figlia che perirono nel lager diventando interprete dello spietato Dottor Mengele e traducendo gli ordini dei tedeschi ai correligionari confusi e terrorizzati, scomparso nel 2002 e di suo figlio Vittorio Polacco intervistato molti anni dopo. Parlando di Wachsberger, anche Liliana Picciotto, dopo la proiezione, ha evidenziato come “egli sia stato un super testimone dall’inizio alla fine essendo uno dei nostri personaggi più preziosi.”
Riguardo al film” ha detto “sarà un’opera che rimarrà. Ruggero ha il grande pregio di lasciar parlare i testimoni, creando atmosfera e filmando l’ambiente circostante, in questo caso le bellissime vie di Roma”. Il regista ha ringraziato vivamente la Picciotto e Pezzetti evidenziando il contributo di Di Porto sottolineando di “aver visto il film in prima fila e di essere emozionatissimo”. Molto importante anche il discorso di Silvia Wachsberger, una delle due figlie del secondo matrimonio di suo padre Arminio, che ha messo in luce di aver “visto mio padre come una delle 16 persone che si sono salvate da Auschwitz e che in un momento così drammatico è riuscito anche a salvare altre persone e io e Clara ci tenevamo molto che questo aspetto emergesse”.
L’emozione e la riflessione storica sono le parole chiave di questo bel lavoro che ricostruisce meticolosamente e sobriamente le fasi di quei giorni. Tutto questo attraverso le parole dei protagonisti e senza fotogrammi o particolari immagini tranne i bellissimi disegni realizzati da Aldo Gay, pittore e disegnatore ebreo romano i cui schizzi raffigurano efficacemente il tormento e la paura della retata nazista. Il film ripercorre con grande precisione il susseguirsi degli eventi. Tutto cominciò dall’occupazione nazista di Roma iniziata il 26 settembre 1943 quando Kappler ordinò agli ebrei di consegnare tutto l’oro in loro possesso, e si trattava di una Comunità non certo ricca “a eccezione di alcune famiglie piuttosto agiate molte delle quali avevano lasciato la città” per salvarsi dalla deportazione che però avvenne ugualmente. “Tutti davano l’oro e a me levarono la catenina” come ha ricordato una delle testimoni Rina Pavoncello. Il 16 ottobre il Ghetto venne invaso, come hanno ricordato da alcuni testimoni, da 365 militari “molti dei quali non addestrati e prendevano tutti. Vecchi, regazzini, tutti”. Poi avvennero gli arresti e le prime deportazioni , con Vittorio Sermoneta che ha descritto “gli strazi di donne e bambini caricati sul camion”. Molto toccanti varie testimonianze. Come il racconto del viaggio, dalla Stazione Tiburtina, il 18 ottobre, verso il lager dove i tedeschi avevano caricato su 28 carri per il bestiame i prigionieri ebrei, che vennero lasciati a aspettare diverse ore, senza cibo e acqua prima della partenza del treno, ignari della fine che avrebbero fatto. Il viaggio estenuante e durato vari giorni fra traversie e sofferenze di ogni tipo fino alla destinazione. Molti pensavano di andare a lavorare senza immaginare nemmeno lontanamente la loro morte. Le parole dei protagonisti e l’espressività dei racconti di quegli indifesi commercianti e bottegai, delle donne che videro strappati figli e mariti per sempre, di chi perse tutto e dovette ricominciare da zero sono la forza di questa opera assieme alle immagini del Ghetto, dal Portico d’Ottavia e via Della Reginella e quella musica “Yafutzu Oyevcecha” commovente canto ebraico che si intona nel digiuno di Yom Kippur stimolano lo spettatore alla commozione e alla riflessione. Nella parte finale della serata il professor Aurelio Ascoli ha evidenziato quanto sia importante ricordare quello che è stato alle giovani generazioni che “spesso non ne sanno niente di quello che successe dal 1943 al 1945” invitando a proiettare questo documentario “in tutte le scuole”.