di Paolo Castellano
Un’affollata sala conferenze ha fatto da cornice all’evento commemorativo organizzato dal Comune di Milano a Palazzo Reale in occasione del Giorno della Memoria. Il 27 gennaio si è infatti svolto un incontro per celebrare il 75° anniversario della vittoria sul nazifascismo. Gadi Schoenheit (assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano), Lamberto Bertolè (presidente del Consiglio comunale di Milano), Marco Steiner (vice presidente di ANED) e Floriana Maris (presidente della fondazione Memoria della deportazione) sono intervenuti davanti a un nutrito pubblico di studenti e adulti.
Come ha ricordato Floriana Maris, moderatrice dell’incontro, il 20 luglio del 2000 fu istituito per legge il Giorno della Memoria. 20 anni di impegno sono serviti a tenere vivo il ricordo delle atrocità avvenute nei campi di concentramento nazisti. Durante il dibattito ci si è inoltre interrogati sull’efficacia del messaggio educativo. Maris ha provato a dare una risposta al problema citando il testimone della Shoah Franco Schoeneit, scomparso lo scorso 14 gennaio: «Cosa potete fare per portare avanti il ricordo? Leggere, leggere, leggere».
Dopo le riflessioni della moderatrice, ha preso la parola Lamberto Bertolè che ha analizzato il valore della Giornata della Memoria. «Fare memoria non è né banale né superficiale. I ragazzi più giovani devono però capire che fare memoria significa evitare il riduzionismo perché è pericoloso fare analogie sbagliate. Occorre dunque andare oltre alla ritualità delle celebrazioni e impegnarci di più sull’individualità delle vittime. Fare memoria deve essere scomodo. L’esempio è Steiner con le sue pietre d’inciampo», ha affermato il presidente del Consiglio comunale di Milano, aggiungendo che il capoluogo lombardo ha organizzato diverse iniziative per celebrare i 75 anni della liberazione dal nazifascismo.
Anche Marco Steiner nel suo intervento ha insistito sul valore umano delle vittime del nazismo, attualizzando le loro vicende come monito per il futuro. Steiner ha poi elaborato un ritratto del padre Mino Steiner, anticipando alcuni temi presenti nel libro Mino Steiner. Il dovere dell’antifascismo (Unicopli editore). Marco ha infatti spiegato che suo padre nacque a milano nel 1909 e poi lavorò nello studio dell’avvocato antifascista Lelio Basso. Dopo un periodo nell’esercito in Sicilia, Mino decise di unirsi alla lotta partigiana nel Nord-Italia. Venne però arrestato il 16 marzo del 1944 e rinchiuso nel carcere di S. Vittore a Milano. Poi Mino fu deportato nel campo di Fossoli e trasferito in seguito nel lager nazista di Mauthausen nel 1944. Morì in prigionia il 28 febbraio 1945. «Tutti noi dobbiamo essere vigili per difendere la democrazia. Abbiamo superato momenti difficili e forse oggi ne stiamo superando degli altri. I testimoni della Shoah sono fondamentali per noi ed è vergognosa tutta la pressione che si è fatta su Liliana Segre», ha esclamato Marco Steiner.
All’evento commemorativo presso Palazzo Reale ha infine parlato Gadi Schoeneit, assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano. Schoeneit ha immediatamente ringraziato i presenti per i messaggi d’affetto riguardo alla morte del padre Franco. «Alla fine della seconda guerra mondiale, dopo la liberazione di Auschwitz, molti ebrei tornarono a casa. Tra questi ci fu anche mio padre. Lui attraversò due fasi: la fase del silenzio e la fase della contestualizzazione delle memoria nelle scuole. All’inizio i sopravvissuti tra gli ebrei avevano timore di raccontare gli orrori della Shoah per paura di non essere creduti. In un secondo momento, si sono messi a disposizione degli studenti per narrare le loro esperienze. Proprio quello che mio padre fece», ha dichiarato Gadi Schoneit. L’assessore alla Cultura ha inoltre lanciato un monito sul ritorno dell’antisemitismo, xenofobia e razzismo in Italia, dicendo che progetti come quelli del Memoriale della Shoah possono davvero servire a prevenire l’intolleranza anti-ebraica. Schoeneit ha poi concluso il suo intervento con un ricordo sul padre: «Papà non provava odio per i nazisti, li disprezzava. Dopo la guerra, quando vide delle SS fatte prigioniere sfilargli davanti, voltò il suo viso perché quei tedeschi non si meritavano nemmeno il suo sguardo».